Italo Calvino, Le città invisibili

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L’inferno dei viventi non qualcosa che sarà; se ce n’è uno è quello che è già qui, l’inferno che abitiamo tutti i giorni, che formiamo stando insieme.
Due modi ci sono per non soffrirne. Il primo riesce facile a molti: accettare l’inferno e diventarne parte fino al punto di non vederlo più.
Il secondo è rischioso ed esige attenzione e apprendimento continui: cercare e saper riconoscere chi e che cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno e farlo durare e dargli spazio.

Italo Calvino da: Le città invisibili (1972)

http://youtu.be/tep-Zjc76zA Baricco-Vacis

 

Italo Calvino – Le città invisibili

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“…Ma la proprietà di questa è che chi vi arriva una sera di settembre, quando le giornate s’accorciano e le lampade multicolori s’accendono tutte insieme sulle porte delle friggitorie, e da una terrazza una voce di donna grida: uh!, gli viene da invidiare quelli che ora pensano d’aver già vissuto una sera uguale a questa e d’esser stati quella volta felici.”

Questo libro è un sogno e una favola, insieme. Ha le proprietà di certi sogni, quel che di indefinito e morbido, irreale ma tanto vero perché le città del sogno corrispondono a quelle di luoghi conosciuti eppure ignoti. Non sono quelle città, e lo sono, familiari ma trasfigurate.
E questo libro è come una favola bella, e bisognerebbe essere bambini per costruire nella propria immaginazione tutte queste città, ma vecchi per serbarne il ricordo, degli scorci, degli angoli, di un’ombra, di come cadeva la luce una certa sera in una qualche città.

Allora forse questo bellissimo libro serve anche a farci esercitare a stare sempre attenti: “cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, e dargli spazio.”

Lazzìa