Il lato positivo – Matthew Quick

“Un libro con argomento scabroso”
ARGOMENTO: nevrosi da vita sociale

il-lato-positivo

È un libro che racconta con onestà delle relazioni umane e dei loro disordini nell’epoca contemporanea. Col film condivide solo alcuni capitoli, poi varia molto rispetto allo sceneggiato di Hollywood.
La scrittura è asciutta ed essenziale: fantastico modo di procedere, veramente diretto al cuore della narrazione. Matthew Quick porta in superficie non solo il tormentato mondo interiore di Pat ma cerca di spiegarlo tramite le relazioni sociali in cui è inserito e prime fra tutte, da manuale, quella coi genitori, che per qualche ragione mi ricorda anche la mia famiglia ( e altri animali). Esemplari le parole della madre: “Tuo padre sta facendo del suo meglio, Pat. Al tuo posto non mi farei troppe domande. Prendi quello che ti dà e accontentati: è così che bisogna fare, no?“: primo comandamento di rassegnazione emotiva parentale.
Il grosso del romanzo ruota intorno alle strategie che Pat si auto impone per riconquistare la ex-moglie Nikki, esercizi fisici e mentali, per imparare ad essere gentile invece che ad avere ragione: davvero molte pagine che descrivono tutto l’impegno fisico e mentale che mette all’opera per diventare l’uomo ideale. Ma tutto questo sforzo, che a volte consuma anche una giornata intera di Pat a fare addominali o a pompare pesi sulla panca piana, è un modo di non affrontare la realtà e di fatti ci vogliono capitoli e capitoli di terapia per giungere alla diagnosi di NEGAZIONE o diniego. È un romanzo onesto proprio per questo, perché fino alla fine l’autore non infiocchetta la realtà e non prova a condirci la testa con stereotipati lieto fine. Allo stesso tempo non è nemmeno pessimista perché non ci sono spaventosi scheletri nell’armadio, solo persone comuni che si trovano di fronte a circostanze estremamente al limite del sopportabile per chiunque. Anche la storia di Tiffany, raccontata da lei stessa per lettera alla fine del romanzo presenta la stessa dinamica. Sono personaggi in cui è facile immedesimarsi: Quick sembra un buon discepolo di Carver, punta sulla banalità delle vite quotidiane e sulle svolte inaspettate che dietro l’angolo possono cambiare tutto in un secondo.
Finale equilibrato e lieto ad osservare i lembi argentei delle nuvole: metafora o vera contemplazione, spetta al lettore stabilirlo anche se alla fine non sembra davvero importante dal punto di vista dell’autore. Magari è un po’ come il test di Rorschach, dove ognuno ci vede quello che vuole. In ogni caso libro notevole che si fa leggere in uno o due giorni tutto d’un fiato.

Stefano Lillium

DESCRIZIONE

Pat Peoples è convinto che la sua vita sia un film prodotto da Dio. La sua missione: diventare fisicamente tonico ed emotivamente stabile. L’inevitabile happy end: il ricongiungimento con la moglie Nikki. Questo ha elaborato Pat durante il periodo nel ‘postaccio’, la clinica psichiatrica dove ha trascorso un tempo che non ricorda, ma che deve essere stato piuttosto lungo… Infatti, ora che è tornato a casa, molte cose sembrano cambiate: i suoi vecchi amici sono tutti sposati, gli Eagles di Philadelphia hanno un nuovo stadio ma, soprattutto, nessuno gli parla più di Nikki, e anche le foto del loro matrimonio sono scomparse dal salotto. Dov’è finita Nikki? Come poterla contattare, chiedere scusa per le cose terribili che le ha detto l’ultima volta che l’ha vista? E come riempire quel buco nero tra la litigata con lei e il ricovero nel postaccio? E, in particolare, qual è la verità? Quella che ti fa soffrire fino a diventare pazzo, o quella di un adorabile ex depresso affetto da amnesie ma colmo di coraggiosa positività? Pat guarda il suo mondo con sguardo incantato, cogliendone solo il bello, e anche se tutto è confuso, trabocca di squinternato ottimismo, fino all’imprevedibile finale. Il libro da cui è stato tratto il film rivelazione del 2012.

