Un irlandese in America – La New York di Brendan Behan #BrendanBehan #NewYork

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«Io non sono un prete ma
un peccatore. Non sono uno psichiatra
ma un nevrotico. Le mie nevrosi
sono gli strumenti essenziali della mia
sopravvivenza».

Mio Dio, se dovessi scegliere tra pulire le strade di Broadway o essere il sindaco di Shrewsbury, credo che preferirei pulire le strade di Broadway. Mi divertirei senz’altro di più.
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“I’m drinker with writing problems”, così definiva sè medesimo Brendan Behan in risposta a chi parlava di lui come di uno scrittore con problemi di alcool.

Nato a Dublino nel 1923, militante dell’IRA (peraltro arrestato appena sbarcato a Liverpool, sedicenne, con una dose di tritolo nel bagaglio), è noto – magari non troppo, in Italia, a dire il vero – per lo più per le sue opere teatrali, ovvero The Quare Fellow – per la quale scrisse pure The Auld Triangle, canzone poi divenuta una sorta di inno non ufficiale dublinese, cantata da mille interpreti, incluso Bob Dylan – e The Hostage.
Nel 1960, proprio sulla scorta della rappresentazione a Broadway di quest’ultima commedia, arrivò a New York della quale si innamorò perdutamente.
E dei suoi bar, ancora di più.

Questo libro, tradotto ora per la prima volta in Italia (con calma, eh…) ne è in qualche modo una riprova: un atto d’amore incondizionato per la città che non dorme mai – e per i suoi bar che non chiudono mai – scritto come fosse un’interminabile monologo di un ubriacone che salta di palo in frasca, con anedotti, citazioni, ritratti di personaggi più o meno noti, battute, brandelli di storia patria, vicende di parenti e amici seduto al bancone di un bar (e non escluderei che l’abbia davvero scritto così: a Dublino pare che scrivesse per lo più da McDaids, pub di Harry Street, dove tuttora campeggia il suo ritratto).
L’infinito affabulare di uno sconosciuto che vi inchioda alla sedia del pub fino a che gli offrite un’altra pinta (e bellissimo, proprio per questo).
E con le splendide illustrazioni – così come nell’edizione originale – di Paul Hogarth, tra i massimi disegnatori al servizio dell’editoria britannica del Novecento, in aggiunta.

Poi, se cercate una guida per visitare New York, lasciate perdere.
Salvo per i bar, citati e descritti con precisione estrema, naturalmente.

PS: se vi capita di leggere (anche in qualche recensione di questo libro) qualcuno che afferma che la trama de “La Vita Agra” di Bianciardi ricalca quella di “Borstal Boy” di Brendan Behan (che Bianciardi tradusse in italiano), mica è vero.
Magari non ha letto “Borstal Boy”. O “La Vita Agra”.
O forse nessuno dei due.

Luciano Re

DESCRIZIONE

«Tutti sanno ormai dell’arrivo in città di un licenzioso, iconoclastico, ex rivoluzionario dell’Ira, tarchiato, sgualcito, arruffato drammaturgo di Dublino di nome Brendan Behan». Così il «New York Times» annunciava, il 18 settembre 1960, l’inizio della passione di Brendan Behan per New York. Da questa storia d’amore nasce Un irlandese in America, straordinario ritratto della Grande Mela pubblicato per la prima volta in Italia. Un libro lieve e nostalgico, arricchito dalle splendide illustrazioni di Paul Hogarth.

L’insurrezione di Dublino – James Stephens #JamesStephens #MenthaliaEdizioni

Ovviamente saranno sconfitti”, dice la gente. Un’affermazione che suona quasi come una domanda. E poi “Ma si stanno difendendo bene”. Infatti, essere sconfitti non è così grave in Irlanda, ma se non si combatte allora sì che importa.

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Non fatevi trarre in inganno dalla copertina che potrebbe far pensare ad un’apologia delle teorie indipendiste irlandesi, “L’insurrezione di Dublino” – tradotto per la prima volta in italiano a soli cent’anni dalla sua pubblicazione…. – è invece una sorta di instant book (non vi venga in mente Bruno Vespa, percaritadiddio, però…) con cui lo scrittore irlandese James Stephens (noto per lo più per “La Pentola dell’Oro” e alcuni volumi di favole tradizionali celtiche) raccontò in presa diretta l’insurrezione della Pasqua 1916 (iniziata, in realtà, la mattina di Pasquetta).

Una rivolta iniziata tra la sorpresa generale – e non poche perplessità da parte degli stessi cittadini dublinesi – e divenuta invece l’atto fondante della Repubblica Irlandese, voluto da un gruppo di uomini consapevoli sino dall’inizio di essere destinati a divenire i martiri della causa (sfidavano l’Impero Britannico, mica uno scherzo…)

Una cronaca in presa diretta da cui emerge lo sconcerto generale amplificato dalla scarsità delle informazioni (eh, mica c’erano la CNN o internet….) e dalle dicerie più o meno fantasiose (siamo in Irlanda, dopotutto…) che inevitabilmente si susseguirono durante le sei giornate dell’insurrezione.

Con un corredo di aneddoti talvolta addirittura surreali – su tutti l’ufficiale britannico che, non ancora consapevole dell’insurrezione, si presentò tranquillo e beato al GPO, l’ufficio centrale delle Poste nell’allora Sackvile West Street, per spedire delle lettere, ritrovandosi suo malgrado nel quartiere generali dei ribelli – e di vividi ritratti di alcuni cittadini dublinesi incrociati da Stephens nel girovagare tra la strade della città per capire cosa stesse succedendo.

In conclusione, una serie di capitoli di analisi degli eventi, delle cause scatenanti e delle possibili conseguenze forse datati e inevitabilmente condizionati dall’eccessiva vicinanza agli eventi narrati (nella prefazione, Stephens afferma di scrivere l’8 maggio: l’insurrezione ebbe inizio il 24 aprile e la resa definitiva il 30), ma non privi di spunti interessanti.

In appendice, foto, note biografiche dei leader della rivolta e Easter 1916, la poesia che WB Yeats dedicò a quegli eventi (in lingua originale e in traduzione italiana): una terribile bellezza è nata.

… ah, poi la mia copia vintage, stampata nel 1965 (!), del testo originale comprata una quindicina di anni fa in Irlanda in una libreria dell’usato di cui conservo un ricordo più che nitido salvo il fatto di essermi scordato in che città fosse (ah, l’età che avanza, suppongo), ha un altro fascino.

PS: temo di essere un po’ monotematico, di questi tempi. Abbiate pazienza: dovete resistere sino a Pasqua, poi sino al bicentenario nel 2116 la smetto di annoiarvi!

Luciano Re