La forma del silenzio – Stefano Corbetta #StefanoCorbetta #PontealleGrazie

Se doveva dire qualcosa, stringeva gli occhi e si metteva a tracciare segni nell’aria senza mai distogliere lo sguardo da chi gli stava di fronte, una preghiera che recitava con il corpo, parole mute che sgorgavano da un angelo ferito.

Corbetta ci sta abituando molto, troppo bene… Ogni suo libro è un’immersione, struggente ma mai disperata, in una forma di dolore diverso: prima la malattia terminale, poi il sonno bianco di chi è in coma, adesso il mondo sommerso e vibrante di chi è affetto da sordità. Ogni libro, un trauma.

Lo sguardo dell’autore però ha un taglio obliquo, decentrato, nel senso che si posa e inquadra principalmente chi, quel trauma, lo vive di riflesso. Il tocco della sua scrittura non è mai invadente, entra con dignità e rispetto nel difficile universo di chi deve imparare forme di comunicazione alternative alla parola, cercando comunque la propria voce interiore… che c’è, esiste e chiede di essere ascoltata.

Siamo negli anni ’60, quando ancora la lingua dei segni era proibita nelle scuole… (perché i gesti erano per gli animali, l’istinto dei primati, e svilivano l’uomo. Solo la parola avrebbe salvato. Perché in principio era il Verbo, e il Verbo era Dio). Cosa succede ad un bambino di 6 anni, affetto da sordità bilaterale, a cui viene negata la possibilità di “parlare” con le mani? Quanta rabbia, quanta frustrazione, quanto bisogno di allontanarsi da quei lacci che gli legano le braccia dietro la schiena rendendolo ancora più muto (e solo) di quanto non sia? Ed ecco che Leo scompare… Lasciando la sua famiglia, e soprattutto Anna, sua sorella, privata di quel silenzio gioioso che tanto amava, e facendola precipitare in un silenzio davvero muto, privo di qualsiasi vibrazione, un silenzio che, anno dopo anno, ha inghiottito ogni speranza e si è mangiato la donna che sarebbe potuta diventare.

Qualcuno è più solido e continua, seppur nella disperazione, ad andare avanti, qualcun altro non ce la fa… e si arrende. Ma dopo 19 anni accade qualcosa che rimette in moto tutto… ricordi, dolore mai sopito, domande, sensi di colpa. Di nuovo quella maledetta notte innevata del 18 Dicembre del ’64 che si è portata via Leo… e per Anna la vita non sarà più la stessa. Indaga Corbetta, indaga con sensibilità e attenzione, tocca, scava e accarezza, crea mistero.

“La forma del silenzio” è un libro trasversale, che riesce a toccare, con delicatezza e maestria, diversi temi, tutti importanti: la disabilità, l’amore fraterno, lo smarrimento dell’assenza e della perdita, la disperazione che porta all’egoismo più cieco, la depressione e la ricerca della propria identità. È denuncia sociale, in un paese come il nostro che ancora non vede riconosciuta, a livello giuridico, la lingua dei segni.

Ma soprattutto, secondo me, è un libro sulla rielaborazione del sé.

Ed è bellissimo.

Antonella Russi

Descrizione

Leo ha sei anni. È nato sordo, ma la sua infanzia scorre serenamente. Con la sua famiglia, Leo parla la Lingua dei Segni, e quella degli affetti, che assumono forme inesplorate nei movimenti delle mani dei genitori e della sorella Anna. Ma è giunto il tempo della scuola e Leo viene mandato lontano da casa, a Milano, in un istituto che accoglie bambini come lui. Siamo ai tempi in cui nelle scuole è vietato usare la Lingua dei Segni. All’improvviso per Leo la vita diventa incomprensibile, dentro un silenzio ancora più grande di quello che ha vissuto fino a quel momento. Poi, in una notte d’inverno del 1964, Leo scompare. A nulla servono le ricerche della polizia: di Leo non si ha più notizia. Diciannove anni dopo, nello studio della sorella Anna, si presenta Michele, un compagno di Leo ai tempi della scuola. E inizia a raccontare la sua storia, partendo da quella notte d’inverno.