Richard Yates – Easter Parade #RichardYates

«Nè l’una nè l’altra delle sorelle Grimes avrebbe avuto una vita felice, e a ripensarci si aveva sempre l’impressione che i guai fossero cominciati con il divorzio dei loro genitori».

yates

Un incipit fulminante, che gioca un po’ con quello più famoso di Tolstoj, in cui c’è già tutto il romanzo.
Nessuna felicità, nessuna felicità nella vita, nessuna felicità nella famiglia, da cui parte appunto tutta l’infelicità delle nostre esistenze.

Un libro in un certo senso chirurgico. Mette sul tavolo operatorio, sotto una luce potente, tutti gli ingranaggi e i difetti del famoso sogno americano, fino a farlo a pezzi, completamente.

Due sorelle segnate dalla nascita, il divorzio dei loro genitori, due persone entrambe piene di difetti, soprattutto la madre, dalla quale inevitabilmente, per Yates, erediteranno il difetto peggiore, la mancanza di coraggio, che segnerà appunto la loro esistenza, per intero. Una, piena di prospettive, di bellezza, sceglierà un matrimonio che la porterà all’asfissia e al subire violenza, l’altra una vita piena di uomini, ma condannata alla solitudine totale. E tra loro due, così in simbiosi da piccole, si scaverà un solco di incomunicabilità totale. Non basta la famiglia, non basta un lavoro soddisfacente, per costruire serenità. Anzi, proprio famiglia e lavoro sono gli inneschi per il baratro.

Quindi, per Yates, nulla si salva. Il suo non è un racconto cinico, comunque. E’ durissimo, severo, brutale, ma pieno di compassione per le protagoniste. Il destino è qualcosa che non si può combattere, è scritto, non puoi farci niente se non affrontarlo a testa alta. Oppure a testa bassa, mentendo, nascondendo, facendo buon viso a cattivissimo gioco.

Un romanzo angosciante, disperato, in cui avverti la chiusura di ogni porta e finestra, dalla prima all’ultima riga. Ti manca il fiato.
Ed è un romanzo in cui c’è tutta la sua vita. Pookie è la madre di Sarah ed Emily, ma Dookie era il soprannome della madre di Yates. E’ contro Pookie, infatti, e non contro il marito, che Yates si scaglia, non è un caso. E’ lei, quella che immagina un presente e un futuro inesistenti, che si costruisce una vita basata su illusorie apparenze, una vita fatta di traslochi continui, una continua ricerca dell’impossibile, negando le evidenze, ed è tutto questo che le sue figlie assimileranno, loro malgrado. E alla fine il bere diventa il loro vero compagno di strada, l’unico che non fa domande, l’unico che ti fa sentire un’altra persona, con i repentini cambi d’umore e di personalità annessi. Meglio essere centomila altri, piuttosto che se stessi di fronte alla realtà.

Ed il matrimonio è sempre e comunque istituzione fallimentare. Non c’è scampo. Qui dentro c’è il compendio della vita dell’autore, il suo determinatissimo pessimismo causato dalle sue esperienze reali, e questo incide parecchio, non ci sono dubbi.

Certi scrittori, come Yates, come Steinbeck, sono stati micidiali nel distruggere l’ipocrisia dell’America, a squarciare il velo dell’ipotetico benessere che nasconde un’infelicità tremenda.
La vita è questa qui, una parata, in cui si cammina, si sorride, si mente, e si beve, si beve fino a perdere coscienza, perché è meglio non aver coscienza della propria mediocrità.

Questo libro è un Peana alla Sconfitta e alla Solitudine.
Ma è un libro assolutamente meraviglioso.
Yates un maestro nel delineare le persone, un maestro nei dialoghi. Fragili, passivi, incapaci, mentitori. Questo, insegna. Questo, siamo, per Yates. Magari leggiamolo affinché si possa capire quel che non deve diventare la nostra vita.

«Sì, sono stanca», fece lei. «E la sai una cosa buffa? Ho quasi cinquant’anni e non ho mai capito niente in tutta la mia vita».

Musica: Desperado, Eagles
https://youtu.be/kCdjvTTnzDU

Carlo Mars