Non buttiamoci giù.
Be’ non siamo obbligati a decidere così sui due piedi, giusto?” ha detto JJ. “No, affatto” ha risposto Martin. “Cioè, allora che ne dite di prenderci ancora sei mesi? E vedere come ce la sfanghiamo?” “Ma…quell’arnese…il London Eye, sta girando o no?” ha chiesto Martin. “Non riesco a capire.” Siamo rimasti a guardare per un pezzo, cercando di decidere. Martin aveva ragione. Non sembrava che si stesse muovendo, ma si doveva muovere, secondo me.
Non posso dire che questo libro mi sia piaciuto molto; parte molto bene e ne ho consumato più della metà in una serata. Poi mi sono un po’ arenata, mi succede abbastanza spesso con Nick Hornby: costruisce una storia promettente e accattivante, e verso la fine si sgonfia come un soufflè mal riuscito. Il tutto è però tenuto insieme da una scrittura che trovo davvero superiore, per me Hornby scrive veramente veramente bene, non c’è una frase che vorresti saltare, e comunque davvero non dovresti saltare niente, e lo sai. Il problema se vogliamo è che sembra che lo sappia anche lui che è proprio proprio bravo, e tra metafore e arguti motti e frasi fluenti come fiumi verso il mare enzomma, dai, c’è sempre quel centinaio di pagine che non porta niente alla storia se non puro stile.
La trama è abbastanza nota, non è un libro nuovo, e ci hanno pure tratto un film: la notte di Capodanno quattro sconosciuti arrivano sulla cima di un grattacielo, ognuno con l’intento di suicidarsi. Il fatto però di trovarsi proprio in quel momento insieme ad altra gente è chiaramente un anticlimax per tutti loro, e rimandato il progetto suicida scendono, rimanendo quasi per caso insieme anche nei giorni successivi, come una specie di gruppo di supporto. Queste quattro persone – una sedicenne con gravi problemi in famiglia, un giovane musicista fallito, una madre single di mezza età con un figlio gravemente disabile, un ex anchorman finito in uno scandalo mediatico per aver fatto sesso con una minorenne -sono descritte molto bene, arrivi facilmente a capire la motivazione e i propositi di ciascuno di loro, riesci persino a identificarti anche se almeno tre sono persone veramente sgradevoli. I motivi per cui vogliono farla finita vengono spiegati con brutale onestà, molto sinceramente, e davvero ti trovi a vedere tutti i personaggi come un qualcosa di più del loro desiderio di morire.
Hornby ha deciso di strutturare questo libro in modo particolare, che a me è piaciuto, forse non tutti condividono, ma trovo che il suo sia stato un tentativo ben riuscito: ogni personaggio parla in prima persona, abbiamo quindi 4 protagonisti diversi, che si alternano con il proprio punto di vista per tutto il romanzo. Stilisticamente non è facile rendere quattro diverse persone in modo credibile, ma come dicevo Hornby è bravo, e raramente “senti” lo scrittore dietro le parole di chi sta parlando in quel momento, e per questo complimentazioni diffuse.
Però, arrivati oltre la metà, quando insomma bisognerebbe tirare una qualche conclusione, la storia arranca. Come dicevo, capisci perchè queste persone vogliono farla finita, e capisci anche che in fondo se scrivi un libro sul suicidio, vuoi probabilmente parlare del significato, se non del valore, della vita, e in questo senso io ho trovato il tutto abbastanza vuoto. I personaggi continuano per lo più a essere senza propositi o costrutto, quello che fanno senza molto senso, e pure la loro intrinseca antipatia non scema. Quel senso di connessione che provi all’inizio rimane un po’ lì fine a se stesso, perchè non c’è sviluppo in un senso o nell’altro: i protagonisti continuano a essere quattro sconosciuti che non arrivano davvero a volersi bene o a essere amici, che non riannodano legami con gente che hanno amato nè ne sviluppano con altri nuovi arrivati, e neanche si pongono particolari progetti per il futuro, a parte una di loro che è l’unica voce che ho onestamente apprezzato come veritiera, quella di Maureen, la madre single con il figlio disabile.
Per gli altri, ma in realtà anche per lei, i problemi all’inizio esposti con encomiabile onestà si trascinano fino alla fine, portandoti sinceramente a non avere nessun particolare interesse per il destino di queste persone, verso le quali non provi più empatia; le conclusioni sul significato di quanto è accaduto le trai tu, se vuoi, ma nel libro non ci sono molte riflessioni. Il finale è aperto, e in sè questo ha anche il suo perchè, dato che la vita è così, in fondo. Rimane un libro molto ben scritto, con alcune cose buone ma che non mi ha lasciato dentro quel desiderio di dire Ho amato tutti voi e la vostra storia, tornerò a trovarvi.
Tre stelle su 5 perchè un libro brutto è comunque un’altra cosa.
Lorenza Inquisition
