Tre volte all’alba – Alessandro Baricco #AlessandroBaricco #recensione

 “E in effetti dall’orizzonte si era alzata una luce cristallina a riaccendere le cose e a rimettere in movimento il tempo.”

 


Si potrebbe leggere d’un fiato questo ultimo libro di Baricco.
96 pagine in cui prende vita una storia possibile, ma surreale, e che ti
lascia a guardare l’orizzonte a lungo, quando lo si finisce.
Eppure a raccontarlo è difficile, perché nelle storie che racconta
Baricco sembra quasi che non succeda mai niente; ma in quel niente c’è qualcosa di profondamente significativo per la persona a cui quel niente sta succedendo, e quindi anche a ciascuno di noi, quando non ci accade nulla di facilmente narrabile.

In “Tre volte all’alba”, un uomo e una donna si incontreranno per la prima ed ultima volta in tre momenti diversi e uguali delle loro vite.
Ogni volta troveranno la loro salvezza alle prime luci dell’alba.

Lui vende bilance, dorme da 16 anni nella stessa camera d’albergo e
questa notte sarà la sua ultima notte; lei, bella, quarantenne, e non
vive con l’uomo che ama.
Lui è il portiere dell’albergo, una volta ha ucciso un uomo e si
è fatto tredici anni di galera, lei ha sedici anni ed è incinta.
Lui ha tredici anni, ha appena visto i genitori morire, lei è una
detective, fra quattro giorni va in pensione e il suo ultimo compito lo
vuole svolgere al meglio.

“Venga le ho detto”
“Perché’?”
“Guardi fuori, è già l’alba.”
“E allora?”
“E’ ora che lei torni a casa a dormire.”
“Cosa c’entra che ora è? Non sono mica una bambina!”
“Non è una questione di ore, è una questione di luce.”
“Cosa dice?”
“E’ la luce giusta per tornare a casa, è fatta apposta per quello”.
“La luce?”
“Non c’è luce migliore per sentirsi puliti. Andiamo!”

L’alba è il luogo in cui le vite dei protagonisti vengono svelate, in poche abili battute, e viene compiuta una scelta, che potrà essere una rinuncia e una rinascita, che li porterà a camminare verso nuove direzioni. L’alba diviene spettatrice dell’irripetibilità degli incontri che solo attraverso il potere della scrittura potranno
rinnovarsi, senza mai ripetersi.

I dialoghi sono accattivanti e diventano il mezzo attraverso il quale i
personaggi, come nella vita reale, possono comunicare il loro vissuto e
l’incontro tra loro diventa il punto di arrivo di tutto quello che
sono stati e il punto di partenza per quello che saranno. Nell’istante
dei loro incontri c’è tutto quello che potrebbe accadere ed è
esattamente in questo punto che i lettori di Baricco sono sollecitati a
diventare i protagonisti della loro immaginazione nella vita reale.

“Stava pensando alla misteriosa permanenza dell’amore, nella corrente mai ferma della vita”.

Egle Spanò

L’Arminuta – Donatella Di Pietrantonio #arminuta #recensione

Una storia e una scrittura potente, intensa come poche altre.
Una storia durissima. Crudele. Un Abruzzo duro, ruvido, di 40 anni fa.
Dove gli adulti sono cupi, brutali, senza affetto, dove si è poveri e tristi, dove portare a casa un pezzo di pane è l’unica cosa che conta, per avere poi la forza di ricominciare tutto al mattino dopo, senza prospettive ulteriori.
Un abisso tra questi sconfitti dalla vita e i loro figli.
Costretti anche loro nella miseria, nella sporcizia, nell’ignoranza e nella fame, ma capaci ancora di amare, di stringersi, di cercare una via di uscita dignitosa.
Come l’Arminuta e come Adriana.
L’Arminuta, la “ritornata”, la storia è la sua. La storia di un abbandono terribile. Cosa c’è di peggio di una ragazzina che perde ogni punto di contatto, che resta sola, e a cui tutti fanno pesare il fatto di essere venuta al mondo?

“La parola mamma si è annidata nella mia gola come un rospo che non è più saltato fuori.
Mi manca come può mancare la salute, un riparo, una certezza.
È un vuoto persistente, che conosco ma non supero”.

“La sola madre che non ho mai perduto è quella delle mie paure”.

Come se lo avessi chiesto tu, di nascere, a qualcuno. Come se fosse una colpa. Come se lo avessi chiesto tu, di avere una famiglia, di avere tutto, e poi di perderlo. Non appartieni più a nessuno. E’ come essere morti in vita.
Prima accudita, curata, amata. Poi abbandonata al tuo destino, alla tua sola capacità interiore di sopravvivere.
La paura, la rabbia, il dolore, l’incapacità di stare bene in una situazione tremenda. Questa scrittrice ci fa percepire tutto. Con parole scarne, dirette. Come se vedessimo un film. Le scene non le immaginiamo, le guardiamo.

Ma, nella disgrazia, nasce questo rapporto meraviglioso, nel freddo della vita c’è questo incontro pieno di calore, e di amore. C’è Adriana, così minuscola ma così forte, così intelligente, così umana, e nasce questa reciproca protezione dagli urti e dalle cattiverie di quella vita. Un esserino che dimostra più forza e maturità di un adulto. Un fiore nato nella miseria, questo rapporto è la parte più bella del libro, a cui non si smette di pensare. Perché rappresenta l’unica speranza di un futuro diverso. Adriana che ti aspetta col broncio, perché ora sei tu quella che rischia di abbandonare qualcuno che dici di amare, Adriana che ti si accoccola accanto, Adriana che ti stringe, Adriana, col suo piede sul tuo viso, la notte, nello stesso letto. L’unico calore umano vero.

L’Arminuta ci insegna a non mollare, a lottare per avere una spiegazione, per avere una ragione, a rivendicare il diritto ad un’esistenza degna di questo nome. Adriana ci insegna la forza della sincerità, dell’istinto, del cuore, la potenza che si possiede quando si ha la forza di essere sempre se stessi. Voglia di abbracciare entrambe, con una commozione sincera.

“..Nella complicità ci siamo salvate.”

Una grande emozione, questo libro.

Musica: Pane e castagne, Francesco De Gregori

Carlo Mars