Lo scrittore fin dall’inizio ci dice «Statemi a sentire». E non c’è altro che possiamo fare.
Sono riflessioni personali ma da cui difficilmente ci sentiremo esclusi. Sono le nostre vite, molto meno diverse dalle altre di quanto potremmo credere. Essere madri, padri ed essere figli, un destino che riguarda tutti o quasi, il filo generazionale che ci lega, ricco di episodi, di sguardi, di gesti, di parole, in salute e in malattia, di morti e di vivi, è comune a tutti. Un libro leggero, senza urla, che fa spesso sorridere, intimo, commovente, malinconico, come può capitare voltandoci indietro a riguardare le scene del nostro passato, pieno di spunti su cui riflettere.
Libro che sembra, leggero, ma è solo una maschera elegante, la leggerezza.
“La felicità l’ho riconosciuta sempre quando era troppo tardi”.
Un libro che fa male, ma che ti sa abbracciare e che vorresti rileggere, con lo stesso piacere struggente che potresti provare riaprendo una vecchia scatola di scarpe piena di ingiallite foto di famiglia. La scrittura resta sempre un luogo di catarsi e di speranza, in mezzo al dolore.
Musica: Quello che ci manca, Mario Venutihttps://www.youtube.com/watch?v=HjIhSDPvz-o
Carlo Mars
Prendere per mano i lettori, invitarli in casa, guardare assieme le foto dell’infanzia, raccontare la parte più inconfessabile di sé e della propria famiglia. Roberto Alajmo, nella sua opera più necessaria e personale, ha trasformato un materiale intimo e doloroso nel romanzo di una vita. Luglio 1978: lo scrittore è uno studente in attesa degli orali dell’esame di maturità, studia con i compagni a Mondello, vicino Palermo, e a fine giornata esce insieme a loro per riposarsi, rifiatare, mangiare un gelato. Una passeggiata di trenta metri e lì, seduta sul marciapiede, trova la madre. Lei lo guarda riparandosi dal sole con la mano. «Mamma, che ci fai qui?». È l’ultimo incontro tra Elena e suo figlio Roberto, il momento da cui scaturisce questo libro, l’investigazione familiare di uno scrittore su un evento che ha segnato la sua giovinezza e la sua maturità: l’esistenza intera. È la storia di un addio di cui il ragazzo non aveva avuto sentore, la ricerca di un senso per il commiato improvviso di una madre dal marito, dai figli, dalla vita stessa. Il ritratto di una donna che voleva afferrare il mondo, e il mondo le scappava dalle dita. Un dramma di disagio domestico come forse se ne consumavano tanti, in quegli anni, nel chiuso segreto degli appartamenti della borghesia italiana.