Indignazione – Philip Roth #PhilipRoth

“Indignazione” racconta dell’educazione di un giovane uomo alle terrificanti opportunità e ai bizzarri impedimenti della vita nell’America del 1951. E una storia di inesperienza, stoltezza, resistenza intellettuale, scoperta sessuale, coraggio ed errore. E una storia narrata con tutta l’energia inventiva e l’arguzia di cui Roth è maestro, e un ulteriore poderoso tassello nella sua analisi dell’impatto della storia americana sulla vita di individui vulnerabili.

Traduttore: N. Gobetti
Editore: Einaudi
Collana: Supercoralli

Nel college conservatore e tradizionalista di Winesburg Marcus deve sopravvivere a un sistema che non intende lasciar fuori nessuno. Tanto meno chi come lui è dotato di capacità intellettive superiori alla media. Per quanto possa sembrare paradossale, Marcus si trova impossibilitato a rimanere incolume e innoquo ai bordi della comunità.
Avrebbe voluto solo studiare e lavorare.
Avrebbe voluto non entrare in nessuna confraternita.
Non frequentare la chiesa.
Laurearsi in fretta e con il massimo dei voti.
Fare l’amore con una ragazza prima di morire.
Evitare di morire in guerra come tanti suoi coetanei in quel 1951.
E tutto questo grazie a una continua ricerca del perfezionismo e dell’eccellenza personale. La sua resistenza a oltranza e il sistema cannibale entrano però presto in collisione, incapaci di coesistere nella stessa galassia. (Francesco Marchetti)

In poche pagine troviamo l’educazione ebraica, la presenza fondante e ingombrante della famiglia, il senso di colpa, il sesso , la morte, la fiducia nella ragione (con citazioni di B.Russell). Ogni frase è colma di significato. Tanto da indurre ad una lenta lettura. Ma lo schema tragico e incombente non lo permette.
Come la Storia che incombe sul protagonista: la guerra in Corea.
E le vicende di vita individuali si intersecano nel sociale inevitabilmente.
La morte aleggia su ogni cosa e la ragione non basta a vivere. Così non riesce a vivere liberamente neanche la relazione con Olivia, compagna di corso, problematica e sessualmente disinibita. La ragione che vuole trovare a tutti i costi la sua strada ha il limite dell’esperienza nel caso di Marcus. Abituato a vivere nel “dovere” di vivere, non ha alcuna esperienza con la parte istintuale che sente le situazioni, accollandosi il rischio di sbagliare . E ancora la famiglia interverrà , con un ricatto emotivo, a mostrargli quanto la debolezza di Olivia in realtà fosse una forza che lo avrebbe infine schiacciato. E qui sull’orlo della vita, esattamente nel momento in cui la vita lo aveva sfiorato, lui tornerà con il pensiero, condannato a vedere quell’attimo in eterno.
E allora l’indignazione, forse, è non solo quella per una società che non accetta ribellioni, ma anche verso l’uomo che, in fondo , non è destinato a essere libero, neanche quando potrebbe esserlo.

Egle Spanò

Il dono di Humboldt – Saul Bellow #SaulBellow

Il dono di Humboldt è un romanzo di Saul Bellow, pubblicato nel 1975. Il libro ha vinto il Premio Pulitzer per la narrativa nel 1976 contribuendo, lo stesso anno, a far vincere anche il Premio Nobel per la letteratura al suo autore. Il romanzo, in qualche modo da considerare roman à clef, indaga l’amicizia di Bellow con il poeta Delmore Schwartz, esplorando il rapporto tra arte e potere negli Stati Uniti materialistici degli anni 1970.

“Mi doleva osservare quei segni dell’età in una donna la cui bellezza ricordavo così bene. Ma di ciò ti puoi fare una ragione. Dopo tutto quelle rughe erano il risultato di anni e anni d’amabilità.”

