“ENDURANCE. L’INCREDIBILE VIAGGIO DI SHACKLETON AL POLO SUD”- Alfred Lansing

Mio figlio gioca a hockey. Questo vuol dire che spesso, durante il weekend, io lo debba accompagnare in qualche palazzo del ghiaccio bavarese. Luoghi piuttosto freschetti, in verità. Talvolta si tratta persino di strutture ancora di vecchia concezione, prive di una o due pareti laterali, per far sì che ci pensi il freddo naturale esterno a tenere basse le temperature interne.

Ecco. Io mi vesto pesante, sia chiaro, eppure ho una struttura fisica che m’impedisce di mantenermi caldo a lungo quando sono esposto a condizioni invernali. Questo significa che nell’ora (di riscaldamento dei ragazzini, beati loro) che precede le partite, io perdo già molta autonomia. Dopo il primo terzo di gioco comincio a preoccuparmi. Dopo il secondo sono mezzo assiderato. Alla fine della partita sono un pezzo di ghiaccio. Se si va ai supplementari mi viene da piangere. E non succede di rado, nell’hockey.

Mi serve un intero viaggio di ritorno in auto, con il riscaldamento acceso, per ritornare a condizioni accettabili.

E qui mi escono due “nonostante”.

“Nonostante” ciò, adoro l’hockey, uno sport tesissimo, eccitante e incredibile, giocato da atleti dalle risorse pazzesche.

E, tornando al misero quadretto sin qui descritto, tocca aggiungere che mi riduco in quello stato pietoso “nonostante” le temperature, nei palazzetti del ghiaccio, non siano affatto polari. Fa un freddo cane, lì dentro, certo, ma mica si scende sotto lo zero!

Tutto questo, Iuri, per dire cosa?

Che devo smetterla di leggere questi resoconti di viaggi artici e antartici. Perché non riuscirò mai e poi mai a capacitarmi che queste persone riuscissero a reggere anni (anni!!!) in balìa delle terrificanti condizioni a cui si trovavano esposte (andandosele pure a cercare, questo va detto) al punto di sopravvivere (a volte; altre no) e potercele raccontare.

Centinaia e centinaia e centinaia di giorni e di notti di gelo e disagio apocalittici, di fame, sete, buio, disperazione. Laddove io, alla fine di certe partite di hockey di mio figlio, dopo un paio di centinaia di minuti, torno a casa sentendomi un eroe…

Detto tutto ciò, consiglio il libro a chiunque subisca, come me, il fascino di queste imprese (dis)umane. Leggerlo (casualmente) nei giorni in cui è stato rintracciato il relitto della “Endurance” è stato un valore aggiunto non da poco. Affrontare la lettura in un momento di decisa fragilità emotiva personale, invece, non è stata, da parte mia, un’idea geniale. Sarà quindi meglio cambiare atmosfere, per un po’…

Iuri Toffanin

di Alfred Lansing (Autore) Marco Preti (Traduttore)

L’incredibile viaggio di Shackleton al Polo Sud «L’ordine di abbandonare la nave fu impartito alle cinque pomeridiane. Per la maggior parte degli uomini, comunque, non sarebbe stato neppure necessario: sapevano che la nave era condannata e che ogni sforzo per salvarla sarebbe stato ormai inutile. Avevano lottato senza posa per tre giorni e avevano perduto. Accettarono il loro destino quasi apaticamente.» Era il 1° agosto del 1914 quando, al comando del famoso esploratore Sir Ernest Shackleton, ventisette uomini salparono da Londra alla volta dell’Antartide. Lo scopo della spedizione era di attraversare via terra il continente antartico da est a ovest. Ma a sole ottanta miglia dal Polo, l’Endurance, una splendida goletta concepita per la navigazione tra gli iceberg, rimase intrappolata nei ghiacci del mare di Weddell e per dieci mesi venne trascinata verso nord-ovest dalla deriva del pack. Il 21 novembre del 1915 la nave, non resistendo alla pressione della banchisa, sprofondò nel ghiaccio, costringendo Shackleton e il suo equipaggio a un’incredibile lotta per la sopravvivenza in uno dei luoghi più inospitali della Terra. Avvincente come un romanzo, il libro di Alfred Lansing ricostruisce una delle imprese più straordinarie, un’incredibile avventura i cui protagonisti furono il coraggio, la resistenza, l’abnegazione che contraddistinsero gli uomini di Shackleton e la sua eccezionale capacità di sostenerli e guidarli. Più di una volta, il cinema e la televisione si sono accostati a questa incredibile vicenda. La trasposizione più recente è Shackleton, un film per la televisione di produzione inglese, con Kenneth Branagh nel ruolo del grande e carismatico esploratore.

