The book of lost things, John Connolly

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The book of lost things è un fantasy di John Connolly, scrittore noto ai più per la serie thriller del detective Charlie Parker, un antieroe protagonista di storie cupe che in Italia ha avuto vita infelice, per traduzione e pubblicazione.

I libri con Charlie “Bird” Parker sono gialli violenti con assassini seriali, macabri trofei, a volte qualche tocco di paranormale. Le soluzioni sono spesso ambigue, ne ho letti tre o quattro di questa serie e li ho molto graditi. Scrive bene, e non sono mai trame banali. Questo fantasy è destinato a un pubblico più giovane, ma non è romanzo per minori: vi sono morti, violenze su bambini, scene sanguinose al limite dello splatter, e tanta tristezza.

La storia è ambientata, come periodo temporale, nella Londra in guerra durante i raid nazisti. Il protagonista è David, un ragazzino dodicenne che ama tanto leggere, e perdersi nelle storie, nei racconti, nelle favole. Il libro inizia con la morte, dolorosissima, della madre. Come in tutte le storie più classiche, il padre si risposa, e ha un bambino dalla matrigna; che poi non è, in realtà, una vera cattiva matrigna, così come il fratellastro neonato non è davvero odioso. Ma David è solo, è triste, è rabbioso; chiuso nella sua stanza a piangere la madre e a rimuginare, ascolta le voci dei libri sui suoi scaffali. E un giorno, da una porta del giardino che prima non c’era, sente la voce della mamma che lo chiama, e passa attraverso quella porta per entrare in un nuovo mondo.

Come ho detto, è un fantasy, e l’idea del “mondo al di là del nostro mondo” e del ragazzino che entra in un reame sconosciuto popolato da creature sovrannaturali non è una novità, in sè. Ma Connolly è scrittore di razza, e il rifugio che David cerca nelle fiabe e nei miti si rivelerà molto incerto, e la strada per uscirne difficile e impervia.

E’ un libro che mi è piaciuto tanto, ho letto una sera i primi capitoli e la sera dopo ho fatto nottata per finirlo, mi aveva proprio presa. Il fantasy è un genere dagli stereotipi ben fissi e riconoscibili: eroi valorosi, vecchi saggi, stregoni cattivi. Qui è tutto un po’ mischiato, in vari toni di grigio: eroi che muoiono, il ragazzino che deve salvarsi per lo più da solo, consiglieri che non consigliano più dopo tre righe, eroine egoiste e crudeli, adulti meschini e a volte più persi di un ragazzino in un altro mondo, come è spesso la realtà.

Al di là del viaggio che David deve affrontare per il passaggio dall’infanzia alla maturità, e di quello che succede al di là dello specchio, questo è un libro che parla di storie, e dei libri che le raccontano. Tutti quelli che David incontra in questo suo viaggio avranno occasione di raccontargli qualcosa: a volte è una fiaba a noi già nota che prende una deriva un po’ horror (in fondo, i fratelli Grimm non scrivevano esattamente favolette leggere), a volte è un racconto talmente cambiato da risultarci irriconoscibile. Vi saranno storie di eroi e di codardi, altre sanguinose, altre molto tristi. E tanti libri, e insomma già questo ci piace, direi.

Piaciuto tanto.

Il finale poi è davvero bello e poetico, io c’ho pianto una lacrimuccia (ammetto che sono un po’ mozzarella, ho la lacrima facile, piangevo anche alle pubblicità vecchie della barilla).

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Metto due passaggi che mi hanno intrigato, le traduco io dall’inglese quindi se qualcosa non vi quadra è colpa mia, non di Connolly:

“Prima di ammalarsi, la mamma di David soleva dirgli che le storie sono vive. Non sono vive come lo possono essere le persone, e nemmeno come lo sono i gatti o i cani. Le persone sono vive che tu decida di notarle o meno; i cani per esempio se capiscono che li stai ignorando troppo cercano di farsi notare. I gatti, naturalmente, sono bravissimi a far finta che la gente non esista quando fa loro comodo, ma questa è proprio un’altra questione.

Ma le storie sono differenti: le storie vivono mentre le racconti. Senza una voce umana che le legga ad alta voce, o un paio di occhi sgranati che le seguono alla luce di una torcia sotto le coperte, le storie non hanno una vera vita nel nostro mondo. Sono come semi nel becco di un uccello, che aspettano di cadere a terra; o le note di una canzone scritte su un foglio di musica, che desiderano uno strumento che porti la loro melodia in vita. Giacciono dormienti, sperando in un’occasione che le porti alla luce.”

“Sentiva i vecchi libri di sua madre parlargli: da principio appena un sussurro, poi ad alta voce e con più decisione. Erano storie molto vecchie, antiche come il mondo e la gente che lo popolava, ed erano sopravvissute proprio perchè erano storie molto potenti. Erano quelle storie che riecheggiavano in testa molto tempo dopo che i libri che le contenevano erano stati finiti e messi da parte. Erano un modo per evadere dalla realtà, e una realtà alternativa loro stessi. Erano libri così vecchi, e così strani, che avevano trovato un tipo di esistenza indipendente dalle pagine che occupavano. ”