Di cosa parliamo quando parliamo d’amore – Raymond Carver #recensione #RaymondCarver

« Un buon racconto vale quanto una dozzina di cattivi romanzi. »

E qui ce ne sono 17, fate voi…
Carver il Maestro del Racconto. Carver il Maestro del Minimalismo.
C’è tanto da dire, ma anche tanto da ripetere, avevo già commentato Cattedrale e probabilmente le parole che userò saranno più o meno le stesse.
Di particolare qui però c’è parecchia roba.
Abbiamo detto minimalismo. Dopo questa raccolta, Carver fu eletto fondatore del minimalismo. Lo stile così asciutto, privo di fronzoli, immediato, secco, e le trame dei racconti, gli argomenti, che sono le vite della gente normale, impiegati, operai, fornai, venditori ambulanti, commessi, uomini e donne assolutamente normali.
Il problema è che Carver aveva scritto sì 17 racconti, ma il suo editor, Gordon Lish, ha la “genialata”, e decide in fase di revisione di usare una pesantissima forbice. Glieli taglia tutti, della metà, e anche di più della metà. Carver ne rimane frastornato. E’ appena uscito dal tunnel nerissimo dell’alcolismo pesante, ricoverato più volte, e questi racconti possono rappresentare la sua rinascita, intellettuale e fisica. Con frequenti lettere che sono suppliche, prega Lish di non tagliare, o di non farlo in modo così pesante. Ma forse per paura di perdere l’ultima scialuppa della sua vita, non si oppone con forza veemente, e Lish pubblica tutto con i tagli previsti. E’ soprattutto Tess Gallagher, la sua compagna, a temere che Carver possa riprecipitare nel gorgo dell’alcool, e lo spinge ad accettare le revisioni di Lish.
Ed è un successo.
Ma Carver non sarà mai soddisfatto. Voleva, sognava di pubblicare i racconti così come li aveva scritti in origine. E, anche grazie a Tess, questo sogno si avvererà, ma troppo tardi per lui, che era già morto da vent’anni. Nel 2009 uscirà Principianti, la versione originale. E io ho voluto leggere, assolutamente. Volevo vedere l’entità dei tagli, ma soprattutto leggere quel che Carver aveva scritto e aveva amato davvero scrivere, dopo un durissimo lavoro.
E dopo aver letto, non so scegliere. Alcuni racconti sembrano migliori nella versione mutilata, altri proprio no. E sto qui a chiedermi come abbia potuto questo editor avere il coraggio di fare una cosa simile, e con quale criterio. Forse aveva ragione Roth, che disse che gli originali di Carver erano quanto di più perfetto e meno bisognosi di revisione al mondo.
In ogni caso questo autore mi è diventato caro praticamente quanto Pavese. La sua inquietudine, la sua insicurezza, la sua vita così difficile, il suo assoluto bisogno di essere amato e compreso, e il suo saper descrivere così perfettamente e chirurgicamente, ed empaticamente, le vite delle persone umili, povere, in difficoltà. Mi è caro perché scrive raccontando la realtà, senza ghirigori, senza sconti, senza abbellimenti. Perché i dialoghi sono quelli che senti quando senti parlare la gente, quando parli tu stesso. Perché descrive il non senso di cui spesso è fatta la vita. Perché descrive la normalità. Ma forse è uno dei primi, almeno tra gli statunitensi, a dire quanto sa essere atroce la normalità della classe media. Quante lotte per un lavoro che spesso è una merda, quanti sforzi per costruire un rapporto di coppia che poi si disintegra e tu stai lì a chiederti dov’è finita quella luce che sembrava così accecante, mentre ora è tutto buio. Quanta fatica costa costruire e mantenere la routine, quanto liquore tocca mandare giù per rendere meno opprimenti le giornate. Quanta fatica tocca fare per scovare quell’attimo di sublime poesia in mezzo ad una vita fatta di prosa sciocca e pesante. E lui lo fa. In ogni racconto c’è tutto questo e di più. È stato considerato un visionario, o uno che giocava a fare descrizioni controcorrente solo per distinguersi. C’è voluto coraggio, a descrivere il fallimento del sogno Americano mentre imperava il reaganismo. Ma lui ha visto lungo. Ha visto le crepe quando nessuno voleva vederle. Lui si è schierato dalla parte degli umili, dei disoccupati, degli abbandonati, dei divorziati e degli alcolisti, perché sapeva riconoscere l’origine di tutto questo fallite, perché lui stesso ha attraversato questo buio tunnel. Ha preferito descrivere i piccoli episodi delle vite americane per spiegare il grande fallimento di un sogno, di un’intera politica, il fallimento del capitalismo stesso. Oggi questi racconti sono tremendamente attuali, fanno paura, creano una tensione spaventosa, e sono un’opera sconvolgente in quanto ad attualità ed umanità. Ti ci senti dentro, perfettamente dentro ognuno di essi. Vivi diciassette storie, non le leggi, le vivi. Ah, dimenticavo : bellissima la prefazione di De Silva.

