Aspettando Bojangles – Olivier Bourdeaut #recensione

Questa è la mia storia vera, con alcune menzogne a dritto e altre a rovescio, perché spesso la vita è così.

Romanzo d’esordio di un trentaseienne che prima si è dedicato a tutt’altro che scrivere, candidato al Goncourt e best seller nelle librerie francesi, questo Aspettando Bojangles è un libriccino di 140 pagine, edito in Italia da Neri Pozza, assai particolare e interessante.

La narrazione si svolge su due piani: la principale è quella di un ragazzino che ci racconta della sua folle, assurda, romantica famiglia, dove non si apre mai la posta nè si controlla mai nulla di amministrativo o burocratico perchè “noi non facciamo mai cose noiose“, dove il padre, pettinato come un ufficiale ussaro, chiama ogni giorno con un nome diverso la moglie, dove la madre si rivolge a tutti – compreso il figlio stesso – dando del voi; dove lui, il bambino, non va più a scuola perchè i genitori non lo ritengono necessario, in quanto conversa ogni giorno con adulti e non guarda mai la televisione, e dove l’animale domestico è una gru che arriva dalla Numidia. Ogni sera -e in ogni momento in cui salti il ghiribizzo –  i due adulti organizzano una festa invitando tutto il palazzo, chiunque incontrino per strada, vecchi amici o nuovi vicini. Marito e moglie ballano continuamente, di giorno e di notte, da soli o in compagnia, suonando una pila di vecchi vinili ma soprattutto sul ritmo di “Mister Bojangles” di Nina Simone, una canzone “allegra e triste nello stesso tempo”. Ogni volta che ballano e festeggiano, quindi praticamente sempre, si preparano dei cocktail pazzeschi, con tanto di decorazioni, ombrellini e cannucce varie, che bevono da mattina a sera alternandoli allo champagne. Oltre alla musica e all’alcool, la passione familiare sono le bugie: tutti si divertono a inventare storie strampalate per abbellire la verità, o forse per nascondersi da essa. La madre, che “non tratta il suo piccolo né da adulto né da bambino, ma come un personaggio da romanzo”, non vuole mai sapere se a scuola ha litigato o ha preso brutti voti, semplicemente gli dice: “Quando la realtà è banale e triste, inventatemi una bella storia”. Agli occhi del bambino protagonista, tutto ciò è bellissimo, tutto sembra un gioco, un sogno divertentissimo e interminabile, in cui l’unica cosa che si chiede è come facciano a vivere gli altri bambini senza i suoi genitori.

Poi c’è l’altra narrazione, inframmezzata a questa, quella delle pagine di un lunghissimo diario cui si dedica il padre, che scrive la realtà come la vede, senza gli abbellimenti di rigore del loro quotidiano; e quindi apprendiamo che la moglie è schizofrenica, che quel che riusciva a contenere della malattia in età giovanile più passa il tempo più è difficoltoso da gestire, che lui l’ha saputo appena l’ha vista, ma l’ha subito amata e non ha potuto sottrarsi, perchè questo amore è perfetto e lo ha portato a vivere una vita ricca, gioiosa, pazza sì, ma di felicità.

“Quando avevo incontrato sua madre, avevo tentato una scommessa, avevo letto tutte le regole, avevo firmato il contratto, accettato le condizioni generali e preso conoscenza della contropartita. Non rimpiangevo nulla, non potevo rammaricarmi di quella dolce marginalitàdi quel permanente marameo alla realtà, di quel gesto dell’ombrello rivolto alle convenzioni, agli orologi, alle stagioni, di quella sistematica linguaccia al cosa-dirà-la-gente”.

Le due narrazioni, molto presto, collidono, anche perchè il padre, che pure dei due adulti è l’unico che ha il dovere morale, in quanto genitore sano di mente, di prepararsi all’evenienza di un collasso della moglie, e quindi della loro vita, quando ciò accade non è in grado di reagire. Vivendo per così tanto tempo quella vita così esclusiva, piena, totale, di amore folle e irresponsabile, quando la moglie peggiora e la realtà andrebbe affrontata, non è capace di farlo.

Aspettando Bojangles è un romanzo molto particolare, una storia che danza, come i suoi protagonisti, tra sogno e realtà, tra follia e normalità. La prosa è pulita, scorrevole, la narrazione quando parla il bambino è spontanea e accattivante. Non è un libro mai propriamente drammatico, nemmeno quando accadono cose davvero tristi se non tragiche, sempre sospeso in quel suo realismo magico di una famiglia che fa del ritmo scatenato la propria linea di vita, una famiglia che non conosce tregua dalla follia. Dal punto di vista della trama, è impossibile non essere catturati dalla simpatia per queste persone, per la loro vita colorata e anticonvenzionale, e sotto questo aspetto darei senz’altro un quattro stelle pieno.

