L’avversario – Emmanuel Carrère

avversario

Ricalcando i suoi passi provavo pietà, una straziante simpatia per quell’uomo che aveva errato senza meta, anno dopo anno, chiuso nel suo assurdo segreto, un segreto che non poteva confidare a nessuno e che nessuno doveva conoscere, pena la morte. Poi pensavo ai bambini, alle fotografie dei loro corpi scattate all’Istituto di medicina legale: orrore allo stato puro, un orrore tale da costringerti a chiudere gli occhi, a scuotere il capo la realtà. 

Dopo aver letto, anni fa, La settimana bianca di Emmanuel Carrère, e nonostante l’opprimente senso di angoscia generato da quella lettura, mi ero messo in lista il successivo suo L’avversario; in realtà l’ispirazione dei due libri è unica e cioè un terribile fatto di cronaca che nel gennaio del 1993 sconvolge la regione francese limitrofa a Ginevra.
Ma nella Settimana bianca vi è fiction, con protagonista un bimbo, e la vicenda narrata è una sorta di viaggio negli incubi di questo piccolo Nicholas durante una vacanza in montagna con la scuola. L’avversario esce diversi anni dopo, nel 2000, ed ha una impostazione che ricorda moltissimo la lezione di Truman Capote in A sangue freddo.
Carrère, in veste di giornalista-scrittore, è colpito dalla strage compiuta da Jean-Claude Romand ai danni di moglie, due figli e dei suoi due genitori con annesso tentato suicidio nell’incendio che appicca alla sua abitazione.
Carrère si mette in contatto con il sopravvissuto protagonista, apre con lui una corrispondenza in carcere in attesa del processo, assiste alle assise e segue ancora per qualche tempo la dinamica comportamentale ed emotiva del condannato all’ergastolo prima di riuscire a dare alla luce il libro che racconta la vicenda.
A me sembra evidente la lezione di Capote per la cura quasi maniacale nella ricostruzione accuratissima di quello che accade a partire dall’innesco di un tunnel senza via di uscita imboccato da un uomo apparentemente buono e rispettabile agli occhi di chi gli è vicino, famiglia, parenti e amici, che senza un motivo apparente in realtà accumula, senza essere mai scoperto, una vita fatta solo di menzogne. A partire da un esame universitario non dato, seguono laurea inesistente, lavoro inesistente, relazioni e riconoscimenti inventati, redditi carpiti con l’inganno a genitori e amici, fino ad una relazione extra-coniugale che sarà l’inizio della fine, e che lo porterà a una decisione di suicidio che diventa poi una terrificante strage.

L’ultimo anno è trascorso sotto il peso di quella minaccia, che prima incombeva sulla sua vita in modo diffuso. Ogni volta che incrociava qualcuno, che qualcuno gli rivolgeva la parola o il telefono squillava a casa sua, l’angoscia gli stringeva lo stomaco. 

Il racconto prende letteralmente alla gola per l’orrore dei dettagli che soprattutto durante la cronaca processuale lo scrittore riporta con fedeltà, e con il proprio smarrimento personale nel dover trattare una materia talmente indicibile.
A differenza del capolavoro di Capote, non si avverte qui l’empatia verso il colpevole da parte dello scrittore, che pure riesce nel corso del libro a farci sentire dentro la psiche dell’uomo e che comunque, intervistando anche amici e qualche volontario che frequenteranno il Romand negli anni di carcere constatandone il suo presunto pentimento, la richiesta di perdono alla moglie uccisa e una fervida fede nel perdono di Dio, non potrà esimersi dal chiedersi se questo non sia l’estremo ulteriore inganno verso di sé e verso chi lo ascolta. Le sue riflessioni ci fanno sentire increduli e angosciati davanti a un male che non riusciamo a comprendere, un male interno, personale, che forse però speriamo sia esterno, “ l’avversario” che biblicamente chiamiamo Satana con cui potremmo doverci confrontare. Un libro che racconta una vicenda umana terribile.

Mentre tornavo a Parigi per rimettermi a lavoro, non vedevo più ombra di mistero nella sua lunga impostura, ma solo una misera commiserazione di cecità, disperazione e vigliaccheria. Ormai sapevo cos’accadeva nella sua testa durante le lunghe ore vuote trascorse nelle aree di servizio o nei parcheggi dei bar, era una cosa che in qualche modo avevo vissuto anch’io, e che mi ero lasciato alle spalle. Ma mi chiedevo: che cosa accade, adesso, nel suo cuore durante le ore notturne di veglia e di preghiera?

