Lettere alla fidanzata – Fernando Pessoa #fernandopessoa

Pessoa ha 32 anni,  è un uomo sempre vestito di nero, con gli occhiali, un cappello con la falda alzata ed una cravatta a farfalla; lavora negli uffici del cugino a Lisbona e si occupa di traduzioni di testi commerciali. Ofelia Queiroz ne ha 19, è fresca, carina, spigliata e, contro la volontà dei suoi genitori, ha deciso di trovare un impiego. Conosce il francese, sa scrivere a macchina e sa anche qualche parola di inglese, ed è stata appena assunta negli stessi uffici. Pessoa se ne invaghisce immediatamente.
La sua dichiarazione d’amore ricorda una teatralità shakespeariana e la sucessiva corrispondenza la conferma; la loro relazione appare subito tormentata e sembra manifestarsi soprattutto in questi scambi epistolari. I loro incontri saranno sempre fugaci, seppur quotidiani, si svolgevano in strada, lungo percorsi obbligati da altri impegni presi da entrambi.
Dopo nove anni di interruzione, la loro relazione riprese ma, ormai, Pessoa aveva un vincolo indissolubile: la letteratura. Le scrive infatti :”Il mio destino appartiene a un’altra legge. La mia vita è subordinata a Maestri che non permettono e non perdonano”.
Queste lettere, ad una prima lettura, sono talmente banali e adolescenziali che si domanda se siano state scritte dallo stesso autore de ” Il libro dell’inquietudine“.
E’ sufficiente ricordare quante anime abitassero Pessoa per farne una diversa lettura: Pessoa vive la sua vita con un ” come se” posto davanti ad ogni sua manifestazione. Per lui agire, vivere implica la scelta di un’identità/maschera che ne preclude molte altre. E’ abitato da una profusione di istanze che corrispondono ad altrettante entità di finzione, gli eteronimi, ognuno dei quali ha una biografia specifica.
Solo in questo modo il suo “io” può essere al tempo stesso “altro”.
Annullando l’ipotesi di essere “uno”, ha voluto essere tutto o, almeno, ha cercato di essere molte cose nello stesso tempo. Si è sottratto alla “vita” per il timore di essere catturato nella propria identità.
E anche in questa relazione, Pessoa non rinuncia alla finzione, ma colloca la relazione amorosa non tanto in una sfera di ricerca della verità del sentimento, piuttosto sul desiderio riflesso in una immagine di sè speculare a quella dell’altro.
Ma come sappiamo, in Pessoa non c’è niente di più vero della finzione e quindi la scrittura prevale sulla vita, una vita, la sua, in cui non c’era spazio per il “vero amore” ma solo per la simulazione letteraria del sentimento.
Di autentico rimane il desiderio.
Il desiderio di essere uno, nessuno o centomila.

« Una delle mie preoccupazioni costanti è capire com’è che esista altra gente, com’è che esistano anime che non sono la mia anima, coscienze estranee alla mia coscienza; la quale, proprio perché è coscienza, mi sembra essere l’unica possibile. »
(Fernando Pessoa, Il libro dell’inquietudine di Bernardo Soares)

Egle Spanò

Il club delle lettere segrete – Ángeles Doñate #recensione #romanzo

lettere

Far seguire alla biografia di Keith Richards le sdolcinature di questo romanzo è stato sconvolgente!

La storia è semplice: Sara, giovane postina di un paesino spagnolo, sta per essere trasferita in città. Nessuno scrive più lettere e l’ufficio postale non ha più ragione di esistere. Rosa, la sua anziana amica ottuagenaria, ha una brillante idea. Quale?
“Semplice, come ho fatto io: scrivi una lettera. Non importa se lunga o corta, né he sia scritta bene o male. Mandala a un’altra donna in paese. Anche se non la conosci, condividi con lei pochi minuti della tua vita. Formiamo una catena di parole talmente lunga da arrivare in città e forte che nessuno la possa spezzare.”
Insomma, una sorta di catena di sant’Antonio al femminile per dar lavoro alla postina. Bellissima idea, mi è piaciuta molto.

A questo punto, però, io mi trovo ad un bivio.
Perché le lettere che queste donne scrivono sono bellissime. Davvero. Sono donne giovani o anziane, felici o no, soddisfatte o deluse, piene di sogni o di alcol. C’è la madre che ha lasciato i figli in Perù e non li vede da tre anni. C’è l’anziana signora che cucina come nessuno al mondo e che parla con tenerezza e rispetto con gli attrezzi della sua cucina. E c’è quella che scrive “siamo andati via e abbiamo fatto finta che la felicità non fosse mai esistita, per non doverla rimpiangere”.
Consiglierei la lettura del libro solo per il contenuto delle lettere. Oltre che per la storia d’amore tra i due ragazzi, lei aspirante poetessa e lui viaggiatore mancato, rimasto a prendersi cura del padre malato di Alzheimer (le pagine che lo riguardano sono molto toccanti).

Come dicevo, però, sono ad un bivio oltre ad essere ancora posseduta dallo spirito cinico di Keith Richards. Per cui vedere questo ameno paesino dove tutti si vogliono bene, si dicono cose come “sei lo scoglio al quale sono finalmente approdato”, hanno le farfalle nello stomaco, si amano, e fondamentalmente grondano miele, oltra al fatto che dai, sarai anche tonta ma 4 pagine per convincerti ad uscire con una scusa la sera dei tuoi 40 anni che anche il mio cane l’avrebbe capito che c’era una festa a sorpresa…..uff…. Quanta dolcezza e quanta poca credibilità, certe volte. Oltre al fatto che se hai anche solo una punta di acidità di stomaco non puoi non notare che l’ufficio postale è salvato con un totale di 7 lettere. Però!

Una cosa che mi ha fatto molta tenerezza comunque è stata che, come stabiliva la regola, tutti i destinatari hanno mantenuto il segreto sul contenuto delle lettere ricevute, ognuno ha conservato le confidenze nel segreto del proprio cuore (!). Nessuno ha sentito il bisogno di scannerizzare le lettere e pubblicarle su Facebook. Questo è bello.

Anna Massimino