Isabel Allende – La casa degli spiriti #IsabelAllende

casa
“Ci sono molti bambini che hanno sogni divinatori, ma queste cose passano quando perdono l’innocenza”

Libro n•45 _ un libro che hai già letto almeno due o tre volte

Ho perso il conto di quante volte l’ho letto ed ogni volta mi piace e non lo trovo mai ripetitivo. Ho scelto questo libro perché, non so se conoscete la sensazione, ma è quello che più mi da conforto quando magari ho appena finito di leggere qualcosa che non mi piace, o di deludente, o quando succede qualcosa di brutto in generale nella vita, e allora davvero “un libro al giorno toglie la realtà di torno”.
È una moderna saga familiare che dagli inizi del 900 porta fino agli anni’70 attraversando la vita di tre generazioni della famiglia Trueba/ Del Valle. Ma è anche una sorta di testimonianza, per non chiamarla impropriamente autobiografia, della scrittrice stessa Isabel Allende e della sua discussa famiglia.
I narratori sono due e spesso si confondo come se parlassero in simultanea, e sono Alba Trueba, la nipote ultima nata del capostipite, Esteban Trueba, il nonno, alias l’altro narratore. Raccontano, a partire dalla fine,l’inizio della loro famiglia: i poteri sovrannaturali della nonna, Chiara chiarissima chiaroveggente, sposa di Esteban, medium in contatto con il mondo degli spiriti e in grado di avvertire gli eventi prima che accadano. L’amore profondo e tormentato della loro figlia, Blanca, per il figlio del fattore, Pedro Garcia Terzo da cui nascerà Alba. Le eccentriche, chiassose e riservate vite dei fratelli di Blanca, i gemelli più diversi al mondo, Nicholas e Jaime (che credo sia l’alter ego dello zio della scrittrice, Isabel Allende, l’ex presidente del Cile Salvador Allende). Alba scrive tutto questo perché la memoria è fragile, come diceva Clara, e la vita è talmente breve e tutto avviene così in fretta che non riusciamo a veder il rapporto fra gli eventi e non riusciamo a misurare le conseguenze delle azioni. Per questo si scrive: per vedere le cose nelle loro reali dimensioni e riuscire a trovare un senso mettendo insieme i pezzi di un rompicapo che sembra incomprensibile ma che, se portato a termine, acquisisce un senso in ogni sua parte.
È un mestiere difficile quello dello scrittore secondo Alba, perché non si riesce a vendicare la memoria di tutti coloro che ne hanno bisogno e la vendetta stessa e l’odio non sono buone motivazioni per raccontare perché nel tempo l’odio perde i suoi contorni e non si è più certi delle sue ragioni. Alba invece scrive perché il mestiere di chi racconta è la vita e il suo unico compito è riempire le pagine aspettando che gli eventi tornino alla normalità nel suo Cile contemporaneo, sotto il governo di Pinochet, mentre aspetta il suo uomo, un guerrigliero della resistenza e mentre aspetta che arrivino tempi migliori.
È di sicuro una delle storie più oneste che abbia mai letto e contiene tanta vita e tanto significato che può essere d’ispirazione per molti lettori anche se mossi alla lettura da interessi diversi.

Stefano Lillium

Uomini senza donne – Haruki Murakami

“Un giorno all’improvviso diventi uno dei tanti uomini che non hanno una donna. Quel giorno viene di colpo a farti visita senza che tu ne abbia il minimo presentimento, senza il minimo preavviso, senza annunciarsi bussando o schiarendosi la gola. Svolti l’angolo, e ti accorgi che ormai sei arrivato lì. Ma non puoi più tornare indietro. Una volta girato l’angolo, quello diventa il tuo solo, unico mondo. E quel mondo lo chiami «uomini senza donne». Sì, con un plurale di gelo infinito”.

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Uomini senza donne è l’ultimo libro tradotto in Italia di Haruki Murakami, sette storie, sette uomini la cui vita viene fotografata da un preciso istante in poi, il momento in cui il “femminile” esce di scena, e loro rimangono, appunto, uomini senza donna. I motivi di questa assenza sono più o meno misteriosi e drammatici, e gli uomini protagonisti non sono sempre necessariamente vittime. Ne emerge un racconto corale di solitudini e ricordi, di uomini che per un periodo – lungo o breve – hanno vissuto l’illusione della vicinanza, della comunione, e una in genere pacata nostalgia per quello che non è stato.

