Le confessioni di Nat Turner – William Styron #recensione #WilliamStyron

“Dal giorno in cui ero stato venduto per la prima volta, mai più avevo provato una simile rabbia, una rabbia che si era accumulata al fondo di me, fin da quella sera della mia lontana infanzia, quando ascoltando una sommessa conversazione sulla veranda , avevo udito per la prima volta che ero uno schiavo e tale sarei rimasto per sempre. Il cuore mi si contrasse, si avvizzì e per riempire il vuoto mi esplose una rabbia furibonda.”

Nel 1967 William Styron vinse il Pulitzer per “Le confessioni di Nat Turner”.
La storia narra di fatti realmente accaduti, poi romanzati dall’autore, dato che le uniche informazioni disponibili erano gli appunti dell’avvocato difensore di Nat nominato d’ufficio, tal Thomas Gray che ne traccia la vita e gli eventi che portarono poi al tragico epilogo.
La scintilla che portò Styron a interessarsi al caso, scattò quando di passaggio in Virginia, vide un cippo commemorativo che lo lasciò di stucco.
“In questi luoghi, nell’agosto del 1831, uno schiavo fanatico di nome Nat Turner, condusse una sanguinosa insurrezione che provocò la morte di 55 bianchi. Catturato dopo 2 mesi di fuga, fu processato e impiccato con 17 suoi seguaci”.

Nella Virginia di inizio ‘800, Nat Turner è schiavo di una famiglia; è preso in simpatia dal padrone che apprezza la sua intelligenza e abilità manuale facendolo vivere distaccato dagli altri schiavi, in condizione assolutamente privilegiata, sia come alloggio che alimentazione e istruzione, gli insegna a leggere e scrivere dandogli conoscenze superiori alla maggior parte dei bianchi. Anche le sue mansioni sono adeguate, gli verrà insegnato a fare il carpentiere con ottimo successo, tanto che il padrone gli promette di farne un uomo libero.
La crisi economica fa crollare ogni sogno, Nat viene venduto precipitando in una vita da schiavo quale non aveva mai provato. Anzi, nella sua vita privilegiata aveva sempre guardato gli altri schiavi con disprezzo per la loro ignoranza e la condizione animale in cui vivevano.
Il fanatismo religioso di Nat si acuisce in proporzione alle sue peggiorate condizioni di vita e convinto di aver avuto un “segno divino”, grazie al suo carisma, ingaggia un manipolo di altri schiavi per dare luogo a un’insurrezione volta a uccidere quanti più bianchi possibile.
Fin dall’inizio si capisce che l’operazione sarà un fallimento, per l’incapacità di Nat di coordinare la truppa che risulterà improvvisata e maldestra.
Styron scrisse questo libro non tanto con l’intenzione di trarne una morale, ma quanto di descrivere un uomo e la sua epoca. Lo fa con una scrittura davvero magistrale, un linguaggio efficacissimo, dialoghi perfetti.
Bellissimo il personaggio dell’avvocato Gray , che sarà il solo a portare un po’ di conforto a Nat pur con il suo stile burbero.

Il cristianesimo!
Saccheggi, stragi, rapine, morte e distruzione. E miseria e sofferenza per innumerevoli generazioni. Ecco cosa ha fatto il tuo cristianesimo, Nat. Ecco quali sono stati i frutti della tua missione, ed ecco quale è stato il gioioso messaggio della tua fede… Millenovecento anni di insegnamento cristiano più un predicatore negro è tutto quello che ci vuole per provare che Dio non è altro che una maledetta bugia”.

Raffaella Giatti

Tra me e il mondo – Ta-Nehisi Coates #recensione

Una lettera al figlio quindicenne.
Un’orazione appassionata.
Un romanzo di formazione.
Un discorso messianico, a tratti.

«Ti scrivo nel tuo quindicesimo anno, perché questo è l’anno in cui hai visto Eric Garner strangolato per aver venduto delle sigarette; perché adesso sai che Renisha McBride è stata ammazzata mentre chiedeva aiuto… E perché adesso sai, mentre prima lo ignoravi, che i dipartimenti di polizia del tuo paese sono stati investiti dell’autorità di annientare il tuo corpo. Non importa se quella distruzione è il risultato di un eccesso involontario. Non importa se ha la sue radici in un’incomprensione. Vendi sigarette senza il permesso e il tuo corpo potrà essere distrutto. Resisti a chi cerca di intrappolare il tuo corpo, e potrà essere distrutto. Imbocchi una scala buia e il tuo corpo potrà essere distrutto. Raramente i distruttori saranno ritenuti responsabili. Molti di loro riceveranno la pensione. E quella distruzione è semplicemente il superlativo di un dominio le cui prerogative includono perquisizioni, arresti, pestaggi e umiliazioni. Tutto ciò è comune per la gente nera. Tutto ciò è antico. E non c’è mai un responsabile».

