Norwegian wood – Haruki Murakami #NorwegianWood #HarukiMurakami

norw

Avete presente quando un libro piace a tutti, ma proprio a tutti, e voi invece siete certi di detestarlo anche senza averne visto la copertina? Ecco io di Murakami non ho letto proprio un cavolo ed ero convinta che non facesse per me. In generale la roba giapponese non mi piace, mi fa schifo pure il sushi, ed è tipo l’unico cibo straniero di cui non mi droghi continuamente. Proprio il Giappone mi annoia a distanza, appena vedo un alberello in fiore stilizzato o un manga o una graziosa geisha con il ventaglio già partono gli sbadigli.

E invece questo non so perchè l’ho comprato, ero in pieno attacco bulimico da telo mare dell’einaudi e ho deciso proviamo.
Le prime dieci pagine una pesantezza, tutti quei prati e venticello ed alberi in fiore e la deliziosa Naoko con le piccole orecchie. Già meditavo di buttarmi sotto un treno con tutto il libro.
Però il mio pullman aveva due ore di ritardo, e non avevo altro con me, e dovevo andare avanti o mi sarei uccisa di noia. E piano piano questo libro mi ha tirato dentro che neanche il gioco Jumanji.

E’ la storia di un tizio scialbo che ha veramente tutte le sfighe del mondo, e che si innamora solo di gente strana e se possibile 200 volte più sfigata di lui. Ci sono dialoghi che sono poesia pura. Un paio di volte mi ha persino fatto ridere, di quelle risate amare per la tristezza della situazione. Descrizioni meravigliose. Personaggi come Midori che secondo me sono la perfezione. L’intero libro ha un’eleganza che non conoscevo nella narrativa, un ritmo bellissimo, e insomma ti tira dentro davvero un pò. Un pò di dettagli inutili buttati qui e lì, che funzionano nell’insieme come se fossero indispensabili. Perfetto. Non avrei cambiato nulla. Anzi forse sì. Le descrizioni del cibo giapponese che come ho detto mi fa davvero orrore.
Se non l’avete fatto, leggetelo!

Marzia Akosua Raimondo

Il fucile da caccia – Inoue Yasushi

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E’ un libro che parla dell’amore, in tutte le sue forme…materno, filiale, coniugale, clandestino. E in tutte le sue conseguenze, gioia, sensualità, sofferenza, dolore, odio, impossibilità di essere vissuto nella realtà quotidiana. Quale sarà la sua forma migliore? L’amore vero, grandioso, limpido, scevro da impurità, è quello che non si può vivere nella realtà del quotidiano? O è questa impossibilità a tradurlo nel quotidiano, a renderlo grandioso e limpido?

E’ un libro da cui sprigiona profumo di Giappone, teatralità, costumi, scenografia.

Un testo molto breve, un romanzo epistolare composto da quattro lettere, tre di donne e una di un uomo,e una breve poesia iniziale che le introduce.

Una storia fatta di tanti silenzi, silenzi che nascondono dolore e sofferenza, ma sono silenzi che sanno essere molto eloquenti.

Un testo breve, asciutto ma che scava dentro. Sia ai personaggi, sia al lettore.

Una storia fatta, soprattutto, di silenzi che diventano eloquenti. Lettere che raccontano il bisogno di amare e di essere amati, e il sacrificio che si può arrivare a sostenere in nome dell’amore. Le apparenze, le costruzioni fittizie che si possono tirare su per nascondere la nostra vera natura, la nostra vera essenza, che a volte nascondiamo non solo agli altri, ma anche a noi stessi. Le scelte che facciamo. Le gabbie in cui ci imprigioniamo, in nome dell’amore o della fine di esso. Le paure che ci legano.

Cento pagine, sono solo cento pagine, ma racchiudono tante cose. Un incastro piccolo e perfetto, di ragionamenti e di vite, un incastro fatto di menzogne e tradimenti, da cui tutti i protagonisti non aspettano che di liberarsi, come di un fardello avvelenato portato sulle spalle per una vita.

Ma il finale dona comunque dignità all’amore, non importa se imperfetto.

Non importa se chiuso come petali di un fiore dentro ad una palla di vetro.

Musica: Lover, You Should’ve Come Over – Jeff Buckley
https://www.youtube.com/watch?v=hXe1jpHPnUs

carlo mars

DESCRIZIONE

Quando, nel 1949, il critico d’arte e poeta Inoue Yasushi pubblica il suo primo romanzo, Il fucile da caccia, ha già quarantadue anni. Ma tutti, da subito, capiscono di trovarsi di fronte a uno scrittore importante. E sebbene le numerose opere successive non abbiano fatto che confermare questa impressione, nessuna di esse ha mai eguagliato la folgorante perfezione della prima: qui, infatti, Inoue (che in seguito scriverà libri ben più corposi) trova nella brevità una misura ideale; e nell’oscillazione fra il detto e il non detto raggiunge un miracoloso equilibrio narrativo. Un equilibrio impervio come il gioco amoroso che tiene legati i destini dei quattro personaggi, un uomo e tre donne, e che, pur appeso a un filo sottilissimo, li accompagna nel corso degli anni senza mai ledere la calma ritualità delle loro esistenze. E tuttavia il romanzo è attraversato da una tensione costante, da una rabbia sorda e trattenuta che non esplode neanche alla fine, quando ogni menzogna è stata svelata, ogni passione consumata, e a regnare è la consapevolezza che ogni essere è abitato da una vita segreta, inavvicinabile.

E’ un romanzo epistolare: nel Giappone del dopoguerra in ambienti agiati tre donne scrivono ognuna una lettera ad un uomo e questi invia le tre lettere allo scrittore Yasushi, del quale ha saputo quando si è riconosciuto in una sua poesia. E’ anche poeta lo scrittore ed una volta, molto tempo prima, la vista di un cacciatore, che procedeva solo, calmo, solenne, in un bosco col fucile ed il cane, gli aveva ispirato un componimento in versi pubblicato poi nella rivista “L’amico del cacciatore” col titolo “Il fucile da caccia” da cui quello del romanzo. Quel cacciatore era, quindi, l’uomo delle lettere, Misugi Josuke, che, dopo aver ringraziato l’autore per essere stato da lui trasformato nel personaggio di una poesia, gli trasmette ora le tre lettere affinché sappia della sua vita. Dopo averle lette gli chiede di distruggerle ma lo scrittore-poeta pensa di trascriverle.