Cosmopolis – Don DeLillo #DeLillo #Einaudi

Un giovanissimo miliardario vive in un attico su tre piani, colleziona quadri e squali, ha una moglie di prestigio e patrimonio adeguati. Una splendida mattina, spinto da una strana inquietudine, sale in limousine e dice all’autista di portarlo dall’altra parte di Manhattan, nel West Side per “tagliarsi i capelli”. Inizia così un viaggio che è una metafora, un attraversamento da est a ovest del cuore del mondo in una sola giornata, un percorso alla ricerca della proprie radici e della morte.

Non riuscivo a capire cosa fosse ad attrarmi nei libri di Don DeLillo: c’è una fascinazione magnetica nel suo modo di scrivere, una sorta di percorso misterioso che dovevo assolutamente scoprire dove portasse, nonostante i passaggi a vuoto in cui mi perdevo. Poi ho letto che Delillo scrive molto anche per il teatro e allora mi è venuto in mente che, in particolare in questo libro, il tema, o forse il metodo, è la distanza tra il protagonista e l’oggetto narrato, è l’effetto straniamento del teatro epico di Brecht, condito con le situazioni e i dialoghi assurdi di Ionesco e il pessimismo di Beckett.

Una di quelle cose che solleticano il mio istinto distruttivo che è anche assolutorio ovviamente come tutto ciò che sembra suggerire che non ci sia un via d’uscita.

“E’ la stessa cosa ubriacarsi in solitudine o condurre i popoli” diceva Sartre. Eric Packer è il campione del cyber capitalismo, ricchissimo e pieno di teorie per giustificare il proprio potere che un bel giorno decide di attraversare New York nella sua costosissima limousine per andare a tagliarsi i capelli. Vive la propria vita come uno spettatore che assista ad uno spettacolo teatrale, senza mai essere coinvolto, nemmeno nella relazione con la moglie. Addirittura è proprio come se non esistesse il suo corpo, come se il trionfo dell’accumulazione di capitale avesse finalmente raggiunto il suo apice nella realizzazione estrema della biopolitica: l’aspirazione massima è trasferire il proprio corpo nel flusso costante e illeggibile dei dati che determinano l’andamento della borsa e che nessuno sa leggere meglio di Eric stesso. Diventare una variabile su un disco, o ancora meglio su un supporto smaterializzato, affidandosi a una tecnologia che non capiamo ma che determina le vite di tutti.

(Credo, per altro, che sia stata questa relazione simbiotica tra carne e macchine che ha attratto Cronenberg e le sue ossessioni convincendolo a farne un film che è molto interessante secondo me). In realtà non c’è niente di deterministico “sono tutti fenomeni casuali”, dice l’esperta di teoria che aiuta Eric nella decifrazione dell’andamento delle borse. “Alla fine hai a che fare con un sistema incontrollabile. Isterismo ad alta velocità, giorno per giorno, minuto per minuto. […] Siamo noi stessi a creare la nostra frenesia, i nostri sconvolgimenti di massa, incalzati da macchine pensanti sulle quali non abbiamo un’autorità definitiva. La frenesia passa quasi sempre inosservata. E’ semplicemente il nostro stile di vita”Trovo che questo libro sia meno potente di Americana, ma forse perché l’ho letto successivamente; le situazioni in cui la scrittura si fa vorticosa sono minori e la fascinazione macabra della caduta è in bilico tra il sublime e la noia. Tutto è narrato come se Eric stesse spiando dinamiche di un gioco di cui conosce perfettamente le regole, anche perché è lui stesso a stabilirle, ma che gli è ormai venuto a noia e l’unica sfida che resta è allora quella dell’abisso. Perfino la manifestazione anarchica di protesta in cui si imbatte nel suo viaggio è già stata inglobata all’interno di questa frenesia ed anzi esiste solo in funzione di essa. La distruzione della dimensione collettiva non mi convince fino in fondo ma l’assenza di una qualunque ipotesi di comunità è un pezzo fondante della descrizione del mondo di Don Delillo che osserva, ricordo a me stesso, la realtà americana.Nel leggerlo mi chiedevo: come si descrivono questi anni che stiamo vivendo? Come può la letteratura rappresentarli? Delillo lo fa fingendo di restare sulla superficie del problema e lasciando che la descrizione assurda della realtà di Eric restituisca un senso di straniamento al lettore ma senza mai esprimere chiaramente un giudizio: la massa di variabili è incontrollabile, nessuno può davvero prevederla o comprenderla. Si può provare a descrivere dei frammenti, e lasciare che si depositino, che si stratifichino: saranno pezzi di una lettura del mondo che ciascuno però dovrà fare per conto proprio.