Al tempo stesso c’è qualcosa che disturba, un elemento di incertezza e fatalità che, secondo me, non dovrebbe essere presente in un romanzo in cui la levità e la fuga dalla realtà incalzano a ogni riga. E’ un pensiero personale, perchè trovo recensioni (lo stesso Renato che ce l’ha segnato qui qualche tempo fa) sempre molto positive su questo libro con i suoi personaggi buffi e stravaganti. Però non sono riuscita, alla luce della malattia mentale della protagonista e delle conseguenze che inevitabili ricadranno poi sulla sua famiglia, a non provare un senso di sconforto finale.

Comunque per un romanzo d’esordio, senz’altro un giudizio più che positivo; e poi magari sono io, che ci ho la cinicità dentro e sono diventata una vecchia babbiona che non vede più il romanticismo come una volta. Se lo leggete poi ne parliamo meglio, qua non voglio spoilerare. Baci bacissimi.

Lorenza Inquisition

 

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L’ablazione – Tahar Ben Jelloun #recensione #TaharBenJelloun

Nato nel Marocco francesce nel 1944, Tahar Ben Jelloun trascorre l’adolescenza a Tangeri e a Rabat completa i suoi studi filosofici dedicandosi poi all’insegnamento. A causa dell’”arabizzazione delle docenze”, è costretto a emigrare a Parigi dove consegue il dottorato in Psichiatria Sociale. Autore di numerosi libri, vince nel 1987 il Premio Goncourt con “La notte fatale”, edito in Italia da Einaudi.
“L’ablazione” pubblicato nel 2014 da Bompiani, è un lungo viaggio all’interno dell’intimità di un uomo che sta per subire una prostatectomia radicale a causa di un cancro che non può essere combattuto altrimenti.

“Devo continuare a vivere e riuscire non pensare più a ciò che mi manca. Fare in modo che questo senso di mancanza sparisca per sempre. Il tempo sarà mio amico, mio compagno. Io sarò clemente con lui. Mi resterà la memoria, piena di buchi e di immagini, tessuta di un ordito solido e fragile, elastico e vago, fatto in gran parte di oblio.”

E’ comune dire che quando si perde qualcosa, se ne acquisisce un’altra, perché quello spazio non può rimanere vuoto. Spesso ce lo diciamo per trovare consolazione.
Ma forse dietro quel conforto c’è la presa di coscienza definitiva di cosa significhi per noi quello che ora non è più, e l’accettazione del tempo che passa, e di essere noi legati al tempo/mutamento indissolubilmente.
Questo è il tema principale de L’ablazione.
Un professore di matematica, quasi sessantenne, scopre di avere un cancro alla prostata, di doversi sottoporre alla sua asportazione per continuare a vivere, e che una delle conseguenza è che probabilmente la sua vita sessuale finisce qui.

“ Ablazione, s.f- Asportazione chirurgica parziale o completa di un organo… Togliere, tirar fuori, al fine di eliminare la malignità del male, curare e godere delle conseguenze. Dopo sarò un uomo senza qualcosa. Un uomo un po’, un pochino ridotto.”

Lui, seduttore impenitente, si trova costretto a cercare di capire cosa significasse per lui il sesso, la sua virilità, con la quale si è sempre identificato totalmente.
Si trova a dover capire che significato attribuire alla vita, ora che i ricordi sono motivo di dolore, e di confronto con una vita che non gli sembra più valga la pena di vivere.
Ed ecco che la perdita (=ablazione) diventa un motivo di ricerca di una nuova identità che saprà esprimere se stessa in altro modo.
Anche qui, come in altri libri letti ultimamente, ritrovo il senso del limite e l’accettazione di esso.
Il linguaggio è senza filtri, colmo di informazioni cliniche, diretto e sincero, ma non vittimistico. Ci porta a mettere a nudo anche la nostra anima, con tutti i limiti carnali e spirituali, l’onnipotenza che viene sostituita dal senso di finitezza.

Un libro di grande spessore psicologico, un tema delicatissimo affrontato con alto stile letterario, un lungo sentiero doloroso che conduce al feroce scontro con la malattia per riappropriarsi della vita perché, anche perdendo una parte importante di sé, la vita è sempre vita, diversa certo, ma vita: irrinunciabile, primaria, sempre degna di essere vissuta in ogni sua forma.

Egle Spanò