Bilico – Paola Barbato #paolabarbato #bilico

Che sia nato un nuovo amore tra questa scrittrice e me? Che sia solo un’infatuazione? Al momento non ho una risposta ma avendo già fra le mani un altro suo titolo credo ve lo farò sapere molto presto!

Bilico è un thriller, uno di quelli che ti lasciano a bocca aperta, uno che quando lo finisci ti fa anche un po’ arrabbiare, decisamente di buon livello per me che amo il genere, molto originale nella trama e spiazzante.
La storia ci parla di un serial killer che per la sua atrocità viene soprannominato “il Seviziatore”. Protagonista è Giuditta Licari, dottoressa, anatomopatologa e psichiatra che collabora con la polizia per risolvere il caso. Una donna distaccata, che incute un certo timore in chi le sta accanto, una donna tutta d’un pezzo, mai un’incertezza mai un dubbio, finché…

Non è precisamente un giallo, a metà della narrazione si scopre l’assassino, per cui non ci sono colpi di scena. E’ un romanzo però che fa appassionare ugualmente, perchè è un ritratto impietoso della meschinità e crudeltà umana, la caratterizzazione dei personaggi profonda, complessa e mai banale.

Bilico fra bene e male, fra realtà e apparenza, un filo sottile che mette alla prova l’equilibrio di questa umanità così fragile.

Mariagrazia Aiani

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La fabbricante di vedove – Maria Fagyas #recensione #MariaFagyas

“Ma che patria è quella che prende un uomo giovane e sano e lo spedisce al fronte come una bestia poi lo rimanda indietro come un pezzo di roba inutile che non può più lavorare. E si aspetta che sua moglie si occupi di lui per il resto dei suoi giorni.”

Romanzo ispirato a un fatto realmente accaduto intorno agli anni ’20 in una remota regione agricola dell’Ungheria, una manciata di paesini, negli anni successivi alla Grande Guerra. Gli uomini tornano dal fronte o dalla prigionia: sono ammalati, provati da anni di combattimento. Credono di trovare tutto come lo avevano lasciato, come era sempre stato per centinaia di anni.
Ma non è così.
Gli uomini erano grandi bevitori, violenti, trattavano le loro mogli con nessunissimo rispetto; i maschi erano gli indiscussi padroni in famiglia e, una volta svolti quei pochi lavori ritenuti troppo pesanti per le donne, andavano a passare le serate in osteria dove, oltre a giocare a carte, si ubriacavano e diventavano ulteriormente brutali e maneschi.  E alla fine una cinquantina di persone, quasi tutti uomini, furono avvelenati con l’arsenico dalle loro mogli, madri, figlie, aiutate dall’ostetrica del paese che ricorse a questo metodo definitivo per eliminarli.
Detta così è sicuramente semplicistico, ma la vita delle contadine deve essere stata terribile, non avevano nessuno che prendesse le loro parti. Il metodo è discutibile, ma anche la condizione femminile lo era. Nessuna giustificazione ovviamente. Furono comunque processate e condannate. Delle donne accusate, venti vennero ritenute colpevoli. Sei di queste vennero condannate a morte e le rimanenti a pene detentive. Nei casi in cui erano trascorsi troppi anni dal delitto, la colpevolezza non poté essere provata e molte responsabili sfuggirono al castigo. Gli uomini e una guerra incomprensibile che ha portato via braccia alla terra restituendo spesso solo avanzi, una guerra che ha mutato tutto. Ma quel periodo ha dimostrato alle donne rimaste a casa la propria capacità di sopravvivere. Non sono femmine fatali, ma contadine, spesso invecchiate precocemente, nei loro vestiti dignitosi e poveri.
È un bel romanzo, con personaggi ben delineati e una bella prosa .
Maria Fagyas nacque in Ungheria nel 1905, fu scrittrice e sceneggiatrice, nel 1937 col marito, anche lui sceneggiatore, si trasferirono negli USA , dove rimasero per lavorare nell’industria cinematografica.

Raffaella Giatti