Editore: Ponte alle Grazie Collana: Scrittori

La fattoria del Coup de Vague – Georges Simenon #GeorgesSimenon #Adelphi

Come tutti i giorni, spuntò il sole, ma loro nemmeno se ne accorsero. Ci erano talmente abituati, come anche al paesaggio, che non ci facevano più caso. Un sole luminosissimo, un cielo che, pur essendo meno azzurro che altrove, era di una purezza assoluta. Vero è che si muovevano in un mondo fuori dall’ordinario: né sulla terraferma né sul mare, e l’universo, smisurato eppure in apparenza deserto, sembrava l’immensa valva di un’ostrica, con le stesse sfumature iridescenti, verdi, rosa e azzurre, che si fondevano come nella madreperla.
L’Île de Ré, per esempio, o meglio la sottile fila di alberi che se ne scorgeva, sembrava sospesa nello spazio, simile a un miraggio. La fattoria del Coup de Vague era quasi altrettanto irreale: una casa rosa, di un rosa troppo intenso, con un filo di fumo che prolungava il comignolo al di sopra della spiaggia di ciottoli, dove di lì a poco i carretti avrebbero ripreso contatto con la terraferma”.

Il “coup de vague” è quello della marea di La Rochelle che va a coprire gli allevamenti di mitili e di ostriche possedute dalle due zie Laclau – Hortens, dura e austera come una suora ed Emilie, dolce e, solo apparentemente, fragile. Vivono nella fattoria con il nipote Jean, figlio di un fratello defunto nel Gabon francese e di una madre senza nome morta di parto. Lui, che non si fa troppe domande, è il bel ragazzone del paese. Come per ogni cosa che non sia raccogliere le ostriche e portarle al mercato, il suo lavoro, sono le zie a prendere in mano la situazione per “risolvere il problema” di lui che mette nei guai la figlia del sindaco. Quando la marea si abbassa, lascia scoperta la fanghiglia del fondo, quella del mare e quella della vita provinciale della costa atlantica francese, quella che l’autore fa emergere con la sua infallibile scrittura fatta di mezze frasi, allusioni, non detti che dicono tutto della povertà morale e materiale, le menzogne e le ipocrisie che abitano le persone e i personaggi. Un Simenon che sceglie di ambientare e sviluppare la sua storia quasi esclusivamente all’interno delle mura domestiche, un romanzo introspettivo che scava fra le pieghe dei rapporti familiari, portando a galla il non detto. Bellissimo romanzo duro, non un giallo, in cui spiccano le figure femminili: alcune dure e calcolatrici, padrone della loro vita che non necessita degli uomini, altre picchiate e sfruttate da fannulloni, altre sposate per forza e sottomesse.

Simenon, “Le coup de vague”, scritto nel 1939, ancora una volta impareggiabile affrescatore della condizione umana. Imperdibile per gli lettori Simenon-dipendenti come il sottoscritto.

Renato Graziano

La fattoria del Coup de Vague – Georges Simenon

Traduzione di Simona Mambrini
Biblioteca Adelphi, 716
2021, pp. 142
isbn: 9788845935619
Temi: Letteratura francese

Risvolto

Ogni mattina, da tutte le case prospicienti la spiaggia denominata, quasi fosse un presagio, Le Coup de Vague (alla lettera: «il colpo d’onda»), avanzano, nella melma e nei banchi di sabbia lasciati dall’oceano che via via si ritira, i carretti dei mitilicoltori che vanno a raccogliere ostriche e cozze. Tra loro, Jean e sua zia Hortense, «coriacea, granitica, solida», quasi fosse «fatta anche lei di calcare». È Hortense, insieme alla sorella Émilie, con la sua «faccia da suora», a mandare avanti la casa e l’azienda. E dalle zie Jean si lascia passivamente coccolare e tiranneggiare: gli va bene così, ha una motocicletta nuova, le partite a biliardo con gli amici e tutte le donne che vuole, perché è un pezzo di marcantonio, con i capelli neri e gli occhi azzurri. Quando però la ragazza che frequenta da alcuni mesi gli annuncia di essere incinta, la monotona serenità della loro vita viene travolta da qualcosa che assomiglia proprio a un’ondata, improvvisa, violenta. A sistemare la faccenda ci pensa, naturalmente, zia Hortense: basta conoscere il medico giusto, e pagare. Ma qualcosa va storto, e Jean è costretto a sposarla, quella Marthe pallida, spenta e sempre più malata, di cui le zie si prendono cura con zelo occhiuto e soffocante…
Rari sono gli scrittori capaci, come Simenon, di portare alla luce, sotto la corteccia della rispettabilità piccolo-borghese, un verminaio di menzogne e di rancori, di ricatti e di ferocie.