Toni Morrison ha descritto questo libro come “lettura imprescindibile”.
L’ho concluso da pochi istanti, ma già a metà circa concordavo con quell’affermazione.

Tra me e il mondo. Non è un titolo a caso.
Il mondo è il Sogno Americano. Tra questo e l’autore, tra questo è la vita di un nero, c’è un abisso divenuto incolmabile.

«La schiavitù non è una massa di carne indefinibile. È una donna precisa, specifica, ridotta in schiavitù, la cui mente è attiva come la tua, la cui gamma di sentimenti è vasta come la tua; che preferisce il modo in cui la luce cade in un angolo particolare del bosco, a cui piace pescare nei piccoli gorghi nel ruscello lì accanto, che ama sua madre in modo complicato e personale, pensa che sua sorella parli troppo ad alta voce, ha una stagione favorita ed è bravissima a farsi i vestiti…»

Una vita vissuta col terrore di essere violati nel corpo, molto prima che nell’anima.
La paura di dire una parola di troppo, di vedersi puntata addosso la pistola di un coetaneo, la paura di essere picchiato, la paura di essere violentata. Un popolo intero costretto a vivere nella paura.

Un padre attivista, una Pantera Nera, l’avanzata negli studi, l’ingresso alla Howard University, «ho cominciato a vedere il mondo dei neri aprirsi di fronte a me, a capire che è molto più del riflesso di quello di coloro che pensano di essere bianchi», la consapevolezza delle potenzialità del corpo dei neri,la bellezza e l’amore che contengono, e che spesso viene spezzata dal razzismo, dalle pistole dei poliziotti bianchi, ma soprattutto da una mentalità radicata in duecentocinquanta anni di storia americana. Una storia di Potere, perchè questo è il vero punto. Chi lo detiene e chi lo subisce, chi difende la sua villetta, il suo prato rasato e il suo barbecue serale, contro ipotetici avvicinamenti e sconfinamenti di altri che sono ritenuti inferiori.

Tutto è terribile, in questo romanzo. La prima consapevolezza che il tuo corpo è un ostacolo alla tua vita. Che non sei uguale agli altri. Un momento di dolore così alto da toglierti il fiato e farti correre via in lacrime.
Da lì in poi la tua vita sarà tutto uno stare in guardia, nella postura stessa, nel modo di camminare, dovrai sempre guardarti alle spalle e davanti, attentissimo a non attirare l’attenzione di nessuno, specialmente delle forze dell’ordine, che in un solo secondo possono decidere di svuotare quel tuo corpo di ogni linfa vitale.

Coates scopre questo dolore quando muore un suo amico, Prince Jones, ucciso da un colpo di pistola alla schiena sparato da un poliziotto, che lo aveva scambiato per un criminale.
Il figlio di Coates scopre questo dolore quando scopre che gli assassini di Michael Brown resteranno assolutamente impuniti.
Sembra un percorso assolutamente ineludibile.
Puoi emanciparti, puoi cambiare città, puoi essere il migliore nel tuo lavoro, ma, come dice Mabel Jones, primario di radiologia, benestante, e madre di Prince Jones, “è stato sufficiente un atto di razzismo, uno solo” per riportare indietro di duecento anni le lancette della storia, e a cancellare tutte quelle che sembravano conquiste acquisite e scolpite nella roccia.

Nessuna parola di conforto. Nessuna consolazione. Nessuna speranza. Un libro pieno di terrore e di rabbia. La cosa peggiore è la presa di coscienza che l’ingiustizia è entrata a far parte di una mentalità.

«In America distruggere il corpo nero è una tradizione, è parte del retaggio»

Ti vorranno convincere con l’essere cristiano, con l’invito ipocrita alla protesta non violenta, “I miti erediteranno la terra”. Ma “i miti venivano pestati a Baltimora Ovest, calpestati a Walbrook Junction, fatti a pezzi a Park Heights e stuprati nelle docce della prigione. La mia comprensione dell’universo era fisica, e il suo arco morale curvava verso il caos per concludersi in una bara”.

Un durissimo, violento, furente e poetico atto di accusa. Che è rivolto a noi bianchi, all’America intera, al Potere. Ma che non trova soluzione nella sola accusa o nella speranza che una razza si ribelli. Non basterà. Occorrerà che siano proprio i bianchi, a prendere atto della situazione, a non scadere nella compassione, perchè è sbagliata anche quella, non basta e non serve. Serve riconoscere il diritto alla libertà altrui, al diritto altrui ad essere indipendenti, al rispetto verso l’altrui possibilità di vivere a testa alta. Uno schiaffo sui nostri volti, questo libro, che per me è atto dovuto.

Musica: Strange fruit, Billie Holiday

https://youtu.be/h4ZyuULy9zs

Carlo Mars