Il sentiero dei nidi di ragno – Italo Calvino #ItaloCalvino

liberta

« Forse non farò cose importanti, ma la storia è fatta di piccoli gesti anonimi, forse domani morirò, magari prima di quel tedesco, ma tutte le cose che farò prima di morire e la mia morte stessa saranno pezzetti di storia, e tutti i pensieri che sto facendo adesso influiscono sulla mia storia di domani, sulla storia di domani del genere umano. »
Italo Calvino, Il sentiero dei nidi di ragno

Libro n•14_ un libro che a scuola hai davvero detestato

Non lo finii in terza liceo, non gli diedi una seconda chance, dopo pochi capitoli lo abbandonai come noioso. Calvino non lo so apprezzare veramente, c’è poco da fare, a distanza di 11 anni ancora non mi piace, però sono riuscito a masticarlo piano piano in queste settimane fra un libro e l’altro e ad arrivare all’atteso finale. È un libro che ti spiazza e ho capito che la fatica che ho provato nel leggerlo tutte e due le volte forse dipende dal fatto che odio ammettere di essermi immedesimato in Pin. Perché il personaggio che preferisco è Kim, lo psichiatra, e invece fra tutti mi trovo a simpatizzare per il ragazzino disagiato e per quello che rappresenta. Ho una mia teoria, magari poi sviante e non appartiene alle intenzioni di Calvino, peró resta il fatto che leggendo ho pensato che tutto il libro ruota intorno a un sentimento in particolare, che è la delusione, a cui ruotano attorno come satelliti la disistima, la paura dell’abbandono e il tradimento.
Pin non ha veramente amici: i ragazzi della sua età ne hanno paura, perché Pin non ha la loro innocenza, dato che è stato educato alle cose del mondo dalla crudezza della sorella. Non sono suoi amici gli alcolizzati dell’osteria con cui si scambia solo scaramucce, non è sua amica sua sorella che a tutte le ore fa salire in camera sua gli occupanti militari tedeschi e non sono suoi amici i soldati e i partigiani. Pin impara a guardare il mondo dei grandi con uno sguardo consapevole anche se ancora acerbo: non capisce tutto quello che vede e che sente, ma capisce molto più di un qualsiasi ragazzino della sua età. Viene un po’ usato da tutti: dai reietti dell’osteria, dal padrone per cui lavora e dai militanti partigiani. In effetti in queste relazioni Pin investe emotivamente un gran capitale affettivo, immagino tutto quello che non può riversare su figure parentali (una morta e uno scappato) ma non viene mai ricambiato veramente, viene visto come un elemento fastidioso, che chiede attenzioni e che se non le riceve risponde con pungenti verità, che i grandi in genere cercano di tenere nascoste. Pin è indesiderato. Pin capisce di non essere voluto veramente dalle persone con cui interagisce. Pin risponde a crudeltà con crudeltà, ma non vuole essere così: in effetti ci soffre parecchio. Finale un po’ buonista: non so se Calvino mi ha convinto veramente, se è davvero così che voleva far finire la storia o se ci è stato tirato per i capelli da qualche astuto editore o dal consiglio di qualche fidato amico scrittore. Fatto sta che nella realtà è difficile immaginare che le cose possano finire con un po’ di gentilezza, dopo aver ricevuto per una vita così poca gentilezza. Secondo me, in questo senso, è più onesta Agota Kristoff che ne La trilogia della città di K. arriva a una conclusione diversa partendo da premesse e personaggi simili. Tuttavia non mi permetto di infangare un classico e concludo solo dicendo che forse non mi è piaciuto perché mi ha spiazzato scegliendo di terminare così il romanzo, peró allo stesso tempo sono contento che ci sia un senso positivo: sarò smielato dentro.

Stefano Lillium

Una bambina – Torey L. Hayden

Sheila fu assegnata alla classe di Torey Hayden per “bambini speciali” all’età di 6 anni dopo aver legato a un albero un bambino di 3 anni e averlo gravemente ustionato.

unab

Una bambina è la storia di come l’insegnante riuscì a fare emergere le incredibili capacità di questa bambina torturata. Alcune parti di questo libro – le orribili molestie sessuali – vi faranno arrabbiare. Altre – la tranquilla descrizione fatta da Sheila della sua rabbia, paure e dubbi – vi faranno piangere. E altre parti ancora – la graduale presa di coscienza di Sheila delle proprie capacità – vi rallegreranno. Qualunque sia la vostra reazione, credo che sarete d’accordo che da molto tempo non avevate letto un libro con l’impatto emotivo di Una bambina.
New York Times Book Review

“Certi aspetti della loro vita io non li avrei mai capiti, perchè, nella mia esistenza, una casa riscaldata e la libertà da violenza, fame e scarafaggi erano tutte cose scontate. Non avevo mai avuto motivo di pensare il contrario. Adesso che ero adulta avevo imparato che c’erano persone che vivevano in modo diverso dal mio, riuscivo ad accettarlo, ma non a capirlo davvero. Credo che nessuno lo possa, a meno di non viverlo in prima persona”.

