Piersandro Pallavicini – Una commedia italiana @piersandropalla @LaFeltrinelli

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Una saga familiare alla jonathan coe, ma declinata con ingredienti molto italiani: un industriale in pensione con la costante voglia di scherzare alla amici miei, un fratello e una sorella molto diversi fra loro e in costante conflitto più i rispettivi figli.

libro estremamente divertente e scritto bene. tra lo stereotipo del bauscia milanese, eccentriche case di montagna guardate con sospetto dai villici locali, case d’arte a londra e naturalmente gli occhi puntati su una ricca eredità da spartire, si sviluppa una storia che non manca nemmeno di momenti di tenerezza.

buono l’intreccio e riusciti i personaggi secondari per una lettura leggera, ma estremamente godibile. alla fine la cosa più brutta è proprio la copertina del libro.

andrea sartorati

DESCRIZIONE:

Carla Pampaloni Scotti ha cinquant’anni, una netta somiglianza con Ave Ninchi, è professoressa di Chimica alla Statale di Milano, è sposata con un fisico geniale, ha un figlio quindicenne purissimo nerd. La sua collega e amica della vita è Paola Ottolina: bassa, grassa, occhialuta, irrimediabilmente brutta e sola, con le sue fattezze da can-bulldog. O almeno così – e si parla del can-bulldog – sostiene il vecchio Alfredo Pampaloni, padre di Carla, ex industriale. Un ottuagenario che guida la sua Jaguar come Manuel Fangio, che prepara i Martini migliori del mondo, che indossa sempre giacca blu, pantaloni bianchi e mocassini senza calze, come un playboy anni sessanta. Come Gunter Sachs, il playboy par excellence degli anni sessanta. Anni in cui, d’estate, Alfredo spariva da Milano in Spider e andava chissà dove. Mentre Carla, con sua madre e suo fratello Edo, e insieme a loro anche l’Ottolina, rimanevano a Solària, il pae-se più alto del Trentino e d’Italia, in cima a una valle verde di pini e col cielo di un azzurro assoluto.
Agosto 2012: Alfredo Pampaloni convoca tutti a Solària. Nella futuribile villa di famiglia arriva Carla con suo figlio e l’Ottolina, e da Londra arriva Edo, con i suoi gemelli biondi e una moglie maleducata. E allora subito: il vecchio Pampaloni porta i figli da un notaio per cedere loro la casa di Solària e quella di Milano; Edo chiede conto dei milioni di euro da ereditare che sembrano svaniti; la villa e i suoi occupanti sono vittime di aggressioni incomprensibili – un’accetta conficcata nella centralina elettrica, scritte ingiuriose sui muri, palle di fuoco che scendono dal crinale. Ed è da qui che parte un intrigo che mescola il misterioso passato del capofamiglia con un presente minaccioso, affrontato con l’aiuto del vice ispettore Erica Daldosso – rughe e capelli d’argento. Il passato si sgroviglia. Ed è quasi tutto da ridere.

Concita De Gregorio – Mi sa che fuori è primavera @concitadeg

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Preso, aperto… e chiuso solamente qualche ora dopo, una volta finito.
Un libro dove l’autrice dà corpo e forma alla storia reale di Irina (Lucidi), attraverso lettere che descrivono i suoi affetti più cari, le persone più indifferenti che si è trovata davanti durante la ricerca delle figlie scomparse, i paesaggi, i colori e gli stati d’animo. In alcuni momenti assume quasi l’aspetto di un labirinto psicologico quando traccia, con poche precise pennellate, la personalità affetta da mania del controllo del marito. Mi è venuto da piangere leggendo perchè davvero non si può immaginare dolore più grande di quell’assenza congelata nel tempo e nello spazio che difficilmente, purtroppo, potrà avere una connotazione definitiva.

alessandra papi

DESCRIZIONE

Ferite d’oro. Quando un oggetto di valore si rompe, in Giappone, lo si ripara con oro liquido. È un’antica tecnica che mostra e non nasconde le fratture. Le esibisce come un pregio: cicatrici dorate, segno orgoglioso di rinascita. Anche per le persone è così. Chi ha sofferto è prezioso, la fragilità può trasformarsi in forza. La tecnica che salda i pezzi, negli esseri umani, si chiama amore. Questa è la storia di Irina, che ha combattuto una battaglia e l’ha vinta. Una donna che non dimentica il passato, al contrario: lo ricorda, lo porta al petto come un fiore. Irina ha una vita serena, ordinata. Un marito, due figlie gemelle. È italiana, vive in Svizzera, lavora come avvocato. Un giorno qualcosa si incrina.
Il matrimonio finisce, senza traumi apparenti. In un fine settimana qualsiasi Mathias, il padre delle bambine, porta via Alessia e Livia. Spariscono. Qualche giorno dopo l’uomo si uccide. Delle bambine non c’è più nessuna traccia. Pagina dopo pagina, rivelazione dopo rivelazione, a un ritmo che fa di questo libro un autentico thriller psicologico e insieme un superbo ritratto di donna, coraggiosa e fragile, Irina conquista brandelli sempre più luminosi di verità e ricuce la sua vita. Da quel fondo oscuro, doloroso, arriva una luce nuova. La possibilità di amare ancora, l’amore che salda e che resta.
Concita De Gregorio prende i fatti, semplici e terribili, ed entra nella voce della protagonista. Indagando a fondo una storia vera crea un congegno narrativo rapido, incalzante e pieno di sorprese. Scandisce l’esistenza di questa madre privata dei figli – qual è la parola per dirlo? – in lettere, messaggi, elenchi. Irina scrive alla nonna, al fratello, al giudice, alla maestra delle gemelle, abbozza ritratti, scava nei gesti, torna alle sue radici, trova infine un approdo. Dimenticare significa portare fuori dalla mente, ricordare è tenere nel cuore. Il bisogno di essere ancora felice, ripetuto a voce alta, una sfida contro le frasi fatte, contro i giudizi e i pregiudizi. Uno di quei libri in cui uomini e donne trovano qualcosa di sé.

Per essere felici non ci vuole tanto. Per essere felici non ci vuole quasi niente. Niente, comunque, che non sia già dentro di noi.