Il Piccolo Regno – Wu Ming 4 #WuMing

“Mio cugino Julius fu il primo a lasciare il regno in questo modo. Quando scoprì di dover abbassare la testa per entrare nella nostra casetta di legno fu come se fosse scattato un conto alla rovescia. Da allora, ogni volta che entravamo nel nostro rifugio, misuravamo quanti centimetri mancavano a farci sfiorare lo stipite, per sapere quanto tempo ci restava.”

Il collettivo Wu Ming, Luther Blissett e i vari loro consociati e adepti producono molto, in molti campi; star loro dietro in tutti i progetti francamente sarebbe per me una fatica improba e, a essere proprio sinceri, non penso che tutto quello che scrivono sia sempre imperdibile. Però ogni tanto pesco un loro romanzo perchè anche se forse non sarà memorabile trovo che abbiano sempre qualcosa da dire, a livello artistico, storico, letterario; e alcuni loro libri in digitale si trovano a prezzi davvero irrisori, e quindi mi piace investire nei loro progetti.

Il Piccolo Regno è un libro del 2016, tecnicamente forse una storia per ragazzi (anche se non ne sono così convinta), che parla di ragazzi: quattro cugini britannici trascorrono le estati in una casa di campagna, con le madri e i domestici, i padri in visita dalla City solo durante i week end. Il periodo storico è il decennio prima della Seconda Guerra Mondiale, la campagna inglese è rigogliosa e bellissima, gli echi di Stand by me e di Narnia inevitabili e nostalgici. All’inizio è tutto molto chiaro e lineare: la bellezza dei giochi e l’unità del branco, la libertà infinita delle vacanze estive, l’eccitazione di una caccia a un tesoro vero da ritrovare, le avventure meravigliose di chi è bambino contrapposte alla noia di essere adulto e conformarsi. Poi qualcosa cambia, perchè anche l’infanzia, il piccolo regno dorato che è stato di tutti noi per qualche anno, prima o poi finisce: e ci apriamo al dolore, al conformismo, al compromesso. Diventiamo adulti, ma soprattutto -prima di questo- vediamo davvero come si comportano gli adulti, e ci pare la più terribile delle menzogne. E’ questo, il tema del Piccolo Regno: la perdita dell’innocenza, il momento malinconico e dolente, e spesso per alcuni drammatico, in cui ci si lascia alle spalle l’innocenza.

“Degli eroi. Questo eravamo. Vivevamo estati eterne, dominate dalla voglia di lasciarci alle spalle la città in cui avevamo trascorso l’inverno, e guadagnare spazio, liberarci dalla costrizione delle sciarpe e dei cappotti.”

E’ un romanzo che si può leggere su due piani, uno, più semplice e diretto, è quello della storia per ragazzi, un romanzo di formazione; l’altro è per chi si vuole ricordare come era, essere ragazzi. Per questo ci sono molti temi letterari, i sopra citati King e C. S. Lewis, ma anche Tolkien, la Banda dei Cinque, i Goonies; e molta storia, l’ascesa del nazismo e il fascino nero che esercita su una parte dell’aristocrazia inglese, la sindrome post-traumatica dei reduci di guerra, la repressione del movimento operaio, Lawrence d’Arabia e il fabianesimo. Quello che mi fa pensare che non sia del tutto adatto ai più giovani, comunque, è un tema nero, oscuro, che si annida nel finale, assai poco benevolo, ma soprattutto nella descrizione di quello che accadrà ai protagonisti da adulti, che sconfina nel tragico. Diventare grandi è drammatico, ma in fondo un fatto naturale e necessario; tutti lo accettiamo, in genere senza perderci troppi sonni. Ma in letteratura, io sono della scuola di Mark Twain alla fine di Tom Sawyer, che chiude la porta sui protagonisti mentre sono ancora ragazzini, consegnandoli così all’immortalità. Sapere cosa succederà loro da adulti per me è una crudeltà immotivata; ma d’altronde un’intera corrente di storie per l’infanzia abbraccia la conclusione adottata da Wu Ming 4, e quindi non necessariamente dovete essere d’accordo con me.

Il Piccolo Regno rimane un libro dolceamaro, tenero in certi momenti, crudele in altri, ben scritto e con una trama, se non davvero originale, comunque molto accattivante. Forse l’unica cosa che non mi ha convinto davvero è la narrazione in prima persona del protagonista adulto, che ripercorre le imprese infantili; è un motivo descrittivo usato spesso in letteratura, e non sempre riesce: non è facile per niente far parlare un bambino da adulti; per me, qui l’autore fa un buon lavoro ma non davvero memorabile. Però non è mai condiscendente nè pecca di supponenza, e trasporta attraverso la soglia temporale del nostro glorioso passato bambino con una grande vividezza e meraviglia, regalando qualche momento di vera poesia per i ragazzini che siamo stati, le estati passate e i loro infiniti colori, che ormai tornano ad accendersi prepotentemente solo nei sogni, e nei romanzi di King.

Si torna all’origine prima di diventare anche noi i ricordi di qualcuno, una fotografia nell’album di famiglia.

Consigliato sicuramente agli adulti, per i vostri ragazzini prima leggetelo e poi decidete.

Lorenza Inquisition 

L’eredità – Louisa May Alcott #LouisaMayAlcott

“In un verde parco, sorgeva, imponente, la dimora di Lord Hamilton, per metà castello e per metà magione.”

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Nel 1990 nella biblioteca dell’università di Harvard fu ritrovato un manoscritto della Alcott datato 1849. Si trattava del suo 1° romanzo.
Seppure lo scritto sia molto semplice, la trama spesso banale e un po’ scontata, pure, si delineano i contorni di quelli che saranno i futuri personaggi, specialmente femminili. Ragazze coraggiose, di buon cuore, oneste e cristalline.
Considerando che la Alcott scrisse questo breve romanzo a soli 17 anni, ci sono già le caratteristiche che proporrà nel suo capolavoro “Piccole donne”.
Acerbo come una Jo March che sta crescendo.

Raffaella G.

DESCRIZIONE

Da pochi mesi in Italia grazie alla casa editrice Jo March Agenzia Letteraria di Città di Castello (PG) il romanzo L’eredità (titolo originale The Inheritance, traduzione e cura di Valeria Mastroianni e Lorenza Ricci, Introduzione di Cesare Catà) di Louisa May Alcott (Germantown, 29 novembre 1832 – Boston, 6 marzo 1888), scritto dall’autrice americana a 17 anni e rimasto inedito fino al 1997, quando fu pubblicato per i tipi di Dutton.

La futura autrice dell’imperituro personaggio di Jo March, una delle “Little women” (1868), piccola ma grande donna volitiva e coraggiosa, la quale prima dell’amore vuole assolutamente trovare per sé un posto nel mondo, tratteggia con una prosa elegante e dal linguaggio ricercato una narrazione godibile, imperdibile lettura rivolta a tutti coloro da sempre fans dell’autrice statunitense.