Le storie presenti hanno diversi gradi di profondità, surrealismo e malinconia. Come sempre succede nelle raccolte di racconti, qualcuno è più vicino all’autore come lo conosciamo nei romanzi, e qualche storia pare invece scritta da un’altra persona. Le tematiche e lo stile rimangono per me comunque molto coerenti con quello che ho letto finora di Murakami, una scrittura pulita e piacevole, a volte declinata in uno stile favolistico dove non succede quasi mai niente ma sembra che succeda sempre qualcosa di fondamentale, tra una passeggiata e un gatto, un amplesso e un disco jazz, un sogno e un giro in macchina, una citazione dei Beatles e una lista di libri da leggere.

In questi racconti troviamo l’attore vedovo che vuole diventare amico di un amante della moglie defunta; un giovanissimo innamorato che nella sua inadeguatezza spera che la sua ragazza, con la quale fa coppia fin dalle medie, si metta con suo amico, onde evitare di doverla cedere a sconosciuti; il chirurgo plastico, dongiovanni incallito, che si innamora per la prima volta in tarda età con conseguenza drammatiche; una Shahrazad che fa visita a un amante recluso e gli racconta frammenti di storie,  proprio come ne “Le mille e una notte”, lasciandolo ogni volta in sospeso a desiderare più di ogni altra cosa il suo ritorno (“Perché le donne offrivano un tempo speciale che annullava la realtà, pur restandovi immerse”); un uomo che scopre il tradimento della moglie, ma non riesce ad esprimere il proprio dolore e finisce con l’accumulare un vuoto interiore abissale. Perchè è giusto provare sì a dimenticare, ma non è abbastanza. “Non doveva solo dimenticare, doveva anche perdonare”. E nemmeno perdonare è abbastanza: bisogna avere rispetto per se stessi, e dunque saper ascoltare il proprio cuore, se -metaforicamente – si vuol evitare che i serpenti lo assedino. Bisogna avere il coraggio di ammettere: “Sì, sono stato ferito, e molto profondamente”.

In uno dei racconti più riusciti per me, Murakami rovescia la prospettiva della Metamorfosi di Kafka: non un uomo trasformato in scarafaggio, ma uno scarafaggio che si sveglia trasformato in Gregor Samsa, scoprendo subito quella molla potente della condizione umana che si chiama desiderio. L’oggetto del suo desiderio è una donna con un evidente difetto fisico, nelle strade di Praga ci sono militari stranieri che arrestano la gente. E non è un caso forse che l’unico spiraglio di relazione possibile del libro ci giunga grazie a un passaggio di fisicità ma soprattutto di personalità: il solo modo per riacquistare umanità (o imparare a viverla) sarà la relazione amorosa. La vicinanza dei diversi, la comunione al di là delle apparenze.

Murakami a me piace tanto come scrittore, ma penso che sia un autore che -più di altri- non può piacere a tutti: o ti lasci andare alla sua narrazione, o resisti; o ti affascinano i suoi mondi metà sogno metà realtà, o te ne vuoi andare per non tornare mai più. Questi racconti non fanno eccezione: c’è il registro magico-fantastico, anche se non è dominante, troviamo sia la storia più lineare sia quella dove chiudi e ti chiedi se tutto sia accaduto o  sia stato solo immaginato. Ci sono la contemplazione dell’illogicità della vita, il mondo onirico e la riflessione sulla solitudine dell’uomo davanti alle grandi scelte, e una galleria di personaggi in fondo comuni ma anche particolari e profondi nel tratteggio.

Se non avete mai letto nulla di questo autore e vi incuriosisce, per me potete partire da qui: se vi piace, nei romanzi troverete tutto quello che c’è in questo libro ampliato e approfondito. Se non vi piace, è comunque un libro maneggevole sia come temi che lunghezza, e vi sarete fatti un’idea serena di uno scrittore molto famoso.

Lorenza Inquisition