Fútbol – Osvaldo Bayer #OsvaldoBayer #Futbol

Un gioco capitalista, perché si richiede sempre il rendimento, l’affanno di vincere la superiorità. Un gioco socialista, perché c’è bisogno dello sforzo di tutta la squadra, del mutuo aiuto per ottenere il trionfo, ossia una vita migliore.
Una storia sociale del calcio argentino
futbol argentino
Ebbene sì, un altro libro sul calcio, e non sarà nemmeno l’ultimo con il quale vi tedierò. Osvaldo Bayer giornalista e scrittore, anche lui, come il suo amico e collega Osvaldo Soriano, dovette andare in esilio in Europa fino la fine della dittatura in Argentina. Nel suo libro sulla storia del calcio argentino Bayer ci porta a quelle che sono le origini di questo sport in Argentina, importato dagli inglesi, ma soprattutto completamente diverso dal modello di calcio capitalistico dei nostri giorni.
Ad esempio, squadre come il Boca, che fu fondato dagli immigrati genovesi di Buenos Aires, o il Rosario Central, fondato nel 1889 dai ferrovieri della città, che fu anche il grande amore calcistico di Ernesto Che Guevara.
Queste ed altre squadre furono espressione di movimenti popolari dei quartieri abitati dalla classe lavoratrice, la risposta alla alta borghesia con i suoi ricchi clubs.
Bayer racconta anche delle vicissitudini dal calcio durante i periodi più bui della storia argentina. I discutibili mondiali del 78, vinti dalla Argentina, furono un esempio della strumentalizzazione che ne fece il regime militare per auto celebrarsi.
Eppoi scrive dei tanti calciatori, che hanno fatto la storia del calcio argentino e mondiale. Il libro e’ breve, senza accorgersene , se è già alla fine. Consigliato.

Alessandro Di Muro

Per quanto possa sembrare esagerato, nel rettangolo verde si porta in scena l’imprevedibile dramma della vita. Bayer ci parla di questo. E di alcune cose in più.
Osvaldo Soriano

Fútbol – Osvaldo Bayer

Traduttore: Alberto Prunetti
Anno edizione: 2020

Descrizione

Dopo aver raccontato le lotte operaie e il ruolo liberatorio dell’emigrazione proletaria nell’Argentina del Novecento, Osvaldo Bayer scrive un libro sul calcio. Inizia a farlo quasi per gioco, spinto da un incarico di lavoro: la scrittura di una sceneggiatura per un documentario sul fútbol argentino dalle origini fino a Diego Armando Maradona. Accetta l’incarico, forse perché marcato stretto dal suo eterno amico, Osvaldo Soriano. Ma non cambia il metodo: applica al calcio il lavoro storiografico sulle fonti, la pratica dell’inchiesta della storia orale e un punto di vista orientato verso le dinamiche materiali della società. Il risultato è una storia sociale del calcio argentino, lontana dai tecnicismi e vicina ai subalterni e agli oppressi. Come i fotogrammi di un film, il libro di Bayer scorre pagina dopo pagina raccontando una storia di calcio postcoloniale. Lo sport dei gentleman inglesi – proprietari di ferrovie e estancias – si creolizza, diventa un fenomeno quasi nazional-popolare – come direbbe Gramsci – ma poi viene preso in ostaggio dal professionismo prima, dal potere militare poi, infine dalle logiche immateriali dello spettacolo. Eppure sopravvive sempre, nelle pieghe del fútbol, oltre i margini imposti dalle logiche dell’estrazione di profitto, la magia di uno sport ribelle. Perché la palla è tonda, ma per mandarla in rete oltre la linea bianca della storia a volte serve la mano de dios. Prefazione di Osvaldo Soriano.

Independiente Sporting – Mauro Berruto #MauroBerruto #recensione

 

Independiente Sporting – Mauro Berruto

Editore: Baldini & Castoldi (31 maggio 2014), Collana: Romanzi e racconti

 

Independiente Sporting racconta di una squadretta colombiana degli anni ’50 che, ispirandosi al Grande Torino, riuscì, seppur per brevissimo tempo, a essere l’orgoglio della regione. Questa squadra aveva una peculiarità: annoverava tra le sue fila nientemeno che Ernesto Guevara, noto ai più con l’appellativo di “Che”. La storia di Independiente Sporting – basata su fatti veri – non finisce qui, si  intrecciano infatti altre vicende, alcune più approfondite e meglio rese di altre, che vanno dallo sciopero dei contadini colombiani del 1929 (“Militari ventenni che sparavano sui loro genitori e sui loro nonni”), al dramma dei desaparecidos di fine anni ’70.