Premio Pulitzer di più di quarant’anni fa: ma quanta attualità traspare da ogni riga, da ogni pensiero e concetto, quanto fine humor!
Avrei voluto soffermarmi a sottolineare molto di più, ma ho preso il libro in prestito dalla biblioteca (relegato nel deposito): è ormai logoro e consunto nella costola, appare ingiallito dal tempo… eppure, quanta ricchezza di pensiero contiene.

Credo che molto si debba alla traduzione di Pier Francesco Paolini, che rende i concetti in maniera vivissima, ma il fascino di questo riuscitissimo romanzo risiede interamente nello stile dell’autore, che si muove sempre leggero e discorsivo, tra citazioni filosofiche (in quel periodo risente molto dell’influsso di Steiner), scientifiche, ed elenchi di autori più o meno noti.
All’inizio i personaggi e gli episodi narrati sembrano un parto onirico, e si muovono avanti e indietro nei ricordi del protagonista, secondo situazioni surreali e assurde. Ma Bellow, come in un sapiente ricamo, a poco a poco tesse le storie dei vari personaggi che s’intersecano tra di loro in momenti diversi del romanzo, fino ad incastrarsi perfettamente nei pezzi del puzzle che completa il disegno finale.
Non voglio dire molto sulla trama, tranne che tratta del rapporto tra due scrittori (Citrine e Humboldt), prima di stima e ammirazione reciproca e poi di odio e rancore. Una volta morto, però Humboldt farà un dono inatteso all’altro che gli cambierà la vita nel profondo.
Ora capisco il premio Nobel all’autore, e per chi volesse, è anche un romanzo a chiave in quanto “indaga l’amicizia di Bellow con il poeta Delmore Schwartz, esplorando il rapporto tra arte e potere negli Stati Uniti materialistici degli anni 1970”.

“Vi sono anime che attendono, da noi, quel nutrimento che solo noi, viventi, possiamo mandargli dalla terra […] Ahimé, ahinoi, che nasciamo a milioni, a miliardi, come bollicine di una bibita effervescente! Ebbi una rapida vertiginosa visione globale dei vivi e dei morti: umanità che ride a crepapelle assistendo a un film comico in cui l’uomo divora l’uomo, oppure che svanisce nel vortice immenso della morte, fra le fiamme, i tormenti, le battaglie… continenti che muoiono di fame. E mi pareva di volare, cieco, attraverso le tenebre, e sbucar fuori da uno squarcio, sopra una metropoli rilucente, laggiù lontano nella morsa del gelo.”

 

“Le persone come Humboldt, vedi, esprimono una concezione della vita, espongono i sentimenti della loro epoca, oppure scoprono significati o nuove verità nella natura, avvalendosi delle opportunità che il loro tempo offre.
L’esistenza dell’anima non può essere provata, in base alla scienza attuale, eppure la gente vada a comportarsi come se avesse un’anima, nonostante tutto. Si comporta come se provenisse da un altro luogo, da un’altra vita, ha impulsi e desideri che nulla a questo mondo, nessuna teoria scientifica, varrebbe a spiegare.”

“Garcia Lorca parlava di duende: un potere interiore che brucia il sangue come vetro in polvere, una forza spirituale che non consiglia, ma ordina.”

Silvia Loi

Descrizione

Ne “Il dono di Humboldt” Bellow traccia un duplice ritratto di artista nordamericano: il maledetto, ricalcato sul poeta Delmore Schwarz, e l’integrato. Il protagonista e narratore è Charlie Citrine, un commediografo cinquantenne di successo che bazzica le bische clandestine insieme alla sua amante, e intreccia pericolose amicizie con la malavita. Charlie è ossessionato dal ricordo di von Humboldt Fleischer, un poeta depresso che lo aveva aiutato quando non era ancora famoso, e si mette sulle tracce della sua preziosa eredità, il soggetto per una nuova commedia. Ridotto alla miseria e abbandonato da tutti, accetterà di sfruttare economicamente l’idea solo per pagare una nuova sepoltura al poeta matto, come ultimo gesto di una vera e propria devozione capace di riscattare l’inerzia e il fallimento esistenziale di una vita.