Una bambina è un libro molto emozionante, trascinante e davvero commovente. L’impatto iniziale è piuttosto forte, è una storia vera, di una piccola di sei anni gravemente disadattata che viene assegnata a una classe di bambini “speciali” in cui una insegnante (e psicologa) e due assistenti si occupano di cercare se non un reinserimento dei piccoli, perlomeno di creare un ambiente didattico che li stimoli e li aiuti. Siamo alla fine degli anni ’70, non sono ancora previsti docenti di sostegno presenti nelle classi con uno o più alunni “certificati” diversamente abili, insieme a tutti gli altri bambini. Si preferiva mettere i disadattati e anche i disabili tutti insieme sotto la supervisione di un unico insegnante. In questo libro si racconta per intero l’unico anno scolastico che vide protagonisti la piccola Sheila e l’autrice del romanzo,  che qualche tempo dopo decise di raccontare tutta la storia mettendola per iscritto. E’ ovviamente il tipo di libro in cui il contenuto e la storia sono più interessanti e coinvolgenti di quanto lo potranno mai essere lo stile di scrittura o la bravura dell’autrice, ed è uno dei pochi romanzi che su amazon e goodreads non ha neanche un parere al di sotto delle 3 stelle.

Sheila arriva a sei anni nella classe di Miss Hayden con un passato drammatico: abbandonata a quattro anni in un’autostrada dalla madre adolescente che stava scappando di casa, vive da allora in una baraccopoli con il padre alcolizzato. Non parla e non riesce a controllare terribili scatti di ira che la lasciano in preda a vere e proprie convulsioni. A casa sua non ci sono acqua corrente nè una toilette, bagna spesso il letto ma arriva a scuola indossando sempre lo stesso paio di pantaloni e maglietta, gli unici che possiede. Come scioccante risposta alle proprie orribili condizioni di vita, dove sopravvive solo il più forte, ha legato un bambino a un albero dandogli fuoco, e mentre le autorità si consultano su come comportarsi riguardo all’internamento di una paziente così piccola, decidono di “parcheggiarla” nella classe di Miss Hayden.

Nel corso di cinque lunghi mesi di piccoli passi avanti e ritorni di crisi, la docente riuscirà a calmarla, a insegnarle a prendersi cura di sè stessa, a farla parlare e interagire quasi normalmente con tutti, per scoprire poi con grande soddisfazione che la bambina supera brillantemente tutti i test dimostrando un QI ben sopra la media. Grazie a questo, e anche alla buona volontà dei genitori del bambino ustionato che non vollero una persecuzione penale, e all’aiuto di alcuni altri insegnanti ed educatori, Sheila potè poi frequentare una classe normale e da lì proseguire un percorso di reinserimento totale.

Ci sono purtroppo anche un episodio di violenza sessuale sulla bambina, insieme a storie davvero tristi dei suoi compagni di scuola. Tuttavia, stranamente, per me rimane un libro ispiratore, forse solo per il fatto di vedere che anche in situazioni di così totale degrado c’è qualcuno che tiene a prendersi cura di questi bambini, e  anche per il coraggio e l’onestà che traspirano dalle loro parole.

“Potrebbe rovinarli mentre stanno nascendo”. Scoppiò in singhiozzi. “E’ quello che ha fatto la mia mamma. Ecco perchè sono matto”.

“Oh Peter, non è vero” – dissi.

Mi si avvicinò e mi mise la testa in grembo, piangendo. “Sì, è vero”.

“No, non è vero. Non so perchè ti sei fatto quest’idea, ma è sbagliata!”.

“Peter, tu non sei matto” disse William. “Nessuno è matto, in realtà. E’ solo una parola, vero, maestra Torey? Solo una parola. E nessuno è solo una parola”.

Lorenza Inquisition