Vladimir Nabokov – Lolita #Nabokov #Lolita

QUARANTACINQUESIMO LIBRO

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Libro n•40 un autore classico russo

So che è al limite del “classico” e anche del russo, dato che solo la prima stesura fu scritta in russo mentre l’ultima in inglese, ma questo libro è stato definito in molti modi e meritava una menzione. Considerato antiamericano, sovversivo, impubblicabile, da galera, pornografico, imperdonabile e immorale: per me è il primo approccio a Nabokov per cui non appiccicherò etichette. A dispetto di quanto dice l’autore nella postfazione, di sicuro è stato maestrale nell’uso della lingua, anche se non è la sua prima lingua: riesce comunque a fare giochi di prestigio linguistici. È una storia che spiazza perché fa immedesimare il lettore in un antieroe che racconta la propria vita pochi giorni prima della sua morte in carcere: dritti nel vortice dell’ossessione amorosa per la minorenne Dolores, Lola, Lolita. A volte risulta scorrevole e di facile accesso. Altre volte si ha l’impressione che si stiamo verificando turbolenze o turbe psichiche nel narratore: la scrittura cade metaforicamente come un ubriaco che non riesce a tenersi in piedi, ma credo sia proprio l’effetto voluto che catapulta il lettore nell’orbita dell’ossessione amorosa. Per molti versi fa molto Proust: il modo in cui segrega e custodisce gelosamente la bambina facendone la propria amante, ma anche cadendo nelle sue trame manipolatrici.
Il mistero di Nabokov è che si prova più simpatia per l’orco Humbert che per la falsa debole e indifesa Lolita e seppure infine Humbert confessa di essere consapevole di aver edulcorato come storia d’amore la storia di un abuso di minore, non ci si sente distanti dal suo tormento e dalle sue intenzioni amorose.

Stefano Lilliu

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Jennifer Egan – Il tempo è un bastardo #JenniferEgan

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L’ho appena finito e non sto nella pelle. Ho incontrato nella vita pochi libri che fanno sentire così e adesso scoprirne uno per caso è proprio un colpo di fortuna. Ne sono entusiasta ma cercherò di essere obiettivo è di spiegarvi perché in tre mosse:
1. Il finale: perché il finale di un libro deve essere all’altezza del ritmo della narrazione e deve rappresentare la prospettiva con cui un autore guarda il mondo; penso a Allende che dice che il suo mestiere è la vita e non il perpetuare la morte come parte di un rito senza fine di violenza, penso a Eugenides che dipinge un ragazzo/ ragazza di appena 17 anni ad aspettare davanti alla porta di casa lo spirito del padre morto, onorando così una tradizione greca dei suoi progenitori che nemmeno sospetta mentre il mondo che conosceva fino ad allora va in pezzi. È dai finali che si riconosce il vero talento.
2. Non conosco nessun autore che abbia mia sperimentato il suo genere di prosa: una serie di racconti che potrebbero essere conclusi in se’ e per se’ se non fosse che sono tutti inanellati in una composiIone aedica che dilaga a increspature fra passato presente e futuro, narratori onniscienti di volta in volta diversi ma tutti uniti nel vedere l’eternità della loro vita in un singolo momento che contiene tutta la loro storia e quello che dovrà ancora venire poi, per creare un romanzo che non è la mera somma dei suoi racconti, ma una storia da cui si accede attraverso diverse porte, come in un palazzo di specchi, come un moderno Mille e una notte.
3. Egan sperimenta, ma in realtà non è questo il fulcro del talento che le ha fruttato il pulitzer. Questo libro parla di musica come ho scritto, ma è ancor più vero che parla anche delle pause(c’è proprio un capitolo su queste), le pause come intervalli musicali e come parti fondamentali dello spartito: silenzi che al momento giusto della canzone creano la magia che ce la fanno cantare sempre e che ci fanno aspettare sempre quell’intervallo, quando sembra che la canzone sia finita e invece no e poi riparte ancora e allora senti che quel pezzo ti ha preso e lo ricorderai ancora e ancora. Jennifer Egan va a ritroso come Proust, descrive il mondo all’interno del sogno della grandezza di quel momento di felicità passata che Fitzgerald ha descritto così bene, e che lei fa dire ad Alex nell’ultima pagina del romanzo. Ma come autrice posso dire è la degna erede di entrambi gli scrittori.
Ve la consiglio tantissimo se ancora non lo aveste capito.

Stefano L.

DESCRIZIONE

Il tempo è un bastardo è un romanzo insolito, formato da una serie di racconti eterogenei per ambientazione e stile, ma collegati dal ricorrere degli stessi personaggi. Al centro ci sono Bennie Salazar, ex musicista punk e ora discografico di successo, e il suo fidatissimo braccio destro Sasha, una donna di polso ma dal passato turbolento. Le loro storie si snodano fra la San Francisco underground di fine anni Settanta e una New York prossima ventura in cui gli sms e i social network strutturano le emozioni collettive, passando per improbabili ascese sociali e matrimoni falliti, fughe adolescenziali nei bassifondi di Napoli, scommesse azzardate ma vincenti su musicisti dati troppe volte per finiti. Intorno a Bennie e Sasha si compongono le vicende delle loro famiglie, dei loro amici, dei loro mentori: una costellazione di co-protagonisti indimenticabili grazie alla quale la Egan riesce a raccontare le degenerazioni isteriche del giornalismo e dello star-system, la pericolosa meraviglia delle droghe psichedeliche, le delicate dinamiche emotive di un bambino autistico nella provincia americana del futuro.

Il tempo è un bastardo supera con coraggio gli stereotipi della narrativa tradizionale ma resta godibile e appassionante per tutti i lettori: è un romanzo-mondo aperto alle infinite possibilità dell’esistenza e della prosa, che si è conquistato la vetta della scena letteraria americana e si avvia a diventare un caso internazionale.