Il bambino indaco – Marco Franzoso – 2012, pag. 132
I bambini indaco, secondo la New Age, sarebbero bambini particolari, esseri venuti sulla Terra per annunciare una nuova Era, spiritualmente e psicologicamente diversi dagli altri, e per questo più deboli, in un certo senso, avviati ad un destino fatto di incompresione, e anche di derisione altrui.
Carlo e Isabel. Una coppia che si conosce come tante altre, su spinta di amicizie comuni. Un incontro al buio, e nasce l’amore. Un amore bello, bello in sè, bello come unicità, ma bello anche come tanti altri nel mondo. Due persone che sono in sintonia l’una con l’altra e in sintonia perfetta col mondo: “La bellezza ci chiamava, ci sceglieva perchè sapeva di essere riconosciuta da noi, sapeva che eravamo ingordi della sua meraviglia e che qualunque forma avesse assunto noi l’avremmo riconosciuta: Perchè noi eravamo le sue dimore predilette, una donna e un uomo nella loro stagione migliore.” Una serenità e una felicità che sembrano assolutamente inattaccabili. Un bambino in arrivo, ed ecco che, nel momento che doveva essere la sublimazione della felicità, tutto comincia inspiegabilmente ad incrinarsi. Un malessere cresce nella madre, insieme al feto. L’aspirazione alla perfezione per un figlio la spinge verso una lucida follia. Dall’incipit fino alla fine il libro si legge quasi come se si avesse la febbre addosso, tanto che l’ho letto in due ore, del resto sono 132 pagine. Conosciamo l’epilogo fin dalle prime righe, ma corriamo lo stesso, avidi di conoscere, forse di comprendere il perchè l’amore materno, quello per tutti assolutamente alieno da imperfezione, arrivi a quel punto. E scopriamo tutte le tappe di un incubo, il senso di inadeguatezza, la sottovalutazione, la rassegnazione, la disperazione, le lotte per sopravvivere, l’incapacità, l’immaturità di un padre, le manovre sotterranee tra due genitori, l’amore di una nonna che supera ogni barriera. Scopriamo un percorso dolorosissimo, in cui un padre ed un marito si sente inadatto a comprendere e inabile ad agire, quasi come incredulo che una lastra di vetro perfetta e lucida di un rapporto si possa pian piano riempire di quelle “infinite e finissime crepe” che la vanno infine a devastare. Scopriamo come un amore si trasformi in guerra, come due persone che si amano possano diventare due nemici aggueriti. Tutto in nome dell’amore per il proprio figlio. Un contrasto brutale, contronatura. Ma credo soprattutto che il libro voglia sottolineare l’ansia che pervade l’essere umano quando si rende conto di non poter controllare, prevedere, difendere ciò che ha di più caro, quello che ha lui stesso contribuito a creare, quando si accorge che nemmeno un figlio può avere in sè le armi che lo preservino da sofferenza e dolore nella vita. Non so se fare una critica, a questo libro. Il finale è molto accelerato, probabilmente perchè non era quello che all’autore interessava. Il racconto è a metà tra narrazione e cronaca, come un giallo descritto da un articolo di giornale, a volte. Ovviamente la riflessione finale non porta che a dire che l’ansia di controllo è inutile, che il destino procede appunto come da suo stesso nome, e che la vita va assecondata e non ostacolata. Lascio la lettura con profondo malessere.
Carlo Mars