“Ernesto odiava le ingiustizie, si sentiva vicino ai disperati di qualunque parte del mondo. Ernesto amava lo sport. Probabilmente da noi aveva trovato una sintesi perfetta. Disperati nella vita, disastrosi nello sport”.

Un pallone da calcio di vecchio cuoio lucido. Una nave che salpa.
Un gomitolo alle cui due estremità ci stanno due cuori,
due ansie, due dolori, e una sola speranza.
Un capo lo tiene tua madre, sulla banchina, uno lo tieni tu,
che parti.
Il piroscafo si muove, il gomitolo si disfa. I fili alla fine volano nel vento.

“Perchè non ci hanno attaccato niente, papà?..sembrano aquiloni
senza aquilone..”
“Ci hanno attaccato l’anima, amore mio”.

Per almeno metà libro in testa Titanic di De Gregori.

“La prima classe costa mille lire, la seconda cento
La terza dolore e spavento
E puzza di sudore dal boccaporto e odore di mare morto”.

Tanto mare. Mare che accoglie, mare che respinge, mare che diventa terribile quando si sentono quei tonfi, che ti segnano a fuoco, che non dimentichi.
Perchè parti e non sai se arrivi, e qualcuno resta con un paio di scarpette in mano.
Un piroscafo. Mascagni. La poesia di Alfonsina Storni. I desaparecidos.
Mario Kempes, Argentina campione del mondo.
Qualcuno festeggia, qualcuno odia Videla e non partecipa.
Qualcuno si sente riscattato, qualcuno sogna un Paese davvero libero.
Perché un Paese può chiamarsi meraviglioso solo quando tutti possono esultare, stare insieme.
Qualcuno invece scompare. Tanti, troppi. Troppi tonfi in quel mare.
Tante foto in questo libro. Un pallone di cuoio che unisce i continenti e i sogni, da Genova a Buenos Aires.
Di quanta speranza è fatto il mondo; e quanto è circolare, non solo nella forma, quanto si ripetono gli avvenimenti, quanti viaggi compiono le persone.
Un pezzo di Italia che va a popolare l’America, a mescolare sangue e speranza e sudore.

Trentadue giorni di viaggio, sola andata, bagaglio leggero, che tanto
“quello che serve lo troverai dove ora vedi il blu del mare confondersi con quello del cielo, perfettamente pulito come una tela che aspetta qualcuno che disegni un capolavoro”.

E Che Guevara che guida, incita, unisce. Destinato a comandare, con quegli occhi
che guardano nel futuro che nessuno riesce ancora a vedere.
Il folle romantico visionario che era bravo anche a giocare a rugby
o al calcio, che in quindici giorni cambia la vita di questa squadra che ha sempre perso, che ha la sconfitta nel cuore e nella mente.
Un folle visionario, che conosce i sogni.
E sa che i sogni di undici contadini che perdono con chiunque sono gli stessi di quegli altri undici di Torino che non perdono con nessuno, e tutto è possibile, se coltivi una passione e una speranza.
Un grande stadio è uguale ad uno polveroso con i pali delle
porte arrugginiti: non gliene frega niente, se segni un gol fantastico.
Lui si incazza, se tu sei felice per il tuo gesto tecnico.
Lui dice che dovete essere una squadra.
Che è quella la cosa che conta, solo quella: se non sei con gli altri, non sei nessuno.
Essere un corpo unico, pensare tutti, e pensare tutti la stessa cosa.
Avere tutti lo stesso sogno, la stessa visione, fino ad essere un corpo unico.
Le basi della Rivoluzione, del cambiamento, applicate su un piccolo campo sportivo fatto di terra rossa e di polvere.
Perché “il giusto atteggiamento, nello sport come nella vita,
è la volontà di migliorarsi ogni giorno, di un solo passo o di
un solo centimetro. La volontà di conquistare, ogni giorno,
un centimetro in più”.
E se lo dice Che Guevara, tu ci credi, lo guardi negli occhi,
e capisci che sono occhi che guardano qualcosa che tu non riesci ancora a vedere, e ti fidi.

Un giocatore lo vedi dal coraggio, dall’altruismo, dalla fantasia…
Lo sport a volte ti salva. O ti mostra la via.
E così anche un piccolo uomo può sconfiggere l’uomo più grande.

Musica: Cohiba, Daniele Silvestri
https://www.youtube.com/watch?v=lZxVLrEjjoo

Carlo Mars