Easter Parade – Richard Yates #recensione #RichardYates

Ne l’una né l’altra delle sorelle Grimes avrebbero avuto una vita felice, e a ripensarci si aveva sempre l’impressione che i guai fossero cominciati con il divorzio dei loro genitori.

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Così inizia questo romanzo di Yeats, bello, molto bello, ma così distruttivo che non dà respiro e neppure un barlume di speranza.
Pare che Yates in questo libro abbia portato molto della sua vita, il bisogno di affogare tutto nell’alcool, la solitudine, la scarsa determinazione.

The Easter Parade, tradizionale Parata di Pasqua newyorkese, resterà il punto più alto dell’esistenza di Sarah e Tony, giovane coppia che verrà immortalata alla sfilata in una foto del New York Times. L’immagine di perfetta felicità, incorniciata e appesa al muro per anni, somiglierà sempre meno ad una realtà fatta di violenza, umiliazioni e fallimenti – ammesso che abbia mai rappresentato qualcosa di vero.
Il romanzo è una carrellata di personaggi che affondano uno dopo l’altro: il padre, affezionato a suo modo ma sempre assente e primo perdente.
La madre, gretta e volgare, una persona della quale le figlie si vergognano e che abbandonano anche durante la vecchiaia e la malattia.
Sara, cocca di papà da bambina, poi madre e moglie “felice”, la sorella maggiore che investe tutta se stessa nel matrimonio, ma, maltrattata e picchiata dal marito si attaccherà alla bottiglia fino a morire, appena 50enne, alcoolizzata. Nasconderà sempre dietro un sorriso fatuo e cristallizzato l’inferno domestico che finirà per distruggerla: “E’ un matrimonio. Se vuoi restare sposata, impara a sopportare le cose”.
La sorella minore Emily, la sorellina un po’ inadeguata, la “povera” Emily, passa da un amore all’altro senza entusiasmo, nel suo incolmabile bisogno d’amore, ostentando una sicurezza e un’indipendenza che non ha, solo per avere qualcuno accanto, ma già all’inizio di ogni nuova storia si intravede la fine. Il culmine della sua disfatta è la perdita definitiva del lavoro.
Tutti perdenti in questo romanzo, per incapacità di comunicare, incapaci di amare, chiusi nel loro egoismo, nessuna condivisione e mai che si tendano una mano l’un l’altro. Yates va giù duro con frasi che non lasciano nemmeno l’illusione di un minimo di speranza.
Un libro bellissimo, ma cattivo, rabbioso, in cui la sconfitta la fa da padrone, una narrazione sublime che incontra la tristezza, tra fiumi di alcool e cenere di sigarette spente.

Raffaella Giatti

Disturbo della quiete pubblica – Richard Yates #recensione #RichardYates

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Sullo sfondo dell’ottimismo e della prosperità dell’era Kennedy si disegna la storia dell’ambizione frustrata – e della discesa nella follia – di John Wilder, impiegato che sogna il successo come produttore cinematografico e invece conoscerà soltanto l’angoscia dell’ospedale psichiatrico e le manipolazioni di Hollywood.
« Per Janice Wilder le cose cominciarono ad andare storte nella tarda estate del 1960. E il peggio, come non fece che ripetere in seguito, il lato più orribile della faccenda è che tutto parve capitare senza il minimo segno premonitore »

Comincia così, con una telefonata del marito, John Wilder, che si rifiuta di rientrare a casa dopo due settimane trascorse fuori per lavoro.
Le vicende che coprono un arco di 10 anni, familiari, extra coniugali, lavorative e sociali di un pubblicitario di successo newyorkese nell’America degli anni ’60, col sottofondo ombroso e opprimente di un’eventuale malattia mentale.
Yates è un narratore eccezionale, e picchia forte in questo romanzo, picchia contro l’ipocrisia dell’America di quegli anni, dove tutte le famiglie sembrano uscire da una qualche pubblicità del Mulino Bianco ma che nascondono neanche troppo in profondità dei limiti esistenziali irrisolvibili. John Wilder te lo immagini come in un quadro di Edward Hopper, seduto al tavolino di un bar alla periferia di una metropoli americana, il bicchiere in mano, lo sguardo perso nel vuoto: forse pensa al passato, ai genitori milionari, alla sua giovane amante, alla moglie, al lavoro, ai suoi sogni di diventare produttore cinematografico, al troppo alcool, alla paura di tornare delirante nel reparto psichiatrico di un ospedale dove è già stato ricoverato e dove probabilmente finirà i suoi giorni.
Le ultime 40 pagine sono un capolavoro assoluto, ancora non riesco a togliermi di dosso l’angoscia profonda e il dolore che mi hanno provocato. Yates è un gigante, ma questo si sapeva già.
« Una volta individuata la causa di una rabbia irrazionale, questa non sarebbe dovuta cessare? Lo sapevano tutti, no? E allora perché non funzionava? »

Daniele Bartolucci