The tender bar – J.R. Moehringer (Il bar delle grandi speranze) # JRMoehringer

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JR Moehringer è un novello David Copperfield alla ricerca di un sostituto della figura paterna e della realizzazione delle sue ambizioni letterarie, che sembrano quasi giustificate da una serie di importanti coincidenze. Questo romanzo è semplicemente la sua autobiografia, è lui infatti il protagonista del romanzo, e tutti i personaggi sono realmente esistiti e i nomi usati sono quelli reali. Il romanzo è prevalentemente ambientato a Manhasset, sobborgo di New York, dove il piccolo JR vive con la madre, lo zio, i nonni, la zia e i cugini in una classica casa americana. Il piccolo JR non ha mai conosciuto il padre (famoso speaker radiofonico che lui chiama semplicemente “la Voce”) che ha lasciato la madre quando lui era appena nato. JR cresce così senza una figura maschile primaria ma affidandosi ad altri, e sarà proprio lo zio, barista, a fargli conoscere quello che poi diventerà la sua palestra di vita, il bar “Publicans”. Il Publicans si trova a solo 148 passi da casa sua, è il bar più famoso e più frequentato del quartiere, ci vanno tutti, dal broker di wall street all’operaio, uomini e donne di ogni età e si può discutere di tutto. Ed è proprio lo zio Charlie, barista del Publicans, ed i vari habitué (Bob il poliziotto, Colt, Jade 2.0, Mavaffa, etc etc etc) che faranno da scuola al piccolo, e poi adulto, JR.
La cittadina natale, Manhasset, nell’area metropolitana di New York, ha ispirato a Fitzgerald la East Egg di “The Great Gatsby”. Anche il bar stesso intorno a cui ruota la vicenda ha velleità letterarie: il suo primo nome è nientemeno che Dickens (in seguito Publicans) e al suo interno JR troverà non solo tante figure maschili pronte a colmare il vuoto lasciato dal padre, ma anche un’intera schiera di ottimi affabulatori, ognuno con le sue storie da raccontare, tanto da meritare una menzione come membri dell’immaginaria “Publicans Storytelling Academy”. E’ naturale che JR voglia farne un romanzo, dato che il bar stesso sembra diventarlo: “Publicans already ‘was’ a book. Walking through the door always did feel like entering a sprawling work of fiction. Maybe Steve intended that feeling when he first named it Dickens. He’d created his own Dickensian world, complete with a Dickensian fog – billows of cigar and cigarette smoke. He’d even named all the characters. Maybe Publicans was Steve’s Great American Novel”.

L’autore, già premio Pulitzer per “Il ritratto di Gee’s Bend” (giornalismo di approfondimento e costume), è un giornalista, e lo si capisce subito dalle prime pagine: scrittura lineare, pochi artifizi letterari, dialoghi brevi e chiari e molto scorrevoli. Sin da bambino poi J.R. è stato circondato da abili narratori, la mamma, la nonna, addirittura lo zio.

Per finire, J.R. strizza l’occhio a tutti noi amanti dei libri e della lettura infarcendo il racconto di citazioni, riferimenti, lunghe liste di persone, autori e libri che lo hanno influenzato e ispirato. Gli echi di “David Copperfield” sono fin troppo nitidi. Un libro magnifico!

“Every book is a miracle…Every book represents a moment when someone sat quietly and tries to tell the rest of us a story.”

Arianna P.

DESCRIZIONE

Figlio unico di madre single, J.R. cresce ascoltando alla radio la voce del padre, un dj di New York che ha preso il volo prima che lui dicesse la sua prima parola. Poi anche quella voce scompare. Sarà il bar di quartiere, con l’umanità varia che lo popola, a crescerlo e farne un uomo. Appassionata e malinconicamente divertente, una grande storia di formazione e riscatto, di turbolento amore tra una madre e il suo unico figlio, ma anche l’avvincente racconto della lotta di un ragazzo per diventare uomo e un indimenticabile ritratto di come gli uomini rimangano, nel fondo del loro cuore, dei ragazzi perduti.

David Copperfield, Charles Dickens

Peggotty and little David, Frank ReynoldsPeggotty_from_Charles_Dickens_David_Copperfield_art_by_Frank_Reynolds

Finito primo tomazzo dell’anno che, se vogliamo andar per cumuli, fa davvero una bella tombola (credo punti 1, 2, 3, 13, 16, 23, 42, 44…)

In ogni caso la traduzione è di Cesare Pavese. Il che ha un suo certo peso specifico.
Fermo restando che sentivo il bisogno di un libro di spessore, e non parlo solo del numero di pagine, che adoro Dickens dal più profondo del cuore e che uscivo da una crisi astinenziale di un paio di mesi, aprire il libro e scorrere le prime due righe è stato un balsamo per l’anima. Leggete insieme a me:

“Se mi accadrà di essere io stesso l’eroe della mia vita o se questa parte verrà sostenuta da qualche altro, lo diranno queste pagine.”

Non so, m’è parso di chiudere gli occhi e riaprirli su un mondo altro, come puntualmente mi accade con questo autore, un po’ perché amo le storie dalla “gustosa futilità dell’intreccio”, come le definisce lo stesso Pavese nel commento all’opera, un po’ perché smanio d’esser scaraventata tra le strade di una fumosa Londra ottocentesca, un po’ perché, e devo ammetterlo, qui la parte del traduttore è stata, più che in altri casi, una vera manna dal cielo. L’italiano utilizzato come l’ho letto qui, ti rappacifica col mondo e con la letteratura. Non sono snob, sono innamorata.

La storia in sé si dipana in puro stile Dickensiano – l’autore stesso lo definisce il suo lavoro più amato – tra una miriade di personaggi più o meno via di testa (bene o male di davvero dritto non ce n’è uno!) e apre finestre su finestre che, grazie a dio, vengono perfettamente richiuse al termine del romanzo.

Ecco, io amo i libri compiuti, quelli dove le cose vengono spiegate, dove i misteri si risolvono, dove non mancano morte e dolore, per carità, ma alla fine l’intreccio si streccia e io arrivo a vederci chiaro.
Mi sono astenuta dal commentare il superconsigliato e intoccabile caposaldo del Re, L’Ombra dello Scorpione, dove per l’appunto ho patito le pene dell’inferno perché non si capisce ‘na mezza cippa di cosa sia veramente successo, di cause, origini, tutte quelle robe là. Ammetto che in qualche occasione la forma narrativa della sospensione, del finale aperto, possa esercitare un suo certo fascino, tuttavia trovo grandissimo piacere nel riprendere fiato in opere compiute come, per l’appunto, il David Copperfield. Vivano i classici!

Sara De Paoli