Pet Sematary – Stephen King #StephenKing #PetSematary

“Segui la retta via, e tutto va bene. Esci di pista, e se non sei più che fortunato prima che te ne renda conto ti sei già persa. E così qualcuno è costretto a mandar fuori le squadre di soccorso.”

Titolo: Pet Sematary (or. Pet Sematary)
Autore: Stephen King
Traduttore: Hilia Brinis
Editore: Pickwick

Questo romanzo qui dentro l’avete letto in tanti, tantissimi. Io non l’avevo mai letto, pur avendolo in libreria da un po’, perchè sapete com’è. I libri ti devono in un certo senso “chiamare”. Credo che sia in assoluto uno dei romanzi più horror con cui ho mai avuto a che fare: angosciante, pieno di follia e di dolore. Eppure, proprio per questo, tremendamente umano. La storia di questa famigliola da Mulino Bianco Americano la cui felicità viene improvvisamente stroncata dalla tragedia, la peggiore che possa capitare, mi ha squartato l’anima. Pet Sematary è un libro sulle paure, su quella primordiale della morte, su quella delle conseguenze inaspettate che potrebbero determinare i nostri desideri. Il libro non è solo una storia ma una bella allegoria di vita dai molteplici spunti di riflessione, dove principalmente King eviscera il tema della morte, intesa come perdita delle persone care. Ognuno di noi reagisce in modo diverso di fronte ad essa, ma una cosa è certa: nessuno, sebbene razionalmente sappiamo che la morte è un fatto estremamente naturale, riesce ad affrontarla bene. Le cinque fasi dell’elaborazione del lutto certe volte vanno letteralmente a farsi fottere, passatemi il termine. Facciamo quello che possiamo, ma a volte non riusciamo ad andare avanti nel modo in cui dovremmo. La piccola Ellie rimane traumatizzata quando viene portata davanti al cimitero degli animali, perché – bimbetta cinquenne – davanti alle lapidi di quei cuccioli capisce improvvisamente che la morte è qualcosa di reale, che esiste, e che forse potrebbe portarsi via il suo adorato gattino Church. La presa di coscienza di un bambino davanti alla morte è sempre traumatizzante ed avviene improvvisamente. Non ci sono eccezioni in questo.

“La morte era un concetto vago; il cimitero degli animali era reale. In quelle rozze lapidi erano insite verità che perfino una mano infantile riusciva a toccare.”

Rachel, la mamma, anche lei si porta dietro strascichi pesanti in seguito alla morte della sorella, avvenuta quando lei era ancora piccola. E poi c’è una nuova, terribile morte che aspetta la famiglia dietro l’angolo, che tramuta il dolore in una follia sempre più dilagante. Il finale poi è una spirale impazzita di dolore e angoscia, spiazzante, da dieci e lode. Bravo Maestro.

“Come medico, lui anzi sapeva che la morte era, a parte forse la nascita, la cosa più naturale del mondo. I conflitti umani non lo erano e, nemmeno i conflitti sociali, le tasse, il boom o la depressione. Alla fine, c’era soltanto l’orologio, e le lapidi, che si corrodevano e diventavano anonime con il passare del tempo.”

Paola Castelli

Canzone da ascoltare, ovviamente, i Ramones.

Il figlio – Michel Rostain #IlFiglio #MichelRostain

Il figlio – Michel Rostain

Traduttore: F. Alessandri
Editore: Elliot
Collana: Scatti

Da tempo “Il figlio” era nella mia lista di libri da leggere. Diverse recensioni lette qui nel gruppo mi avevano incuriosita. Per questo, appena me lo sono visto davanti su una bancarella ad un prezzo ridicolo, mi sono affrettata a comprarlo.
Mi sono affrettata talmente tanto che non ho fatto attenzione all’autore e mi sono portata a casa Il figlio sbagliato. Non le vaste praterie e l’epopea americana di Philipp Meyer. Proprio per niente.

Michel Rostain è un regista teatrale francese, questo è il suo primo romanzo, vincitore del Premio Goncourt; in questo libro racconta della morte del suo unico figlio, stroncato a vent’anni da una meningite fulminante.
Cosa si può dire di un libro così? Quasi nulla, perché come si commenta il dolore più grande del mondo e il modo in cui lo si affronta?

La voce narrante è quella dello stesso Lion, il figlio, che vede suo padre affrontare un distacco che non può essere in alcun modo accettabile. La vita finisce, ma la paternità, o la maternità, ovviamente, no, non hanno fine, mai.
E così Rostain racconta per bocca di suo figlio la difficoltà di accettare l’inaccettabile, vaga nel tempo ricordando il passato e paventando il futuro, anche l’ingresso in un negozio non è più un gesto di routine, tutto riporta “all’ultima volta che”. Rimorsi continui, e poi cercare di realizzare le ultime volontà di chi aveva di fronte tutta la vita, cercare di interpretare pensieri che non si erano condivisi, leggere dietro le parole e poi rimproverarsi. Lion se ne va in tre giorni, o meglio in tre minuti, la malattia è fulminante, lo dice il nome, non lascia tempo. A nessuno.   Lo stile è molto teatrale, e questa non vuole assolutamente essere una critica, tutt’altro. L’autore è un regista teatrale, la sua scrittura riflette semplicemente il suo mestiere.
Il contenuto è devastante. Poetico, tenero, struggente.
Devastante.

Devo fare più attenzione!

Anna Massimino

Descrizione

Questo romanzo celebra la vita e la morte con emozione e pudore, trascinandoci nel racconto di un dolore intollerabile – quello di un genitore che perde un figlio – con riserbo, eleganza e imprevisti tocchi di leggerezza. L’autore affida alla voce benevola e a tratti ironica del figlio Lion, morto a ventuno anni di meningite fulminante, il compito di condurci attraverso le vicissitudini che hanno preceduto e seguito la sua scomparsa, permettendoci di partecipare a quanto c’è di più intimo nella vita di una famiglia diversa e uguale a tutte le altre. E tra i ricordi dell’infanzia e quelli della giovinezza incompiuta del figlio, Michel Rostain opera il miracolo che appartiene alla letteratura, la capacità di trasfigurare i sentimenti più profondi, valicando i confini dell’esperienza personale e arrivando a toccare il cuore di chi legge con un invito alla speranza: si può vivere con un dolore così. Pur essendo ateo, l’autore lascia aperti, rispettosamente, tutti gli interrogativi che circondano il mistero della morte; non cerca e non propone risposte retoriche o facilmente consolatorie ma offre al lettore una via, personalissima, per continuare ad amare la vita, nonostante tutto.