William Golding, Il signore delle mosche

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Trattandosi di un classico della letteratura del ‘900 la vicenda è nota più o meno a tutti. Si racconta quanto accade ad un gruppo di ragazzini che, a seguito di un incidente aereo, si trova a dover affrontare la vita su un’isola deserta.
Subito viene in mente il confronto con il più famoso naufrago della letteratura, quel Robinson Crusoe che approdò sulla sua isola più di 200 anni prima. Quello era solo ed è diventato il simbolo dell’ingegnosità umana, della sua capacità di fare fronte a situazione estreme e di saperle adattare a proprio vantaggio. Era l’epoca dei Lumi e della Ragione che riesce a “dominare” la natura, anche in situazioni avverse.
Gli anni sono passati e l’essere umano è riuscito nel frattempo a dare innumerevoli prove di quanto quella convinzione fosse lontana dalla realtà, così questi ragazzi, naufraghi anche loro, si trovano a dover affrontare non tanto tribù di selvaggi cannibali, come il loro nobile predecessore, ma qualcosa di molto più pericoloso e subdolo: le proprie paure irrazionali e profonde, che prendono la forma indistinta di una Bestia misteriosa quanto terribile e feroce.

Attraverso le dinamiche che si creano tra questi ragazzi Golding ci presenta la propria analisi attenta e tagliente dell’animo umano e della sua capacità di abbandonare la razionalità che lo dovrebbe contraddistinguere per abbracciare con gioia e trasporto comportamenti che fino a poco prima avrebbe ritenuto selvaggi e pericolosi.

Non mi sembra che l’autore si ponga molto il problema del fatto che quello che scrive possa realizzarsi, a partire dall’evidente impossibilità di accendere un fuoco con la lente di un occhiale da vista (chiunque abbia iniziato a portare gli occhiali da bambino lo sa molto bene), ma non importa. Gli occhiali sono funzionali alla storia che è invece a mio avviso più simbolica che realistica. Ogni ragazzino rappresenta un tipo umano ma anche una delle tante personalità che trovano spazio in ognuno di noi e che emergono nelle diverse situazioni. La crisi va ad amplificare le tensioni tra le personalità opposte e il suo perdurare porta alla distruzione della parte razionale spingendoci verso comportamenti estremi. Un’isola deserta e un gruppo di ragazzini come simbolo delle mille sfaccettature dell’animo umano e della sua fondamentale incapacità di evitare che “le cose vadano come vanno”.

«Che idea, pensare che la Bestia fosse qualcosa che si potesse cacciare e uccidere! […] Lo sapevi, no?… che io sono
una parte di te? Vieni vicino, vicino, vicino! Che io sono la ragione per cui non c’è niente da fare? Per cui le cose vanno come vanno?»

Luca Bacchetti

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