L’assalto di Seringapatam (1799)
Indirizzo queste righe – scritte in India – ai miei parenti in Inghilterra. Il mio scopo è spiegare il motivo che mi ha spinto a rifiutare la mano amichevole che mio cugino, John Herncastle, mi ha teso. Il riserbo che ho mantenuto finora riguardo alla questione è stato frainteso dai membri della mia famiglia, alla cui buona opinione non posso permettermi di rinunciare. Chiedo loro di sospendere il giudizio finché non abbiano letto il mio racconto. E dichiaro, sulla mia parola d’onore, che quanto sto per scrivere ora è, rigorosamente e letteralmente, la verità.
Se posso, farei una cosa un po’ sui generis. Sono stato un filo combattuto: scrivo un commento a un post altrui o ne creo uno nuovo, tutto mio? Sì, perché a proposito de “LA PIETRA DI LUNA” di Wilkie Collins, Elena Fatichi ha già detto cose interessanti, da queste parti, soltanto un paio di settimane fa.
Ma adesso ho deciso: faccio un post mio. Solo che andrò via rapido su alcuni aspetti della lettura e indugerò di più su altri.
Dirò velocemente che avevo il libro “in attesa” da tre anni o giù di lì e che mi son deciso a leggerlo, finalmente, dopo il post di Elena. E dirò che partivo con notevoli aspettative. “Probabilmente il miglior romanzo poliziesco mai scritto” dice la copertina della mia edizione. Suvvia, non sono un pivello: mica mi fido di ‘sti proclami, dai! Però ne avevo sempre sentito parlare un gran bene, di questo autore.
E allora cominciamo sul serio. Il romanzo vale, certo che vale. E, a mio avviso, vale più come esperienza che come lettura estemporanea. Nel senso che è una di quelle opere che ci ricorda che scrivere e leggere, nell’Ottocento, era altro da oggi. Ci si dava respiro, tempo e spazio; non si risparmiava né sulle parole né sulle pagine; se qualcosa lo si poteva dire con lunghe circonvoluzioni non si aveva paura di farlo. Anzi, tanto meglio! Si raccontava con calma, con dovizia di particolari, a puntate attese con pazienza. E con altrettanta pacatezza si leggeva.
E venivano fuori romanzi così.
A mio parere, il fatto “giallo” in questo caso diventa quasi secondario. Non è secondario, sia chiaro, lo diventa sulla distanza, perché a rubargli la scena sono lo stile e il tono, perfettamente ottocenteschi. La narrazione è fluviale, le descrizioni sono meticolose, il barocchismo è a volte predominante, ma diluito in un ammiccamento continuo al lettore, figlio di un senso dell’umorismo albionico anche un filo sopra le righe. Epoca e costume occupano il palco, da un lato blindando la tradizione e dall’altro smascherandola. E si procede.
Chiunque abbia un minimo di confidenza con la letteratura poliziesca sa, deve sapere, quanto sia ridicola quella scritta sulla copertina. Ma chiunque abbia un minimo di confidenza con la letteratura del diciannovesimo secolo, si accorgerà già dopo pochi capitoli di trovarsi di fronte a un degnissimo rappresentante.
Mi fermo.
Altre due righe e pure questo post, per lunghezza e fronzoli, finirebbe di diritto nella categoria…
Iuri Toffanin
DESCRIZIONE
La pietra di Luna (titolo originale: The Moonstone), conosciuto in Italia anche con il titolo Il diamante indiano, è un romanzo di Wilkie Collins che uscì in Inghilterra nel 1868 a puntate sul periodico di Londra, All the Year Round, il cui direttore era Charles Dickens.
Viene considerato un testo precursore nella letteratura dei romanzi gialli, T.S. Eliot lo definì: “Il primo, il più lungo e il più bello dei romanzi polizieschi inglesi”; nel 1987 il critico e scrittore H.R.F. Keating ha inserito The Moonstone nella lista dei 100 migliori gialli letterari.
Nell’estate del 1848 Rachel Verinder riceve in eredità, nel giorno del suo diciottesimo compleanno, un prezioso diamante di origine indiana, forse il più grande al mondo: la Pietra di Luna. Ma la notte della festa, mentre la casa di campagna dei Verinder è piena di ospiti, il diamante misteriosamente scompare. Chi si è impadronito della Pietra di Luna? Forse Franklin Blake, il giovane cugino apparentemente innamorato di Rachel, oppure Rosanna Spearman, la cameriera con un passato oscuro? O i responsabili del furto sono forse i tre misteriosi viaggiatori indiani che qualcuno ha visto aggirarsi intorno alla casa? Un indizio dopo l’altro, gli oscuri segreti che ciascun personaggio nasconde vengono alla luce, fino a chiudere il cerchio intorno all’insospettabile colpevole.