Aldo Cazzullo, La guerra dei nostri nonni

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Sulla porta di piazza XXIV Maggio a Milano c’è scritto “paci populorum sospitae”. Nel 1915 quel giorno i fanti attraversavano il Piave (almeno così dice la canzone). Era un lunedì. Cento anni dopo sarà una domenica, la città sarà già piena di avventori dell’Expo e piazza XXIV Maggio sarà di nuovo (si spera) agibile. Montenero, Sabotino, Bligny, Col di Lana, Diaz, Adamello. A rendere omaggio si dovrebbe fare tutta la città a piedi. Cazzullo non riesce a dare una struttura organica alle testimonianze raccolte in questo libro ma sicuramente colpiscono il lettore peggio di Anna Karenina (nel senso letterale del libro in fronte). Il tenente Adolfo Ferrero qualche giorno prima di morire sull’Ortigiara scriveva: “O genitori, parlate, parlate, fra qualche anno, quando saranno in grado di capirvi, ai miei fratellini, di me, morto a vent’anni per la Patria (…) che è doloroso il pensiero di venire dimenticato da essi. Fra dieci, vent’anni, forse non sapranno più di avermi avuto fratello”. Poveraccio, non gli bastava avere come cifra stilistica di riferimento D’Annunzio, gli è toccata pure l’ironia di una pace liberatrice di popoli nel giorno che è stato deciso che doveva morire.

Irene Narciso