Memorie del sottosuolo – Fëdor Dostoevskij #Dostoevskij

«Memorie del sottosuolo è un’opera fondamentale per Dostoevskij: d’ora in poi tutti i personaggi dei suoi principali romanzi avranno un sottosuolo, e vi penetreranno per poi risorgere rigenerati o per affondarvi senza speranza, senza soluzione. Certo, sottosuolo è negazione, è distruzione delle abitudini sociali cristallizzate, è rifiuto delle fissità convenzionali, è maledizione della solitudine.»
Fausto Malcovati, Introduzione a Memorie del sottosuolo, Edizione Garzanti, Milano maggio 1992.

*anno 1864

“Io non solo non ho saputo diventare cattivo, ma non ho saputo diventare niente: né cattivo né buono, né furfante né onesto, né eroe né insetto. E ora vivo nella mia tana facendomi beffe di me stesso, con la maligna e vana consolazione che d’altronde un uomo intelligente non può diventare sul serio «qualcosa», solo uno stupido diventa qualcosa.”

Il sottosuolo come profondità dell’anima, li dove si annidano le abiezioni umane, dove vi vengono nascoste, celate per poter vivere una vita non autentica, piena di begli impulsi e belle azioni. Dostoevskij analizza l’umanità lacerata dalle contraddizioni, la ama perché la trova vera e viva e la descrive abilmente nei suoi libri. Il breve romanzo “memorie del sottosuolo” si compone di due parti, saldamente collegate fra loro; una prima in cui il narratore teorizza sulla impossibilità dell’uomo di essere costantemente di buoni principi e di realizzarli non dando retta al richiamo verso le abiezioni di cui tanto gode nell’agirle e di cui però altrettanto in fretta si pente; la seconda parte invece racconta di alcuni episodi “abietti” di cui si era macchiato il protagonista più di dieci anni addietro, confessando in tal modo i sentimenti e le ossessioni più celati che alla fine commuovono il lettore invece di lasciarlo inorridito perché sono come (“blocchi incandescenti di cui non si riesca ad individuare bene la forma” dalla nota introduttiva di Leone Ginzburg). Pertanto la mera felicità, il vivere rispettando sempre la morale è concepibile sono in una vita non libera, dove tutti gli impulsi vengono frenati al loro nascere. Ma d’altro canto anche vivere solo di abiezioni, provando piacere a denigrarsi per la consapevolezza delle stesse è allo stesso modo un piacere vizioso che non permette di vivere liberamente ma piegati costantemente dai rimorsi.

Barbara Gatti

PS. Consiglio la lezione di Paolo Nori proprio su Memorie del sottosuolo. Si trova qui su youtube. Bellissimo il momento in cui si sofferma sulla frase “io sono solo e loro sono tutti”.

Le Memorie del sottosuolo occupano un posto centrale all’interno dell’intera produzione dello scrittore. Cronologicamente precedono i grandi romanzi e concludono la fase di opere preparatorie e introduttive ad essi; ideologicamente rappresentano la prima incursione nel campo della filosofia e l’elaborazione chiara e consapevole del tema dell’uomo del sottosuolo, ripreso e presente in tutte le opere successive.

Ivan S Turgenev – Padri e figli

 

« Un nichilista è un uomo che non si inchina dinnanzi a nessuna autorità, che non presta fede a nessun principio, da qualsiasi rispetto tale principio sia circondato. »

padri

ogni tanto pure si deve leggere un classico (sopratutto io che di classici, a dire la verità, ne ho letti pochini).
Dal titolo uno si aspetta, magari, un libro ponderoso e pesante… poi lo legge e scopre che si sbagliava e che il libro, tra le tante qualità, è anche divertente.
Come anticipa il titolo la storia ruota (ma è una semplificazione estremamente ingenua) sul contrasto generazionale nella Russia di fine 800, la cui società è descritta in modo incantevole.
I figli non ne escono benissimo…
Ha un incipit magistrale.

Francesco M. Landolfi

Padri e figli è un romanzo dello scrittore russo Ivan Sergeevič Turgenev., ed è probabilmente la sua opera più famosa e importante. In essa si affronta la tematica del nichilismo, nella sua accezione ateistica, materialistica, positivistica e rivoluzionaria, una tematica che verrà ripresa, approfondita, criticata dalla letteratura russa degli anni 60′ del XIX secolo in maniera estensiva. Non a caso l’opera scatenò diverse polemiche in Russia, e non solo, che costrinsero Turgenev a dare spiegazioni e, di fatto, a diradare la sua attività letteraria.

Capolavoro narrativo di Turgenev, l’opera che gli procurò gloria e popolarità in Occidente, e nel contempo le più grandi amarezze in patria, per le violente e ingiuste polemiche che fece scaturire. Quando nella casa di campagna di Nikolaj Kirsanov arriva il figlio Arkadij con l’amico Evgenij Bazarov, si delinea subito il conflitto tra vecchie e nuove generazioni. Audace e radicalissimo negatore, ma solo in linea teorica e verbale, di tutti i valori tradizionali cari ai padri, Bazarov, l’eroe di questo romanzo, è il primo “nichilista”, il primo rivoluzionario russo degno di questo nome. Alla richiesta di dare finalmente alla letteratura russa un eroe attivo, Turgenev rispose creando non una figura idealizzata, ma “un lupo”, un personaggio enigmatico che egli stesso non sapeva se amare o no, dando risalto alla sua superiorità rispetto all’ambiente che lo circondava e alla propria assenza di tendenziosità nel raffigurarlo.