Renato Graziano

Elvis Costello – Musica Infedele & Inchiostro Simpatico #ElvisCostello

costello

Ora, la domanda è: cosa ci aspettiamo dalla lettura delle autobiografie dei musicisti (sempre ammesso che le leggiamo, ovviamente)?

Dunque, per quanto mi riguarda, in ordine sparso:
– -ricordi di infanzia e/o di formazione (ovvero: perché mai ha fatto il musicista e non il giocatore di biliardo o il geometra del catasto?)
– influenze musicali e no (voglio dire: avranno pure letto un libro anche loro, no? … a meno che uno si legga la autobiografia di Vasco Rossi, naturalmente, ancora fermo all’abecedario come certificano i testi delle sue canzoni: aaahhhhh ….eeeeeeeeeehhhhhhhh….ooooooooohhh…)
– anedotti della vita musicale on the road (quella volta che stavo nel locale più sfigato in culo al mondo e c’era un jukebox con le mie canzoni)
– ritratti ‘dal vero’ di altri musicisti (del tipo: Dylan, di persona, è un emerito stronzo. Oddio, questo credo l’abbia già scritto chiunque l’abbia conosciuto, praticamente)
– la storia dietro le canzoni/dischi (nome, cognome, indirizzo e codice
fiscale della Mary di Thunder Road, per dirne una)
– scene di vite personale/famigliare (anche i rockers portano il cane ai giardini a pisciare, suppongo)
– varie e eventuali

Bene, se è questo che vi aspettate, tutto questo qui c’è.
Tutto e in misura abbondante (soprattutto per le varie e eventuali).
Il problema, semmai, è il come.

Nel senso che il buon Declan MacManus, aka Elvis Costello, segue e porta alle estreme conseguenze il metodo retorico del salto dal palo alla frasca, seguendo peraltro l’esempio di alcuni suoi illustri colleghi (si vedano il Dylan di Chronicles e il Neil Young di Il sogno di un hippie) , disponendo tutto quanto sopra senza il benché minimo ordine né cronologico, né – tantomeno – logico, ma seguendo un suo personalissimo criterio, del tutto indecifrabile, almeno per quanto mi riguarda.
E coltivando un gusto quasi perverso per la digressione: ti sta raccontando una cosa di un certo interesse e se ne parte per quattro o cinque pagine a raccontartene un’altra che, apparentemente o meno, non c’entra una beatissima cippa, salvo poi tornare improvvisamente alla questione da cui era partito (e di cui tu, nel frattempo, ti era magari scordato).

Detto questo, non si può certo dire che, quantomeno per i maniaci di musica (e non necessariamente del Costello medesimo) il libro non sia privo di fascino, non fosse altro perché il buon Elvis – figlio di un cantante con la Joe Loss Orchestra (e qui si spiega perché non abbia fatto il geometra del catasto, nonostante abbia induscutibilmente il fisico del ruolo, anche se non ci è andato troppo lontano, in realtà)– sfoggia una conoscenza enciclopedica della musica popolare (e no) e può vantare, nella sua ormai quarantennale carriera, una serie pressoché infinita di incontri e collaborazioni con altri musicisti: servirebbe magari un indice analitico al termine del volume per capire quali e quanti sono (e per andarli a ritrovare tra le caotiche pagine del libro).

Certamente toccanti le pagine dedicate al rapporto non semplice con il babbo, separato dalla madre con Declan/Elvis ancora piccolo e padre di una nutrita schiera di fratellastri, descritto sino alle ultime ore di vita (e, a proposito di scene di vita famigliare, fa un una certa impressione ritrovare la divina Diana Krall in veste di amorevole crocerossina al capezzale del suocero).

Ecco, alle fine, anche una lettura interessante, per quanto non certo leggera.
Ma magari con un lavoro di editing che ne avesse ridotto un po’ la mole – diciamo di quelle due-trecento pagine almeno (sono 869!) – e avesse dato una forma più compiuta a questa massa abnorme di informazioni, racconti, situazioni ci avrebbe guadagnato un po’.
Un bel po’, credo, a essere sinceri.

 

PS: poi nelle note di ringraziamento si legge:
“Nessun animale o musicista è stato maltrattato durante la stesura di questo libro”
Un genio, quest’uomo.

Luciano Re