Joanna Gruda – Il bambino che parlava la lingua dei cani #GiornoDellaMemoria

Di bambini, compagni sovietici e cani umanizzati

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Cosa succede se un bambino s’intrufola nelle pieghe della Storia, gioca a nascondino con il Mostro, si diverte anche quando sembrerebbe che ci sia solo da piangere? È proprio quello che fa Julek, il bambino ebreo, polacco, protagonista di questa storia vera, anche se romanzata. Una vita, quella di Julek, bè, una vita che inizia già per scommessa e prosegue con colpi di scena, cambi di identità, di case, di famiglie. E’ un libro che fa ridere, fa commuovere, la storia di un bambino che pur nascendo male storicamente, certamente ce la metterà tutta per sopravvivere e addirittura per godersi la vita anche nelle situazioni più complicate. Sembra scritto dal bambino che il protagonista (che ora ha più di ottant’anni) era all’epoca, e invece è scritto da una delle sue figlie. Il mondo salvato dai ragazzini. Molto consigliato.

DESCRIZIONE

A un anno, una nuova famiglia. A sei anni e mezzo, il primo viaggio con la sua vera mamma. A soli quattordici anni ha già cambiato tre volte nome. È l’incredibile storia (e ci teniamo a sottolineare: vera) di Julian, un bambino polacco di famiglia ebrea e comunista, nato nel 1929 e passato indenne attraverso la guerra. D’altra parte il suo stesso concepimento è avvenuto all’insegna dell’improbabilità: il suo diritto al mondo fu messo ai voti durante una riunione del partito comunista, per decidere se fosse “saggio” per una militante clandestina affrontare la maternità in quelle condizioni. Poi la Francia che lo accoglie e la guerra, mentre la madre –attivista politica- si nasconde dalle autorità. Ma agli occhi di Julian ogni cosa è un’avventura, piena di amici e di cose per cui vale la pena stupirsi. In uno dei momenti più bui dell’Europa, un bambino tiene accesa la fiaccola della speranza, dell’amore e dell’innocenza, con gioia e infinita tenerezza. Chiudendo questo libro non potrete fare a meno di sorridere e di chiedervi: “chissà se un giorno anch’io potrò mai parlare la lingua dei cani”.

Erri De Luca, Alzaia

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C’è stato un posto del mondo in questo secolo in cui una donna riuscì a salvare sua sorella gridandole da lontano: “Dai la bambina a mamma”. La donna si trovava nel campo di Auschwitz-Birkenau in Polonia e dalla sua baracca, dietro ai fili spinati aveva visto arrivare il treno dei deportati. In fondo al binario avveniva una selezione tra chi era giudicato abile a qualche lavoro e quelli che andavano subito alle camere a gas. Vecchi, bambini e madri con figli morivano subito. Allora la donna che aveva già imparato quella lezione e quella selezione, vide scendere da uno dei tanti treni della morte sua madre, sua sorella e sua nipote. Così gridò l’unica frase, pronta di riflessi e spietata, che poteva salvare una di loro. Per le altre due, mamma e nipotina non c’era più scampo. La sorella, ignara di tutto, riconobbe la voce e obbedì meccanicamente al grido. Passò la selezione. Era l’estate del 1944, i nazisti erano in rotta su tutti i fronti ma a Adolf Eichmann era riuscita l’ultima grandiosa retata di ebrei, in Ungheria, da spedire ai cameroni di Birkenau. La macchina di strage più grande al mondo sarebbe stata fermata solo all’arrivo dell’esercito russo nel gennaio del 1945. Una donna con prontezza di riflessi dava a sua sorella l’unico snaturato consiglio per non scendere le scale che portavano ai cameroni delle finte docce. “Dai la bambina a mamma”: c’è stato un tempo infame in questo secolo in cui neanche questa frase era innocente”.
Erri De Luca, “Alzaia”