Edoardo Alessandro Maria

«Il futuro è sempre qualcosa di integro e uniforme. Nel futuro saremo tutti alti e felici» disse lei. «Ecco perché il futuro fallisce. Fallisce sempre. Non potrà mai essere il luogo crudele e felice in cui vogliamo trasformarlo».

Cosmopolis – Don DeLillo

Traduttore: Silvia Pareschi

Editore: Einaudi Collana: Supercoralli Anno edizione: 2003

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Cartongesso – Francesco Maino #FrancescoMaino #Einaudi

Cartongesso – Francesco Maino

Editore: Einaudi
Collana: Supercoralli

“Questo è il paese delle cose che stanno morendo. No. Questo è il paese dei corpi. Un paese pieno di corpi. Corpi che si svegliano morti, escono morti di casa, tornano morti; corpi che parcheggiano, scendono, sputano, corpi che si salutano, sbadigliano, bestemmiano sempre, fatturano. Corpi camminanti”.

Capita, alle volte, di leggere un libro, acquistato e dimenticato su uno scaffale, poco conosciuto, ovviamente trascurato dalle classifiche di vendita italiche. E capita di leggere un inaspettato capolavoro, almeno per quanto mi riguarda: perché cominci a leggere questo “Cartongesso” e ti immergi stupefatto in un ininterrotto monologo di 240 pagine che il protagonista avvocato Michele Tessari (alter-ego, si immagina, seppure in una dilatata, estrema esacerbata rappresentazione del proprio sé dell’autore avvocato Francesco Maino). E per definirlo, questo monologo, mentre leggi ti si affollano alla mente aggettivi esplorativi a bizzeffe, per cercare di afferrarne il senso ed il perimetro: tragico e crudele, feroce e divertentissimo al tempo, irresistibile e ossessivo, compulsivo nel suo furore distruttivo di un Veneto amatissimo e devastato e quindi odiato, stravolto e lacerato e dilaniato nel suo territorio, nella sua gente, nei suoi riti assurdi di consumo delle persone, della dignità, del buon senso. Un’invettiva rabbiosa contro i propri concittadini, un fiume in piena, un flusso di pensieri arrabbiati e molto sofferti nei confronti degli abitanti del tipico Nordest veneto, in particolare Basso Piave.

Un monologo che diventa una invettiva raccontando la vita del protagonista, senza speranza e senza soluzione: e sei dilaniato anche tu, mentre ti diverti, perché capisci che non è solo il Veneto del Tessari/Maino di cui si parla, ma sei anche tu e tutta l’ Italia che ti circonda ad essere chiusa in questo circo infernale, senza soluzione di continuità: c’è la geografia degli sghei (anche quando non ci sono più), l’etica vuota di come il sogno (non solo veneto, appunto) sia contenuto in case in cartongesso e architetture brutte e poco funzionali, nuove cattedrali effimere, del nero che permette a tanti di vivere ben oltre il tenore dichiarato al fisco ma comunque sempre ancora sotto ai desideri continui, e molto altro ancora.

Impossibile scendere dalla giostra, occorrerebbe troppo coraggio. Edito da Einaudi nel 2014 dopo aver vinto il premio Calvino 2013, è il primo e forse sarà anche l’ultimo libro di questo avvocato: perché si immagina con difficoltà che possa scrivere un altro libro così denso, perfetto e potente nella sua rabbia civile e umanissima e con una scrittura magnifica la cui intensità mi ha riportato alla memoria pagine di maestri come Gadda per la lingua, e Celine o Bernhard per l’esplosiva rabbia e capacità di indignazione e dissacrazione. O, nel cinema, il corrosivo Germi che affrescava la cattolica e ipocrita piccola borghesia trevigiana in “Signore e signori”.

Infine una nota: terminato nel 2009 con una gestazione di 10 anni appare oggi, se possibile, ancora più attuale (indovinate perché). E naturalmente, leggendo sul web qualche recensione d’epoca ho trovato qualche detrattore indignato che accusa l’autore di lesa dignità dell’operosità lavorativa, riassunta nel libro nella sacra trimurti veneta : sghei & spritz & scopar. Ma chi, veneto, si sentirà vilipeso e offeso dal libro, fa la parte di chi denuncia i film di mafia come cattiva pubblicità al belpaese
Da leggere e rileggere, perché una volta sola non basterà a gustarlo interamente.

“Chi l’avrebbe mai detto che dopo questa micidiale esperienza di morte avrei dovuto affrontare il ben più micidiale meccanismo della pratica forense, frequentando i peggiori inculatori del mondo moderno, le più pure carogne del mondo giurisperito?”

Renato Graziano