Melania G. Mazzucco – Il bassotto e la regina

bassotto

Un bassotto filosofo e canterino, uno studente di filosofia sottile e altissimo, con la testa tra le nuvole, una giovane immigrata clandestina, un importatore abusivo di animali esotici, un levriero afghano femmina che sembra la regina dei cani e una pappagallina verde curiosa e altruista, questi i personaggi con cui Melania G. Mazzucco ha costruito una favola moderna per grandi e bambini. Lo stile è lieve e invitante, intessuto di perle di garbata e sorridente ironia; la storia è interessante e radicata nell’attualità, anche se la narrazione della pappagallina le dà ali leggere per distanziarsi quel tanto che basta dalle miserie umane, e i protagonisti sono tratteggiati con precisione anche se nel breve spazio di cento pagine.
La morale è necessaria e benvenuta, e la storia non la racconto perché si indovina dal tratteggio dei personaggi, e poi è un tale piacere correre quelle cento righe, magari coi piedi a bagno nell’acqua di un rivo, o di un lago, o del mare per rilassarsi completamente, che non voglio toglierlo a nessuno.
Adesso devo solo convincermi che non ho sbagliato niente quando ho deciso che un appartamento al quarto piano non è una condizione di vita accettabile per un cagnolino.

maria silvia riccio

Melania G. Mazzucco – Limbo #melaniagmazzucco #limbo

“Cerca di guardare se stessa da lontano, inquadrandosi nel mirino del fucile. Col passare delle settimane si rende conto che scrivere è come avanzare nella tenebra col visore notturno. O il visore a raggi termici. Essi rivelano ciò che si nasconde nella notte o ciò che è passato. E guardando così in quei visori immaginari – scrivendo – si vede con chiarezza. E vede il calore lasciato da Lorenzo, e Diego, e Nicola Russo, e Ghaznavi, e Fatimeh. Sono andati avanti, tutti, come dicono gli alpini, e però il visore termico ha trattenuto la loro presenza, filamenti di luce screziano lo schermo nero. Il visore segnala il calore del corpo di una persona anche se quella è andata via. Segnala una presenza che è anche un’assenza. E’ come guardare il passato. E la scrittura, in fondo, fa la stessa cosa. Non consola, non salva, non resuscita i morti, non recupera ciò che si è perduto. Ma registra il passaggio. Trascrive l’assenza – filamenti di luce nell’oscurità.”

Ad un incontro con l’autrice, Melania Mazzucco ha dichiarato che Limbo è stato il suo viaggio in Afghanistan; lo ha scritto anche nei ringraziamenti a chiusura del romanzo (“…Passavano solo combattenti armati, medici, trafficanti di droga e contrabbandieri. Io contrabbando parole e sono passata – senza lascaire impronte nella sabbia. Limbo è il mio viaggio”). Averla ascoltata mentre raccontava di aver rifiutato l’invito dell’Esercito a visitare una base in Afghanistan per avere la libertà di immaginare i personaggi del suo romanzo a tutto tondo, senza “dovere” niente a nessuno, è quel che mi ha spinto a leggerlo.
Limbo è il racconto di una rinascita, forse di due. Manuela torna nella casa della sua infanzia, a Ladispoli, in licenza durante la convalescenza seguita all’incidente in Afghanistan in cui si è salvata per un soffio, per una divergenza. Quell’incidente ha spazzato via tre dei suoi compagni di ventura, uomini che avrebbe dovuto proteggere e della cui morte si sente, immotivatamente, responsabile. Mentre vaga in una casa che non riconosce più come la propria schivando le attenzioni di madre e sorella e gli sguardi di nonna e nipote, si accorge che l’unico ospite dell’hotel dall’altra parte della strada la osserva, e lei comincia ad osservare lui. Si incontrano, si parlano e cominciano a conoscersi – a scambiarsi la loro essenza. Senza saperlo, insieme cercano di capire come ci si libera dal peso di quel che è stato, come si esce dal limbo. Tra quel che succede – i capitoli “Live” – e il lavoro di rielaborazione di quel che è successo impostole dallo psicologo militare – i capitoli “Homework” – il romanzo racconta la sofferenza del rientro da una missione (in senso proprio e in senso lato).
Limbo mi ha emozionato. Mi ha coinvolto. Mi ha detto molte cose, tante che non immaginavo proprio. In parte mi ha anche riconciliato con la missione in Afghanistan, che adesso riesco a leggere anche da un punto di vista opposto al mio rifiuto. L’ho chiuso con molta malinconia, e con una nostalgia che non mi spiego.

Maria Silvia Riccio

foto di Maria Silvia Riccio.