Norwegian wood – Haruki Murakami #recensione #HarukiMurakami

E mi chiedo dove siamo andati a finire noi due. Come è potuto succedere? Dove è andato a finire tutto quello che ci sembrava così prezioso, dov’è lei e dov’è la persona che ero allora, il mio mondo?

Ecchime pure io con Murakami- san.
Ho questo libro da 11 anni sulla mensola, quindi vale per la voce “Libro che smaltisca la tua pila sul comodino”.
Perché ci ho messo tanto? Perché la vita si è messa in mezzo, potrei rispondere in stile. Ho provato 2 volte senza andare oltre pagina 40. E alla fine sono riuscita a leggerlo in un soffio. Prima non ero in vena di introspezioni, poi annusavo che leggendolo tutto mi sarei depressa più di quanto non fossi già. Poi ho sentito che potevo farcela.
Non solo mi è piaciuto, ma mi ha proprio arpionata. Non riuscivo a smettere di leggere.

Come tutti sappiamo, le storie ci suonano come strumenti e noi da bravi strumentelli rispondiamo alle corde che toccano, nel bene e nel male.

nonostante si possa definire triste e a un certo punto mi sia uscito un “ma ne resterà almeno uno?“, questo libro mi ha messo speranza, principalmente per due motivi.

Sono felice di averlo letto ora e non anni fa perché ho potuto dare più rilevanza al tema della depressione e del disturbo mentale e la loro relazione con la felicità e la realizzazione di sé che non a quello delle relazioni amorose, facendomi intortare molto meno da frasi come “Voglio che ti ricordi per sempre di me, che ti ricordi che sono stata qui in piedi accanto a te” etc etc.

I personaggi che vanno a fondo sono bilanciati da altri che invece esprimono un desiderio di vivere bellissimo. Midori e Reiko sono meravigliose. Le parti più belle per me sono quelle con loro due, sono due forze vitali. Due che cadono ma si rialzano e comunicano tantissimo anche se possono sembrare “secondarie”, Reiko in particolare. Non è il terzo incomodo, è un salvagente. È meravigliosa.

L’altro motivo è che mi ha riportato in Giappone. Averlo letto ora che ho visto i posti di cui parla ha sicuramente contributo alla sensazione di serenità. Era come essere di nuovo lì, a Tokyo, fra le montagne intorno a Kyoto, a sentire il caldo, le cicale, rivedere le stazioni…e del mio viaggio in Giappone ricordo per prima cosa la pace che provavo ovunque, anche nel macello di Shinjuku.

Quindi, anche se nel complesso si potrebbe dire che ci sono storie più appassionanti, più eclatanti, meglio costruite etc, a me è piaciuto un sacco perché mi sentivo un po’ in sintonia con il protagonista e i motivi sopra elencati.

Da ultimo, non posso non pensare che quello che ho letto è Murakami tradotto da Giorgio Amitrano. Sarei curiosissima di leggere Murakami puro, ma non ne sono (ancora? *Who knows*) in grado. Quindi visto che quello che ho letto è il Murakami di Amitrano, tantissimi complimenti a lui.

-Conosco la differenza tra le persone che sanno aprire il loro cuore e quelle che non sanno farlo. Tu sai aprirlo. Ma solo quando dici tu, beninteso.
 -E se uno lo apre cosa accade?

-Si guarisce.

Selena Magni

Ricordi di mia madre – Inoue Yasushi #recensione #InoueYasushi

«Mia madre dava l’impressione di essere un meccanismo rotto. Non era malata, ma una parte di lei aveva ceduto … Le parti integre e quelle compromesse si mischiavano di continuo ed era arduo distinguerle. Nonostante fosse afflitta da una notevole mancanza di memoria, vi erano particolari che ricordava perfettamente».

In questi tre racconti viene affrontato l’ultimo periodo di vita della madre dell’autore, che descrive il progressivo deterioramento psico-fisico dell’anziana donna, si tratta di tre racconti autobiografici scritti quando la madre dello scrittore aveva 80 anni, poi 85 e infine dopo la sua morte a quasi 90. In questi più o meno quindici anni si fa evidente, man mano che i sintomi della senilità avanzano, una sempre maggiore estraniazione dal mondo che circonda la donna e che la porterà a non riconoscere più i propri figli, nipoti e fratelli.

Mia madre dava l’impressione di essere un meccanismo rotto. Non era malata, ma una parte di lei aveva ceduto… Le parti integre e quelle compromesse si mischiavano di continuo ed era arduo distinguerle. Nonostante fosse afflitta da una notevole mancanza di memoria, vi erano particolari che ricordava perfettamente…
(…)
era come se avesse incominciato a cancellare a ritroso, con una gomma, la lunga linea della sua vita”, del tutto inconsapevolmente, “perché a tenere in mano la gomma era quell’evento ineluttabile che è la vecchiaia”.

Con brevi tratti vengono delineati solo i contorni principali dei protagonisti che lasciano trasparire il coinvolgimento emotivo dei famigliari. Praticamente mai vengono esaminati i sentimenti dei figli che si prendono carico della cura della madre. Le continue ripetizioni nel testo rendono più reale al lettore il disagio dei protagonisti: in questo modo si vivono in prima persona le situazioni paradossali che si creano, come quella dell’anziana donna che – con una lampadina tascabile in mano – vaga di notte nella casa del figlio, senza che sia possibile sapere se ora, nella sua mente, lei è la madre alla disperata ricerca del bambino perduto o la bambina smarrita in cerca della mamma.

Stare accanto a un anziano vuol dire a volte osservarlo mentre si chiude dentro una realtà a noi incomprensibile, dalla quale veniamo sempre più esclusi. Lo vediamo allontanarsi, e intanto si fa largo una domanda: siamo forse di fronte allo specchio di ciò che sarà di noi, un giorno?
Da questa sottile angoscia Inoue Yasushi sa far sgorgare parole sempre misurate e sensibili.
Anche se il linguaggio algido non analizza i risvolti psicologici della situazione famigliare il testo rimane comunque intenso. Viene però lasciato al lettore il compito di analizzare le informazioni fornite. Alla fine l’autore si pone la domanda se l’addio alla madre sarebbe stato meno doloroso se non si fosse esteso per un periodo così lungo.

Alex Amodio