Suite francese – Irène Némirovsky #suitefrancese

Irène Némirovsky Suite francese

Traduzione di Laura Frausin Guarino
Biblioteca Adelphi

Qualche anno fa lessi “Jezabel”, della Nemirovsky, divorandolo in poco tempo e amandolo dalla prima all’ultima parola. Sull’onda dell’entusiasmo decisi di comprare “Suite francese”, della stessa autrice, per poi dimenticarlo e leggere altro. Questa settimana mi è capitato tra le mani e ho dedicato ogni minuto di tempo libero per leggerlo tutto; ne è valsa la pena: è stato un viaggio bellissimo. So che è già stato recensito in tutte le salse, ma davvero posso solo dire Leggetelo.

Il romanzo è incompleto, ma non è l’incompletezza del romanzo in sé a lasciarmi l’amaro in bocca, bensì la prematura dipartita di una scrittrice che avrebbe potuto regalarci ancora moltissime opere. Leggere la Nemirovsky significa sentirne la mancanza.

“Sarà dura, pensavano i parigini. Aria di primavera. Una notte di guerra, l’allarme. Ma la notte svanisce, la guerra è lontana. Quelli che non dormivano, i malati nei loro letti, le madri con un figlio al fronte, le donne innamorate con gli occhi sciupati dal pianto, sentivano il primo soffio della sirena, ancora solo un ansito profondo simile al sospiro che esce da un petto oppresso. In pochi istanti il cielo tutto si sarebbe riempito di clamori. Che venivano da lontano, dall’estrema linea dell’orizzonte – senza fretta si sarebbe detto. Quelli che dormivano sognavano il mare che spinge davanti a sé i ciottoli e le onde, la tempesta di marzo che scuote la foresta, una mandria di buoi che galoppano pesanti facendo tremare il suolo con gli zoccoli; ma il sogno finiva e socchiudendo appena gli occhi gli uomini mormoravano: «È l’allarme?»”

Giulia Baldo
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Ricordi di mia madre – Inoue Yasushi #recensione #InoueYasushi

«Mia madre dava l’impressione di essere un meccanismo rotto. Non era malata, ma una parte di lei aveva ceduto … Le parti integre e quelle compromesse si mischiavano di continuo ed era arduo distinguerle. Nonostante fosse afflitta da una notevole mancanza di memoria, vi erano particolari che ricordava perfettamente».

In questi tre racconti viene affrontato l’ultimo periodo di vita della madre dell’autore, che descrive il progressivo deterioramento psico-fisico dell’anziana donna, si tratta di tre racconti autobiografici scritti quando la madre dello scrittore aveva 80 anni, poi 85 e infine dopo la sua morte a quasi 90. In questi più o meno quindici anni si fa evidente, man mano che i sintomi della senilità avanzano, una sempre maggiore estraniazione dal mondo che circonda la donna e che la porterà a non riconoscere più i propri figli, nipoti e fratelli.

Mia madre dava l’impressione di essere un meccanismo rotto. Non era malata, ma una parte di lei aveva ceduto… Le parti integre e quelle compromesse si mischiavano di continuo ed era arduo distinguerle. Nonostante fosse afflitta da una notevole mancanza di memoria, vi erano particolari che ricordava perfettamente…
(…)
era come se avesse incominciato a cancellare a ritroso, con una gomma, la lunga linea della sua vita”, del tutto inconsapevolmente, “perché a tenere in mano la gomma era quell’evento ineluttabile che è la vecchiaia”.

Con brevi tratti vengono delineati solo i contorni principali dei protagonisti che lasciano trasparire il coinvolgimento emotivo dei famigliari. Praticamente mai vengono esaminati i sentimenti dei figli che si prendono carico della cura della madre. Le continue ripetizioni nel testo rendono più reale al lettore il disagio dei protagonisti: in questo modo si vivono in prima persona le situazioni paradossali che si creano, come quella dell’anziana donna che – con una lampadina tascabile in mano – vaga di notte nella casa del figlio, senza che sia possibile sapere se ora, nella sua mente, lei è la madre alla disperata ricerca del bambino perduto o la bambina smarrita in cerca della mamma.

Stare accanto a un anziano vuol dire a volte osservarlo mentre si chiude dentro una realtà a noi incomprensibile, dalla quale veniamo sempre più esclusi. Lo vediamo allontanarsi, e intanto si fa largo una domanda: siamo forse di fronte allo specchio di ciò che sarà di noi, un giorno?
Da questa sottile angoscia Inoue Yasushi sa far sgorgare parole sempre misurate e sensibili.
Anche se il linguaggio algido non analizza i risvolti psicologici della situazione famigliare il testo rimane comunque intenso. Viene però lasciato al lettore il compito di analizzare le informazioni fornite. Alla fine l’autore si pone la domanda se l’addio alla madre sarebbe stato meno doloroso se non si fosse esteso per un periodo così lungo.

Alex Amodio