Primo libro di una trilogia dedicata all’ennesimo commissario di polizia della letteratura contemporanea e che ha dato meritata notorietà di scrittore a Pierre Lemaitre, che poi si cimenterà in altri thriller e anche in romanzi di taglio diverso vincendo nel 2013 il Goncourt.
Protagonista della serie è il comandante della squadra omicidi di Parigi Verhoeven che non a caso si chiama Camille in omaggio al pittore Pissarro; ha però la statura di Toulouse Lautrec (mt. 1,45), ma un cervello assai acuto ed intuitivo, oltre che un carisma assai più importante della sua ridotta dimensione: questo esordio del 2006 cui seguiranno Alex già citato da Lorenza recentemente e Camille, è terribilmente pulp nello sviluppo narrativo e anche un po’ scolastico nell’impianto, con la scoperta e dichiarata intenzione dell’autore di rendere omaggio (attraverso le azioni del serial killer protagonista degli omicidi disseminati nello svolgimento) agli autori noir di culto per Lemaitre, su tutti James Ellroy ed al suo capolavoro Dalia Nera. Anche se la sorpresa finale arriva abbastanza in anticipo sulle ultime pagine e non così inattesa, il ritmo della narrazione e le azioni conseguenti alle intuizioni che progressivamente sono raggiunte dal commissario crea una notevolissima suspence verso l’esito, non certamente consolatorio, della vicenda.
Leggendo la descrizione degli omicidi con annesse sevizie delle vittime si procede quasi a fatica per l’orrore ed in effetti in questa prima prova e anche nel seguito qualche recensore ha sottolineato l’eccesso di violenza al limite del compiacimento per i dettagli horror: comunque se si supera tutto ciò, rimane il fatto che questo insegnante passato alla scrittura scrive molto bene, sviluppa assai la psicologia del protagonista e della sua squadra e prende alla gola come prescrive la regola del genere. Finchè non l’hai finito, il libro non lo molli!
Renato Graziano