Senza un soldo a Parigi e Londra – George Orwell #recensione #GeorgeOrwell

“Il primo contatto con la miseria è un fatto curioso, ci avete pensato tanto alla miseria, l’avete temuta tutta la vita, sapete che prima o poi vi sarebbe piovuta addosso, ma in realtà, tutto è totalmente e prosaicamente diverso.
V’immaginavate che sarebbe stata terribile, ma è soltanto squallida e noiosa, gli espedienti ai quali vi costringe, le meschinità, le pitoccherie.
E poi ci sono i pasti, che rappresentano la difficoltà maggiore. Scoprirete che cosa vuol dire avere fame. Scoprirete che quando un uomo va avanti a pane e margarina, non è più un uomo, è solo un ventre con qualche organo accessorio.”

orwellSenza un soldo a Parigi e Londra è il primo libro scritto da Orwell, e racconta la sua vita di miseria in queste città. Il libro non offre soluzioni, semplicemente racconta la sua esperienza, così come l’ha vissuta: di come, dopo aver tentato di guadagnarsi da vivere facendo il giornalista a Londra, ma senza fortuna, si trasferì a Parigi, ma anche qui, la possibilità di esercitare un lavoro che gli desse da vivere sfuma, come sfuma il gruzzolo che l’aveva sostenuto i primi tempi.
Dopo aver impegnato tutto al banco dei pegni, per sostenersi accetta di fare il lavapiatti, conducendo una vita da schiavo e riducendosi all’abbruttimento totale. Qui c’è tutta una classificazione di mestieri dati agli immigrati che ricorda un po’ quella di oggi, ad esempio, gli italiani sono quasi tutti camerieri.
Finalmente gli si apre una posizione lavorativa migliore a Londra, ma, tornato in città con l’aiuto economico di un amico, scopre che il lavoro gli è stato temporaneamente sospeso. A questo punto, ripiomba nell’assoluta povertà e si ritrova a fare il vagabondo, dormendo negli ospizi e mangiando quel poco che può rimediare. Lo affiancano compagni di strada, invisibili come lui, che gli insegnano mille astuzie per sopravvivere. Fra i vagabondi incontrati ci sono anche persone notevoli, dignitose e solidali. Questo libro è quindi alla fine un saggio, un resoconto, su tutta quell’umanità quasi invisibile che si trova attorno a noi e fatta da persone senza un tetto né un lavoro, da indigenti, vagabondi ridotti alla miseria, che si trascinano sulle strade in cerca di cibo e di un rifugio quale che esso sia, per non morire di fame e di freddo, la dura e disperata battaglia giornaliera per la sopravvivenza vista dalla parte di quegli sventurati ai quali la sorte ha tolto tutto.

“… ci sono alcune cose che, campando senza soldi, ho imparato bene: non penserò mai più che tutti i vagabondi siano furfanti ubriaconi, non mi aspetterò gratitudine da un mendicante quando gli faccio l’elemosina, non mi sorprenderò se i disoccupati mancano di energia, non aderirò all’Esercito della Salvezza, non impegnerò i miei abiti, non rifiuterò un volantino, non gusterò un pranzo in un ristorante di lusso.
Questo tanto per cominciare”.

L’avventura londinese lo fa giungere alla conclusione che i vagabondi rappresentano un passivo per il paese, in quanto alimentando queste persone in maniera insufficiente e non facendoli lavorare, si vanifica un patrimonio di vita lavoro e denaro speso per il mantenimento dei numerosi ospizi.

Perché i mendicanti sono disprezzati? Io credo che dipenda semplicemente dal fatto che non riescono a guadagnare abbastanza per vivere decorosamente. In pratica a nessuno importa se un lavoro è utile o inutile, produttivo o parassitico; l’unica cosa richiesta è che sia redditizio. Quale altro significato c’è in tutte le chiacchiere moderne sull’energia, l’efficienza, l’utilità sociale e il resto, se non: «Fa’ quattrini, falli legalmente, fanne un mucchio»? Il denaro è diventato il banco di prova del valore. In questa prova i mendicanti falliscono, e per questo sono disprezzati.

Raffaella Giatti