La vedova Van Gogh – Camilo Sanchez

 Una storia vera, bellissima, mai raccontata. La storia della donna che ha consegnato al mondo l’arte di Van Gogh.

van-goghLo scorso anno ho visitato qui a Torino una bella mostra dedicata a Van Gogh, un lavoro multimediale ricco di proiezioni, immagini, brani estratti da lettere scritte da Vincent al fratello Theo. Mi colpì in modo particolare una lettera dove, con una semplicità disarmante e una dolorosa lucidità, Vincent si domanda “chissà se un giorno il mondo capirà il dolore e la sofferenza con i quali ho pagato questi quadri. Chissà se questa sofferenza varrà almeno il prezzo dei tubetti di colore che ho utilizzato…”.

Chissà, Vincent, chissà…
Quella frase mi ha commossa fino alle lacrime e da allora ho cercato di approfondire un po’ la figura di Van Gogh che conoscevo in maniera molto superficiale.
Questo libro di Camilo Sanchez mi ha aiutata ad aggiungere un tassello in più a tutta la storia. E che tassello!
Johanna Van Gogh – Bonger è la cognata di Vincent, moglie di suo fratello Theo. Il libro ci racconta la sua storia dal giorno del suicidio di Vincent fino alla prima trionfale mostra dei suoi quadri.
Johanna è una giovane vedova di trent’anni con un bimbo piccolo. Il marito Theo, legatissimo al fratello, è morto poco dopo Vincent, per gli effetti della sifilide e per crepacuore. E’ una donna forte, moderna, capace di decisioni determinate e lungimiranti, femminista e caparbia in un momento storico in cui le donne devono mascherare riunioni in cui parlare dei propri diritti dietro il paravento di un tè con le amiche per ascoltare musica da camera. Johanna è indipendente: cresce un figlio rifiutando l’aiuto dei genitori e decidendo di aprire una locanda per turisti. Alla pareti della locanda appende centinaia di quadri senza valore: sono girasoli, panorami della Provenza, campi di grano, autoritratti. Non valgono niente, nessuno li vuole, qualcuno usa perfino una tela arrotolata per tappare un buco nel pollaio… Johanna ne ha la casa stracolma. C’è qualcosa in quei quadri… qualcosa che la spinge a metterli in mostra, a non nasconderli. Qualcosa che viene fuori anche dalle 600 lettere che ha ereditato dal marito, le 600 lettere che Vincent ha scritto a Theo nel corso degli anni. Nelle lettere, Johanna scopre poesie (scrive Vincent Van Gogh: “A momenti, quando la natura è bella come in questi giorni, sento una terribile lucidità. Poi mi dimentico di me stesso, e il dipinto mi viene come in sogno“).
Johanna insiste. Cerca contatti, crea legami. Vende per due soldi alcuni disegni per finanziare piccole mostre. Un passo dopo l’altro. Vendere solo in necessario per poter esporre il resto, come scriveva Vincent.
Johanna è una figura doppiamente straordinaria di donna. Per il suo modo di essere e per essere stata l’artefice che ha permesso a tutti noi di godere la meraviglia, le centinaia di meraviglie, dei quadri di Van Gogh. In fondo, una persona meno decisa e più influenzabile avrebbe potuto tranquillamente sottostare alle pressanti richieste di coloro che la spingevano a distruggere quei quadri perché “demoniaci” (fossero stati in mano ad una delle sorelle di Vincent probabilmente sarebbe andata così) . Avrebbe potuto fare un bel falò e amen. Ah, mio Dio, quanto più triste il mondo senza la bellezza di Van Gogh, non pensate?
Il libro è a metà strada tra il romanzo e la biografia, ricco di pagine estratte dal diario di Johanna con parti più o meno immaginate ma del tutto verosimili. E’ un buon lavoro, secondo me. Affascinante. Come affascinante, lo ripeto, è la figura di questa donna che ha saputo vedere avanti, molto avanti.

“….gli ho chiesto di mandarmi gli altri quadri di Theo rimasti a Pigalle. Ce ne sono di Paul Gauguin, Pissarro, Toulouse-Lautrec, Millet. Adesso valgono solamente duecento franchi ciascuno. Ma poi chissà.”
Chissà, Johanna, chissà…

Anna Massimino

Ho paura torero – Pedro Lemebel #PedroLemebel

TERZO LIBRO

Un libro ambientato nel passato

hopauratorero

Ho paura torero. Ho paura che stasera il tuo sorriso svanisca“: tre parole d’ordine per creare sovversione, poesia e amore. Nella Santiago del 1986, dopo più di un decennio di terrore e repressione, un gruppo di ribelli, noto anche come Fronte patriottico Manuel Rodriguez, organizza l’attentato al dittatore. Nell’intimità della casa all’angolo della “fata”, il protagonista di questo romanzo, un emarginato omosessuale e travestito di mezza età, che ammaliato dalla bellezza del giovane universitario-guerrigliero, Carlos, offre la sua casa come rifugio per gli “universitari”.
Ci sono tre livelli che Lemebel intreccia con sapienza nel romanzo:

n•1 il brusio di fondo di cui non abbiamo una chiara visione, ovvero il dissenso sotterraneo che porta al rovesciamento della dittatura di Pinochet, il disagio di una società soffocata che non trova modo di esprimersi e che rappresenta quindi il “rumore bianco”che si sente nel romanzo
n•2: la dissacrante visione del mondo della Fata e del suo circolo di amici/amiche, come un cicaleccio che con fragore irrompe nel quotidiano ma a cui ci si abitua: puó essere volgare, ignorante, esplicito, ma mai scontato, perché questo tono della narrazione è volutamente spiazzante e compare laddove non lo si aspetta, magari dopo qualche riga piena di suspance, giusto per non essere prevedibile.
n•3: l’amore non corrisposto, che è il tema principale, un inno alla gioia che la fata dedica a Carlos, un ragazzo con la metà dei suoi anni e eterosessuale, insomma un disastro annunciato. Eppure è un amore che riempie le pagine e gli occhi e Lemebel é proprio bravo a descrivere quelle piccole e improvvise scosse di gioia che riempiono l’innamorato quando l’oggetto della propria adorazione è a portata di mano. Chi non ha mai avuto le farfalle nello stomaco? Ma mai così forti e mai così poetiche. Che belle pagine piene di poesia, così fragili e alla ricerca di una leggerezza che si pensava perduta a una certa età e invece poi ritrovata e fantasticata grazie al fortuito incontro col “torero”. Forse aveva ragione Kavafis: “Un poeta ha detto: la musica più dolce è quella che non si può sentire. E io credo che la vita migliore sia quella che non si può vivere“. E forse gli amori più belli sono quelli sognati. Lemebel non chiude invocando un senso: lascia i personaggi in balia di un destino non definito, senza aver completato le proprie missioni e senza aver consumato i propri amori. Solo tre parole per dimostrare il proprio valore, mentre si aspettano tempo migliori, mentre la ribellione infuria e il polverone è ormai sollevato, parole eroiche e poetiche, parole fatte di terrore e amore: ho paura torero.

Stefano Lillium