Il libraio di Venezia – Giovanni Montanaro #GiovanniMontanaro #Venezia #Feltrinelli

Il libraio è Vittorio, e la libreria la Moby Dick di Campo San Giacomo (non esiste realmente, ma diventa archetipo di tutte le librerie indipendenti veneziane). É l’orgoglio di Vittorio, che vive per i suoi libri e si entusiasma per i classici e le poesie di Hikmet. Intorno a lui Venezia e i suoi abitanti, vecchi e nuovi, e soprattutto Sofia, la metà dei suoi anni ma l’amore, si sa, non sa contare. Improvvisamente l’acqua alta, di una potenza imprevista, che scombussola i piani.

É il 12 novembre 2019. Il Centro Maree ha avvertito i veneziani che ci sarà l’acqua alta. Si aspettano 145 cm e i veneziani si preparano come sempre, installando le paratie e spostando le cose più preziose su i ripiani più alti. Ma col passare delle ore le previsioni peggiorano e i centimetri aumentano. É “l’acqua granda”. La marea arriva a 187cm e Venezia viene inondata.

“Quaranta centimetri in più del previsto. Non 145, ma 187. Quaranta centimetri in più cambiano tutto, travolgono letti, inondano vestiti, spazzano fogli, distruggono provviste, sporcano materassi, e poi calzini, telefoni, gioielli, bicchieri, piatti, stoviglie, libri, centinaia di libri, e adesso non si può fare niente, non si può reagire, non c’è più tempo né spazio per mettere le cose in salvo, solo stare a guardare, piangere all’inesorabile bagnarsi, lerciarsi, disfarsi.”

Una storia che può apparire banale ma che è talmente ricca di particolari della Venezia meno turistica e, soprattutto, così vivida nella descrizione dell’acqua granda del novembre 2019, che il lettore non può che sentirsi coinvolto. Aggiungiamo un evidente amore per i libri e le librerie, e anche il racconto di Venice calls, quei ragazzi che, con le scuole chiuse per l’emergenza, si riuniscono per aiutare a riemergere, a pulire dal fango cantine, case, negozi.

Alla fine del racconto ci sono schede delle librerie indipendenti di Venezia, con una piantina della città per trovarle. Uno spunto per una gita letteraria appassionante e suggestiva.

In campo San Giacomo, a Venezia, c’è la Moby Dick, una libreria di quelle «che ti sorprende che esistano ancora, anche se ci sono in ogni città, tenaci come guerrigliere, eleganti come principesse». Il suo libraio si chiama Vittorio, ha passato i quarant’anni, vive per i suoi libri, combatte per continuare a venderli. Un giorno incontra Sofia, gli occhi chiari e le risposte svelte, che prende l’abitudine di andare a trovarlo. Il 12 novembre 2019, però, i 187 centimetri di acqua alta eccezionale inondano le case, i negozi, sommergono gli scaffali di Vittorio. Le pagine annegano, e «campo San Giacomo è pieno di libri perduti, e pare che tutto sia perduto». Giovanni Montanaro, che ha vissuto in prima persona i giorni tragici dell’inondazione, li racconta in un modo lontano dalle cronache che hanno commosso il mondo. Racconta l’angoscia dell’acqua che sale, che distrugge, ma mostra anche un’altra Venezia, i giovani, i cittadini che reagiscono, l’allegria nata in mezzo allo sfacelo, fatta della capacità di aiutarsi, di rinascere.

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Libri che mi hanno rovinato la vita: e altri amori malinconici – Daria Bignardi #DariaBignardi #Einaudi

*Disfida 18: Un libro che bisogna aver sbirciato a qualcuno che lo leggeva sulla metro, sul bus, in sala d’aspetto o qua o là.

«Daria Bignardi si ferma a riflettere sulla scrittura — la sua, quella degli altri — e su come questa si impasti con il destino. A volte con coincidenze che sembrano magiche, più spesso perché nelle parole degli autori che amiamo troviamo quello che siamo: è un riconoscersi più che un presagio.» –

Giulia Zino, Il Corriere della Sera

Qualche giorno fa ho trovato in sala d’attesa una signora talmente presa nella lettura che non aveva sentito mentre la chiamavano. Al momento della consegna del suo esame, le ho chiesto quale fosse il libro, e mi ha mostrato l’ultimo di Daria Bignardi, autrice della quale non ho mai letto nulla. Il caso ha poi voluto che aprendo la libreria di Storytel, trovassi proprio questo libro in evidenza. E poiché le coincidenze non esistono, eccoci qua.

Ciascuno di noi, anche solo per un istante, ha conosciuto l’irresistibile forza di attrazione dell’abisso. Daria Bignardi sa metterla a nudo con sincerità e luminosa ironia, rivelando le contraddizioni della sua e della nostra esistenza, in cui tutto può salvarci e dannarci insieme, da nostra madre a un libro letto per caso. Partendo dalle passioni letterarie che l’hanno formata, con la sua scrittura intelligente e profonda, lieve, Daria Bignardi si confessa in modo intimo – dalle bugie adolescenziali agli amori fatali, fino alle ricorrenti malinconie – narrando l’avventura temeraria e infaticabile di conoscere sé stessi attraverso le proprie zone d’ombra. E scrive un inno all’incontro, perché è questo che cerchiamo febbrilmente tra le pagine dei libri: la scoperta che gli altri sono come noi. Memoir di formazione, breviario di bellezza, spudorato atto di fede verso il potere delle parole, questo libro è un percorso sorprendente e imprevedibile fatto di domande, illuminazioni, segreti, che pungola e lenisce, fa sorridere e commuove. Un viaggio nel quale la vita si manifesta «furiosamente grande».

La Bignardi sceglie di raccontarsi attraverso i libri che ritiene l’abbiano maggiormente segnata. E così facendo scopre un filo che li collega tra loro e alle sue esperienze, soprattutto giovanili. Scopre anche peró che certi ricordi non corrispondono esattamente alla realtà, e anche questo ha un suo perché. Pochi in realtà i libri che vengono ritenuti fondamentali, di più gli autori o i brani, rimarcati nella lettura dalla seconda voce narrante. E questi libri o brani si è incuriositi tanto da volerli conoscere in prima persona. Una lettura, o meglio nel mio caso un ascolto, che è stato oltre che di stimolo a fare lo stesso esercizio della Bignardi, anche, in certi punti, come di auto-aiuto, anche se per motivi opposti. E di questa cosa sono la prima a stupirmi. Come mi ha stupito che questa lettura, iniziata per caso più che per curiosità, sia attualmente posizionata abbastanza in alto nella mia personale classifica.

Rosangela Usai

«Dopo aver letto Il demone meschino di Sologub, a tredici anni, presi della polvere dal Piccolo Chimico, uno dei miei giochi preferiti di bambina, la misi dentro un foglietto di carta velina piegato in quattro e me lo infilai nel portafoglio, per giocare alla droga. Mio padre la trovò qualche anno dopo e la fece analizzare. Distratto com’era, assente com’era, anziano com’era – sono nata che aveva quasi cinquant’anni – a suo modo cercava di tenermi d’occhio. Mia madre era cosí ansiosa che il solo pensiero che potessi cacciarmi nei guai la devastava, perciò lo rimuoveva. Mi proibiva tutto, che è come non proibire niente. Per lei – e quindi anche per me – non c’era scelta: dovevo essere irreprensibile e prudente, se no lei – come minimo – ne sarebbe morta. Diventai l’opposto».