Il gusto proibito dello zenzero – Jamie Ford #recensione #jamieford

 

Seattle, anni 40. La seconda guerra mondiale infuria in Europa e il Giappone ha appena attaccato Pearl Harbor. Henry è un ragazzino di origini cinesi che frequenta una scuola americana molto rinomata, grazie ad una borsa di studio. La sua compagna di classe Keiko invece è una ragazzina giapponese. Entrambi sono nati negli Stati Uniti, ma un feroce razzismo li condanna all’emarginazione e li rende facili vittime dei bulli della scuola. A differenza di Keiko però, Henry è emarginato anche all’interno della sua stessa famiglia: il padre è nazionalista al limite della follia ed odia i giapponesi con tutte le sue forze.Il suo paese di origine, così come quello in cui ora vive, è in guerra contro il Giappone: per questo costringe il figlio ad uscire di casa con un distintivo cucito sulla giacca che dichiara a grandi lettere ” IO SONO CINESE”. Henry si vergogna della sua famiglia, non comprende l’odio di suo padre. Ma ancora meno comprende quello degli Stati Uniti verso le famiglie di origine giapponese. Dopo l’attacco di Pearl Harbor fu promulgata una legge che impose l’esilio dei nippoamericani presso campi di lavoro forzati, espropriandoli delle loro case e dei loro beni. Ufficialmente per proteggerli da ripercussioni razziste, ufficiosamente fu lo scotto che dovettero pagare in quanto appartenenti all’etnia nemica.E’ troppo difficile capire per due ragazzini che considerano l’America il loro Paese.Per loro contano solo le cose che li rendono uguali e che li uniscono. La passione per il Jazz, ad esempio. Le strade di Seattle pullulano di locali notturni dove i musicisti di colore si esibiscono in tutta la loro esuberanza. In quei locali non appartieni a nulla se non a te stesso, si può smettere per un paio d’ore di essere afroamericani, giapponesi, cinesi. Ci sono solo persone che si divertono, ascoltano musica, ballano, e bevono di nascosto lo zenzero giamaicano. E poi c’è un disco di Oscar Holden, un vecchio 78 giri su cui è inciso un brano che racchiude tutta la felicità di quei momenti, l’ amicizia, e la tenerezza di un sentimento che stava nascendo.”Non pensare a quello che non hai più, ma pensa a quello che hai ora e cerca di andare avanti.” Questo è il motto di Henry. Ma poi, un giorno di quarant’anni dopo, Henry insieme a suo figlio ritrova quel disco…

E’ un libro commovente anche se a tratti un po’ lento, ma ha una trama davvero coinvolgente. E poi molte descrizioni storiche accurate, le strade di Seattle, l’hotel Panama, i locali del jazz, tutto vivo e appassionante. Libro consigliato!

Paola Castelli

 

L’incolore Tazaki Tsukuru e i suoi anni di pellegrinaggio – Haruki Murakami #HarukiMurakami #recensione

Quel ricordo lo puoi anche nascondere, certo, lo puoi seppellire da qualche parte in fondo alla coscienza: ma non puoi cancellare il passato, – disse Sara guardandolo dritto negli occhi. – Faresti bene a tenerlo a mente. Si possono seppellire i ricordi ma non si può cambiare il corso della storia. Sarebbe come uccidere il tuo stesso essere.

Premessa: mi sono imbarcata nell’impresa di leggere tutta la bibliografia Murakamiana durante i prossimi due-tre anni. Devo dire che gli ultimi libri mi avevano un po’ deluso (Tutti i figli di Dio danzano, L’uccello che girava le viti del mondo)… Invece questo mi è piaciuto assai. Una storia semplice, che comincia in modo un po’ scialbo. I quattro amici di Tazaki, con cui condivideva un’amicizia perfetta e armonica, improvvisamente gli comunicano che non vogliono più vederlo: deve smettere di farsi sentire e continuare con la sua vita, senza di loro. Tazaki dunque prosegue nella sua esistenza, con un fantasma alle spalle, e… diciamo che allora tu lettore ti rendi conto che le fattezze della vita, di tutti noi, non sono altro che errori, disguidi, convinzioni, casi. L’intera narrazione gira intorno a Tazaki, l’incolore, che è il fulcro centrale. In lui nulla è marcato, evidente, indimenticabile, elementi che ai suoi amici non mancavano. Non è bello, ma non può nemmeno dirsi particolarmente brutto. È un bravo studente, ma non ha nulla di geniale. È ricco, veste bene, vive in un magnifico appartamento, ma nessuno lo nota. È un individuo perfettamente calato in uno schema socialmente accettato, funzionale ad esso e basta. Ha due solo passioni: il nuoto e le stazioni ferroviarie, difatti si laurea in ingegneria e di mestiere progetta stazioni, pensando alle esigenze ed ai bisogni dei viaggiatori.  E’ un uomo anonimo, eppure diventa il protagonista eccezionale di una vicenda che scava nel profondo di chiunque abbia almeno una volta provato cosa voglia dire subire una grave perdita. 

Il romanzo si svolge poi in una maniera così semplice, così poco misteriosa, da essermi stupita dell’autore, come se non sembrasse più lui. Ed è una storia così semplice da sembrare più che verosimile, anzi, fino a un certo punto del libro mi sono sentita un po’ a disagio, come se inconsciamente mi sentissi di aver già vissuto una trama del genere.
E non dico altro. Libriccino introspettivo ma scorrevole, con una storia interessante e significati non del tutto palesati, onirici ma non visionari come in altre opere di Murakami. Comunque non scontato, lo si legge d’un fiato ma si medita sulla natura della felicità, sull’amicizia e sul desiderio. Sul prendere coscienza del fatto che forse iniziamo a vivere davvero solo quando un dolore inizia a farci morire dentro.

Martta Loves