Musica: Open all night, Bruce Springsteen
https://youtu.be/Vf-Y426YMto

Carlo Mars

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La ballata di Iza – Magda Szabó #recensione #MagdaSzabó

“In seguito, quando avrebbe cercato di rievocare il viso di Iza la memoria gli avrebbe riportato spesso quel giovane viso senza tempo, quello sguardo da giovane soldato, quell’Iza con l’aria protettrice che accompagnava Vince con i guanti ciondolanti e le labbra troppo pallide.”

Iza è una perfezionista, maniaca del controllo del suo tempo e di quello degli altri; è intelligente e generosa ma anche fredda e calcolatrice.
Quando il padre muore lei crede di fare la cosa migliore portando sua
madre a vivere con sè a Budapest e non si accorge che, sradicandola dal
luogo in cui ha vissuto una vita intera, la rende infelice.
Sua madre comincia a sentirsi sempre più inutile e i piccoli oggetti o gesti quotidiani che la riconducono al passato e che fanno parte del suo
essere non vengono riconosciuti, nella loro importanza emotiva, dalla figlia.
Povera infelice, crede che il passato dei vecchi sia ostile, non si è
accorta che è invece la misura per spiegare e capire il presente“.
La madre rimarrà sempre più sola e si chiuderà in un mutismo assoluto, fino a quando tornerà al paese d’origine, per seguire “nell’aria” la chiamata del marito defunto.

Un romanzo intenso e toccante, una vera emozione e un insegnamento sui rapporti umani e sull’importanza dell’amore rispetto alla semplice dedizione; un’analisi dolente e impietosamente lucida ma attenta alle ragioni e alla sofferenza di ciascuno.

Etelka e Iza sono il vecchio e il nuovo, la tradizione e la modernità, il passato e il presente che non si accordano. Quando è diventata di pietra Iza?

La Szabó visse in un ambiente ricco di stimoli letterari, entrambi i genitori furono aspiranti scrittori e insegnanti. E’ di nascita ungherese ma a differenza di Marai che abbandonò definitivamente il suo paese per non tornarci mai più, e della Kristof che fuggì dall’Armata rossa nel 1956 per rifugiarsi in Svizzera, lei rimase ad
insegnare nella sua terra, rinunciando alla propria pubblicazione letteraria.
Questi dati servono ad inquadrare il periodo storico e a capire, probabilmente, il sottotesto dei suoi romanzi ( ben ventitrè) ma non serve per comprendere il suo linguaggio dell’anima, che è universale, nel rappresentare le difficoltà di due generazioni messe a confronto, del rapporto figli/ genitori, di come il sacrificio di sè corrisponda a volte a un’idea insana di amore.
Facile è schierarsi immediatamente contro Iza, una donna senza cuore, egoista, o forse intimorita dal dolore di vivere, una donna forte e determinata al punto di esser sempre certa di sapere quale sia il bene dell’altro, senza però coinvolgerlo, e soprattutto senza mettersi in discussione.
Difficile è accettare che ci sono persone che non riescono a comunicare, e difficile è accettare la diversità: da una parte una madre che pur di non averi scontri verbali e di non offendere la figlia non dice cosa prova, e dall’altra una figlia che non chiede, non ascolta, non sente.
E su questo forse ho riflettuto e mi sono riconosciuta un po’ in Iza, pur
provando rabbia per i suoi comportamenti, e compassione per la madre.
Ho riconosciuto il suo bisogno primario di avere degli spazi per sè, il suo bisogno di pianificare il tempo e, a volte, l’incapacità di mostrare la propria anima alle persone a cui si vuole bene. Credo sia una questione di fiducia. E in questo gioca grande importanza il rifiuto che Iza sentì dolorosissimo del mondo dopo esser stata rifiutata dall’università per ragioni politiche, che avevano condannato il padre all’esilio sociale.

Lo scontro/incontro generazionale non può essere dissociato dallo
storico scontro tra un modello di società “nuovo”, foriero di migliori
condizioni economiche, di riscatto individuale, e quello vecchio che
poneva le sue radici in una dimensione fortemente impregnata di spiritualità e che, ci dice la Szabó, è l’unico, lontano da false ideologie propagandistiche, a farci sperare di avvicinare l’uomo a un’idea di felicità.

Purtroppo i ricordi non si possono trasmettere in eredità a
nessuno.

Egle Spanò

DESCRIZIONE

Quando muore il marito Vince, un giudice che durante gli anni del fascismo ungherese aveva subito gravi torti, la vecchia signora Szocs si ritrova completamente sola nella modesta casa di famiglia nella campagna ungherese. È allora che la figlia Iza, una dottoressa di successo che vive sola nel rigore di Budapest, decide di portare la madre a vivere con sé. Ma nella nuova casa, perfetta e confortevole come vuole la posizione di Iza, la signora Szocs non si trova affatto a suo agio: tutto è troppo freddo e senza vita, proprio come Iza. E così, a poco a poco, la fragile donna si chiude in un mutismo impenetrabile, affievolendosi inesorabilmente fino al giorno in cui non decide di ritornare al suo villaggio per compiere un gesto inatteso e liberatorio.