Chiamalo sonno – Henry Roth #recensione #henryroth

Had Gadia, canzone a ricapitolazione nata nell’Est Europa intorno al ‘500, viene cantata dai bambini ebrei alla fine di heder, prima dell’inizio della pasqua ebraica; la musica ha origini medievali. Se ci pare di averla già sentita, è proprio quella, armonia compresa:

“Uccise l’angelo della morte, che aveva ucciso il macellaio, che aveva ucciso il bue, che aveva bevuto l’acqua, che aveva spento il fuoco, che aveva bruciato il bastone, che aveva picchiato il cane, che aveva morso il gatto, che aveva mangiato il capretto, che mio padre aveva comperato per 2 zuzim”

Chi canta questa canzone è David, il protagonista di “Chiamalo sonno“, prima e unica opera di Henry Roth.
David ha 2 anni quando con la madre arriva a New York City per ricongiungersi al padre già emigrato da tempo dall’Austria. Bambino sensibile, molto legato alla madre amorevole e iperprotettiva, mentre il padre è brusco e irascibile, passa l’infanzia fra mille contrasti, di usanze, lingue diverse, adulti che gli risultano incomprensibili. Il romanzo rende bene l’angoscia che a volte alberga nei bambini: David è povero, ha paure ma anche bisogni e angosce spirituali, cerca risposte e forse le trova. Il racconto si chiude quando ha otto anni, è un bambino ancora ma ha già raggiunto la consapevolezza dell’incomprensibile complessità della vita, che solo a volte ci appare chiaramente.
Romanzo complesso e ricco di situazioni svariate, una bellissima descrizione della situazione degli immigrati del primo ‘900.
Un miscuglio di gente, soprattutto europea, dove ognuno cerca di portare il proprio credo, le tradizioni. Tutti cercano lavoro con impegno cercando di farcela, c’è la delinquenza, la solidarietà, ma anche, naturalmente, la prevaricazione e il disinganno.

Non è un romanzo di struttura lineare: a un inizio ancora abbastanza tradizionale, infatti, corrisponde un finale innovativo, in cui la forma narrativa si dissolve sconfinando nella poesia. Libro complesso non tanto per la trama ma per la sovrapposizione di lingue e registri narrativi diversi, descrive magnificamente l’ambiente della New York emigrante dei primi anni del ‘900, a volte è faticoso ma molto bello.
Questo libro di Roth fu un caso letterario: pubblicato nel’34, ebbe enorme successo, ma la critica, che era legata all’idea socialista, gli contestava di non aver perorato la causa e di aver sprecato l’occasione di scrivere di rivoluzione proletaria per rimanere nell’ambito intimistico.
Roth smise di scrivere per quasi sessant’anni, si ritirò con la famiglia nel Maine ad allevare anatre. All’età di 73 anni diede inizio a un’opera narrativa in sei volumi, intitolata Alla mercé di una brutale corrente, due dei quali ebbero pubblicazione definitiva e completa poco prima della sua morte. Altri due volumi furono pubblicati postumi, mentre gli ultimi due manoscritti rimangono non pubblicati in Italia.

Raffaella Giatti

Blonde – Joyce Carol Oates #recensione #blonde

Blonde prende spunto dalla vita di Marilyn Monroe e racconta una sua versione della donna più bella del mondo. Molti dei fatti narrati, quindi, non sono reali e molti di quelli reali sono stati volutamente alterati e amplificati, perché colei che è considerata la DONNA per antonomasia diventi l’archetipo di tutte le donne: delle loro paure, manie, tormenti, illusioni e ambizioni. Norma Jeane Baker è, per molti versi, estremamente moderna per la sua epoca, così da poter ritrovare in lei e nel suo contesto sociale gli stereotipi e le situazioni con cui le donne devono confrontarsi ancora oggi.
È un libro estremamente doloroso, il più doloroso che io abbia mai letto sino ad ora.
Si viene letteralmente trascinati “dentro Marilyn”, all’interno della mente e delle emozioni di Norma Jean e non ci viene risparmiato nulla: le sue insicurezze che sono poi quelle in cui a tutte è capitato di incappare, le sue fragili illusioni, il suo desiderio di essere amata, il suo bisogno di conferme, il volersi riscattare dal ruolo di fragile bambolina/bionda senza cervello/razza di cagna patetica che le viene assegnato dall’universo maschile che la circonda.
Devasta leggere nero su bianco quanto Norma desiderasse essere Norma, una persona di sesso femminile, talentuosa e capace nel suo lavoro, intelligente, rispettata come ogni altra persona e quanto invece il mondo esterno non facesse che ricacciarla nei limiti che le avevano cucito addosso. Devasta perché a chi, in termini diversi e, se vogliamo, minori, certo, non è capitato?
Quante donne hanno vissuto anche solo (e per fortuna) episodi simili? Quanto costa, ogni volta, dover dimostrare il proprio valore, ALDILA’ dell’essere femmina?
Il peggio: il desiderio costante di essere perfetta, di essere brava, buona, compiacente, di essere come mi volete perché è solo così che mi amerete. Un tormento inenarrabile. Un tormento in cui chiunque, è passato almeno una volta.
Vivere per due settimane la mente e la personalità di Marilyn, travolti dalla scrittura sapiente e volutamente dolorosa di Joyce Carol Oates (che non risparmia nulla al lettore: sa come fare male con la narrazione e lo fa), non può non lasciare un segno indelebile di consapevolezza e tristezza, perché scoprire i tormenti interiori, i desideri più profondi e la fragilità umana di un mito come lei non può lasciare indifferenti. Arrivi a “sentirti” Marilyn, a seguire il filo dei suoi ragionamenti lucidamenti folli, ad immedesimarti nelle sue diverse personalità, a immaginare cosa voglia dire essere lacerati tra il bisogno di mostrare sé stessa e le proprie capacità e la fame disperata di amore e approvazione. Vivi la sua inimmaginabile solitudine, le umiliazioni, i trionfi.
Pur alterando il corso degli eventi e inventandone una parte, l’autrice è una profonda conoscitrice della reale biografia dell’attrice, e deve averne amato moltissimo la figura tragica, la donna al di là del mito (titolo anche di una bellissima mostra che ha da poco chiuso i battenti in quel di Torino).
Tutto questo amore e questo dolore arrivano dalle pagine al lettore con bellezza e violenza inaudite, siate preparati: è un’esperienza meravigliosa e terribile, un tormento di incomparabile valore letterario e umano, anche se sarà difficile, per un po’, scrollarsi Mailyn di dosso.
Grazie Joyce Carol Oates e addio, Norma Jeane, che almeno la terra ti sia davvero lieve.

Loretta Briscione