Primo amore, ultimi riti – Ian McEwan #IanMcEwan #Racconti

“Pur non essendo particolarmente ossessionato, ho, come scrittore, un certo numero di ossessioni, che altri autori possono permettersi di chiamare temi”.

Questa raccolta di short stories, scritte nel 1975, costituisce la prima pubblicazione di McEwan.

Pedofilia, incesto, stupro, violenza, morte. “Primo amore, ultimi riti” è un libro disturbante, morboso, cupo, difficile. Ogni racconto è un pugno nello stomaco, apre uno squarcio nell’immaginario del lettore e lo fagocita in una voragine di degrado morale. Lo stile sobrio e asciutto di McEwan contribuisce ad amplificare l’effetto straniante prodotto dalle singole voci narranti, costringendo letteralmente il lettore a gettare via da sé il libro, sopraffatto dall’angoscia. Consigliato solo a chi abbia già avuto modo di conoscere e apprezzare l’autore attraverso le sue opere più recenti, al fine di scongiurare una tragica e definitiva prima impressione negativa.

Ripubblicato da Einaudi nel volume Racconti, insieme a una seconda raccolta di racconti di McEwan, Fra le lenzuola.

Saturnine Puissant

L’isola dell’infanzia – Karl Ove Knausgård

“La memoria non è affatto una misura affidabile e responsabile di una vita. E non lo è per il semplice motivo che la memoria non mette la verità al primo posto. La memoria è pragmatica, è subdola e astuta, ma non in modo ostile né maligno.”

Traduttore: M. Podestà Heir

Terzo libro dell’autobiografia in sei volumi La mia battaglia di Karl Ove Knausgard, letto perchè rapita dal titolo e perchè amo i racconti di infanzia. Sì, qui si racconta un’infanzia dai primi anni alla preadolescenza con una miriade di ricordi precisi, come solo Knausgard sa fare. Un’infanzia norvegese, paese che amo molto, che ci riempe gli occhi di boschi, di baie, di mare, di luce e di buio, ma anche il naso di odori e profumi. Non so voi, ma anch’io dell’infanzia ho soprattutto ricordi di odori e profumi, che riafforano così, imprevisti, su uno stimolo olfattivo, da rimanere senza parole.
Karl Ove è il protagonista e voce narrante, bimbo sveglio, curiosissimo e avventuroso ma anche tremendamente fragile e pauroso. La paura è infatti il motore della vicenda, paura di un padre incombente, imprevedibile, iracondo, violento, onnipresente e onnisciente. Presente per controllare e punire, mai per rassicurare e sostenere. La paura del padre lo soffoca e lo attanaglia, facendo emergere il suo lato fragile e frignone, sì perchè lui è molto frignone, lo sa e se ne duole… ma è in balìa totale di questa figura, indecifrabile ai suoi e ai nostri occhi. Non bastano una madre attenta, tranquillizzante e dolce (ma non troppo) e un fratello maggiore solidale e consigliere, a esorcizzare questa paura, evolverà con lui e soprattutto con un maggior distacco spaziale dal padre.

“…in primavera ed in estate la maggior parte della vita veniva trascorsa all’aria aperta,esisteva un livello completamente diverso di contatto tra la vita dei bambini e quella degli adulti,ma quando sopraggiungeva l’autunno con la sua oscurità era come se il legami venissero recisi e noi scivolavamo in un mondo tutto nostro non appena la porta di casa veniva richiusa…”

Ma la sua è anche un’infanzia libera e a contatto con una natura selvaggia, uscire a giocare vuol dire infilarsi in boschi senza fine, sciare su sentieri sul mare, sentendo il rumore e il profumo delle onde, giocare al buio d’inverno e in una luce eterna d’estate. Di Karl Ove seguiremo tutto, i suoi giochi, le sue innumerevoli letture, la musica che comincerà ad ascoltare e a suonare, gli amori, le prime esperienze sentimentali e sessuali, gli sport, la scuola, le amicizie… in un flusso di immagini, emozioni e sentimenti senza pari, di grande spessore narrativo. Insomma ne è valsa proprio la pena, consigliato a chi ama le storie d’infanzia e il grande Nord.

Chi io sia per loro, non lo so, presumibilmente il vago ricordo di uno che un tempo conoscevano da bambino perché tante sono le cose contrastanti che da allora hanno fatto nella vita, tante quelle che sono successe e con una tale forza che i piccoli avvenimenti intercorsi durante l’infanzia non hanno più peso della polvere sollevata da una macchina di passaggio o di quella specie di piumino che si diffonde nell’aria quando una piccola bocca soffia su un dente di leone sfiorito.

Pia Drovandi

Una famiglia di quattro – madre, padre e i due figli – si trasferisce sull’isola di Tromøya, al largo della costa meridionale della Norvegia, in una casa nuova. Sono i primi anni settanta, i bambini sono piccoli, i genitori giovani e il futuro aperto. Dagli immensi boschi carichi di promesse e misteri, meta prediletta delle scorribande del piccolo Karl Ove, descritto con ossessiva meticolosità, si apre l’appassionato racconto delle sue esperienze e scoperte. La felicità della scuola e lo sforzo per trovarvi un proprio posto; le gratificazioni e le frizioni dell’amicizia; l’eccitazione della vita all’aria aperta con le sue avventure; l’incontro con l’amore, le sue gioie, le sue amarezze; i vestiti, la lettura, la musica, lo sport; e, soprattutto, la famiglia, con le sue due figure antagoniste, l’una più sfumata, l’altra onnipresente: confortevole e serena la madre, autoritario e terrificante il padre, sempre vigile, sempre pronto a esaminare e sanzionare con violenza qualsiasi scivolata.