Il Giorno dell’Indipendenza – Richard Ford #RichardFord

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Secondo capitolo della saga di Bascombe dopo Sportswriter che avevo affrontato 3 mesi fa, è decisamente superiore al primo, perché tolto dall’impiccio di delineare il personaggio, Ford riesce a tenerti vivo un racconto di 465 pagine in cui accadono si e no 3 avvenimenti in 4 giorni di vita del protagonista che precedono la festa del 4 luglio. Resta un leggere difficile e che richiede attenzione che mi chiedo oggi chi sia in grado di dedicare ad un libro, perché Ford ama i particolari, sia dei pensieri del protagonista, sia nella descrizione del mondo che lo circonda. Ci ho visto molto di quello che sarà Jonathan Franzen, ma Ford è molto più bravo a nascondere i significati politici e le considerazioni di politica americana (comunque sempre molto forti) tra le righe degli avvenimenti personali del protagonista (Franzen invece spesso eccede nelle invettive ben poco allegoriche secondo me), un padre divorziato che deve recuperare il rapporto con i figli, fare a patti con le proprie fallite aspirazioni di scrittore dando valore filosofico al suo lavoro di agente immobiliare, e decidere se tener buona l’amante per una sera o per il resto della vita. Alla fine il senso di tutto è nella frase “Il modo in cui manchiamo la vita, è la vita stessa”, perché appunto la vita Bascombe è una lunga serie di appuntamenti persi con il successo e la realizzazione come uomo e marito, ma che fanno della sua vita un qualcosa che ha talmente comunque senso da poter riempire ben due libri senza che si abbia mai la sensazione che poi sia davvero così vuota come parrebbe leggendo la sua storia. Bello bello, non saprei bene a chi consigliarlo, ma se arrivate alla fine vuol dire che siete pronti per decidere che anche la vostra vita, in fondo, è piena anche nei momenti in cui vi era sembrato di esservela giocata e perduta.

Nicola Gervasini

Descrizione

Avevamo già incontrato Frank Bascombe in Sportswriter. Allora aveva trentotto anni, faceva il giornalista sportivo e chiamava “X” la moglie da cui era separato. Adesso ha quarantaquattro anni, fa l’agente immobiliare e chiama “Ann” la ex moglie. Come sempre, considera la vita inconcludente e i rapporti umani difficili. Lo ritroviamo, in occasione della festa dell’Indipendenza del 4 luglio, con il progetto di incontrare la fidanzata Sally e di trascorrere un po’ di tempo con il figlio Paul, appena accusato di aver rubato tre confezioni di preservativi giganti e di aver insultato e assalito il commesso del negozio che l’ha sorpreso. Poi, fedele al principio che “non vendi una casa a qualcuno, vendi una vita” senza mai perdere la pazienza, ha in mente di mostrare un’ennesima casa a dei clienti a cui ne ha già fatte vedere quarantacinque. Questi i programmi, ma l’imprevisto ha il sopravvento e tra una grana e l’altra niente di quel che era stato immaginato si realizza. All’orizzonte, tuttavia, si delinea un futuro meno cupo e solitario.

Ben Lerner, Nel mondo a venire

alla fine ci sono libri che capisci che sono scritti bene, ma di cui cerchi la grandezza tra le pagine solo perché la critica li ha descritti come capolavori.

capita spesso (almeno a me) con la nuova letteratura americana: lo sforzo di trovare una trama è esercizio vano.

qui siamo in presenza di un meta-libro: il protagonista è un autore che racconta la genesi del suo secondo romanzo, cioè proprio quello che il lettore si trova fra le mani.

ci sono alcune sottostorie interessanti, ma anche digressioni sulla critica letteraria, sul mondo editoriale, sull’ispirazione, sul rapporto realtà/finzione e sulla percezione del presente.

tutto interessante, tutto colto, tutto per cervelloni dell’intellighenzia.

tutto pure un po’ noioso.

andrea sartorati

benlerner

Un uomo di poco più di trent’anni vede la propria vita cambiare improvvisamente direzione. La sua migliore amica gli ha chiesto di aiutarla a concepire un figlio, ma senza diventare una coppia. La carriera di scrittore ha incontrato finalmente un insperato successo, e in modo altrettanto imprevisto è giunta la diagnosi di una malattia cardiaca, potenzialmente fatale. Questi eventi, questi improvvisi stravolgimenti, felici, drammatici, curiosamente esilaranti, sembrano riflettersi nel mondo che lo circonda. New York è scossa da tifoni, uragani e tempeste, come fosse una città tropicale. La crisi rende tutti ansiosi e aggressivi, niente sembra più funzionare, a livello personale, collettivo, intellettuale, sentimentale. Non è certo il momento migliore per fronteggiare lo spettro della propria mortalità, o pensare a diventare padre.
Ben Lerner è tra i più interessanti nuovi scrittori americani, accolto fin dal suo esordio con entusiasmo critico e attenzione del pubblico. Un autore «meravigliosamente divertente e intelligente, vivissimo e originale in ogni sua frase» secondo l’elogio di Jonathan Franzen. In questa storia, che continuamente oscilla tra realtà e finzione, tra emozione e ironia, sembra inseguire un’intuizione, una visione in grado di incastonare nella lingua letteraria la traccia fievole della vita contemporanea, di intravedere la scia del mondo che ci attende. È una ricerca ambiziosa, soprattutto in un’epoca in cui immaginare il futuro è diventato difficile, e questa difficoltà cambia profondamente il nostro rapporto con il presente e con il passato, con le persone che ci stanno accanto. Allora bisogna guardarsi intorno, scrutare la città, le sue strade, i suoi abitanti, con sguardo consapevole della storia e della complessità, col gusto dell’esploratore che ispirato dal poeta Walt Whitman si nutre nelle sue peregrinazioni dello spettacolo della moltitudine e della pienezza. Che può scaturire in ogni attimo o luogo, e brillare di luce inaspettata, illuminando il passato e il presente, rivelando in un istante le possibilità del futuro.