Cent’anni di solitudine – Gabriel Garcia Marquez #riflessione #Macondo #gabo

Mia mamma ama Márquez e i sudamericani, io invece ho preso anni fa il treno diretto a Nord e non sono più scesa; potrei riassumere così la mia strada letteraria. Conscia di essermi persa qualcosa, ho deciso di salire sul treno del Sudamerica, prima fermata: Macondo (così, con nonchalance, senza sapere che mi sta per arrivare in faccia la letteratura sudamericana in dieci minuti di pallottole al rallentatore come in una scena di Jon Woo).
“SANTO IDDIO COSA HO LETTO” è il pensiero che mi è balenato più spesso durante la lettura (ovviamente questa è la versione censurata).
Non ho mai letto niente del genere, e i miei studi hanno solo potuto darmi una manina per sorreggermi, in imbarazzo, dicendomi “secondo noi se continui non te ne penti”. Sono completamente sperduta, disorientata, basita e ….conquistata.
Sono sicura che si è già detto di tutto di “Cent’anni di solitudine”, ma devo dire la mia e parlarne con qualcuno anche solo per riprendermi.
Questo libro puzza. Suda e trasuda polvere, odori, insetti, colori. Non ho mai letto niente di così materialmente reale e allo stesso tempo favolistico e assurdo. 300 pagine di avvenimenti impossibili alla logica descritti con una destrezza e un realismo sfrontati, frasi meravigliose che ti fanno vibrare seguite poco dopo da cose come “le sue scoregge facevano appassire i fiori”. E cristo se ti ci perdi in questa storia che si ripete, e si ripete, e poi succede qualcosa di assurdo (la mia preferita personale: Remedios la bella che sale in cielo con le lenzuola di Fernanda… è talmente bello, geniale, sacrilego che mi viene da ridere) e poi tutto stagna e ti senti veramente opprimere dal vento, dalla pioggia, dall’evento asfittico di turno che fa stagnare il villaggio… Ho perso il filo degli Aureliani, lo ammetto, ma li ho amati tutti uno per uno al loro turno. Ho visto e sentito ogni cosa, dalla più bella alla più schifosa, mi sono persa in alcune delle descrizoni più belle che abbia mai letto e il finale mi ha semplicemente sbigottita. Non ho avuto reazioni “visibili”, non ho pianto, non ho lanciato il libro… Ma non ne sono uscita indenne. “Cent’anni di solitudine” mai titolo fu più azzeccato, questa sorta di maledizione che tiene avvinti i personaggi in modi incredibili, oltre la decenza direi ma chissenefrega, se fosse finita diversamente per gli ultimi due ci sarei rimasta male… (non voglio fare spoiler).
Insomma, ora mi darò a qualche lettura veramente leggera per riprendermi e “azzerarmi” un po’ la testa. Maaaaammma mia che librooooo!

Ci metto anche io la canzone, che per una volta ne ho trovata una!

Selena Magni

Macondo Express (Modena City Ramblers)

https://www.youtube.com/watch?v=2xEMos_qjMI

Dodici racconti raminghi – Gabriel Garcia Marquez

12r

Come dice il suo autore, questa raccolta è stata sofferta e vissuta male per quasi trent’anni (racconti raminghi fra il tavolo e il cestino della cartaccia) ma il lettore non se ne accorgerebbe senza l’avvertenza dell’autore. Marquez è come sempre maestro nel fare delle vicende individuali dei suoi protagonisti un affresco corale, e nel trovare nelle abitudini locali di paesi diversi quello che li rende universalmente comuni: amore e morte, fede e superstizione, ingenuità e cattiveria. Sempre in balia dell’imprevedibilità del caso o della crudeltà dei fenomeni naturali. La storia più bella per me è l’ultima, Una traccia di sangue sulla neve, surreale, triste ma bella. Consigliato.

Stefano L.

DESCRIZIONE

Dodici racconti raminghi (1992) è una raccolta di racconti dello scrittore colombiano Gabriel García Márquez.

Come spiega lo stesso autore nella premessa del libro, il titolo si riferisce al travaglio della scrittura degli stessi racconti, infatti la prima idea risale ai primi anni Settanta a seguito di un sogno. L’ autore sognò di partecipare al proprio funerale insieme ai suoi amici. Non fu un’esperienza triste ma come una festa. Da lì nacque l’ idea di scrivere sulle cose strane che succedono ai latinoamericani in Europa. Per circa due anni prese appunti sul quaderno dei figli. I 30 racconti furono a lungo dimenticati in qualche cassetto e andarono persi quando lo scrittore decise di rimettervi mano. Allora Marquez decide di riscriverli a memoria. Ne risultarono 18 racconti dei quali ne scelse 12. Poiché erano passati molti anni dai primi viaggi che li avevano ispirati, Marquez decide di rivedere tutte le città Europee che ne erano state lo sfondo, per sincerarsi che i suoi ricordi fossero ancora corrispondenti alla realtà.

La scrittura dei racconti fu portata avanti in parallelo per dare coerenza e uno stile unitario al libro.

Il sogno, il destino, il desiderio, l’amore e la morte… i temi eterni e universali della letteratura reinterpretati dalla prosa potente e visionaria di García Márquez. Dodici racconti sul filo misterioso della memoria nei quali l’autore colombiano rivive e reinventa le tappe avventurose del suo girovagare in Europa e nel mondo, i suoi soggiorni a Roma, Barcellona, Parigi, L’Avana, Napoli, Vienna, Ginevra e altre ancora. In ognuno di questi racconti l’autore di Cent’anni di solitudine riannoda i suoi ricordi personali con le vicende di personaggi reali o verosimili, ricostruendo le atmosfere e gli ambienti più caratteristici di ciascuno dei luoghi visitati. Una raccolta insolita, una serie di storie bizzarre e affascinanti nelle quali la cultura del vecchio mondo si mescola all’inarrestabile vivacità tropicale della fantasia del Caribe.