Chi scrive i nostri libri (Lettere Editoriali) – Julio Cortázar #Cortázar #Sur

“Chi scrive i nostri libri” è il secondo volume dell’epistolario di Julio Cortázar: dopo le lettere ad amici scrittori raccolte in “Carta carbone”, è la volta della sua corrispondenza editoriale. Lettere argute e appassionate a editori, giornalisti, traduttori, critici letterari, registi che hanno avuto il privilegio di condividere un tratto di strada con una delle menti letterarie più brillanti del Novecento.

 

“Ho iniziato a lavorare disordinatamente sul libro lungo che vorrei scrivere, mi sono reso conto che la difficoltà non sta per me nella mancanza ma nell’eccesso di aperture di ogni genere. Ogni pagina, e a volte ogni frase, è come una partita a scacchi in cui, invece di giocare sulla scacchiera che ho davanti agli occhi, le mie mosse si ripercuotono su un’infinità di altre scacchiere che di colpo si rendono visibili, o appaiono per poi sparire alla mossa successiva.”

Lo consiglio e straconsiglio. Un tassello, minuscolo, dell’immensa corrispondenza cortazariana (più di 1800 lettere, scritte a partire dal 1937, fino al 1984, a pochi giorni dalla morte), raccolta da Alfaguara in cinque volumi, e pubblicata da SUR in tre volumi a selezione tematica. Il primo, Carta carbone, raccoglie le lettere ad amici scrittori, mentre il terzo si concentrerà sulla corrispondenza di carattere politico. Questo Chi scrive i nostri libri è appunto il secondo volume, dedicato alle lettere editoriali – dirette a editori, giornalisti, traduttori, critici letterari, registi – che ripercorrono da dietro le quinte la genesi e lo sviluppo di Cortázar come scrittore, e di molte delle sue opere più famose.

Letteratura, Vita, Invenzione, Quotidiano e Stra-ordinario coincidono in questo stupefacente Artista. In queste lettere non c’è parola fuori posto e ugualmente il pensiero è profondo, originale e coerente. Egli stesso domanda: “Chi scrive i nostri libri?” Non lo sa; le idee, dice, gli arrivano come un uccello che entra dalla finestra.

Cortàzar è anche divertente, informa e nel contempo intrattiene. Tale la bellezza della sua penna, e il fascino delle sue creazioni letterarie, che non puoi sbagliarti nel definire Letteratura, delle più pure, ciò che scrive. L’importante è non approcciarsi a lui come un ‘lettore-femmina’ cioè passivo, egli cerca spiriti amici che litighino anche, nel cammino della lettura, con lui, ma vivi e presenti. Appare sempre se stesso, sia quando è alle prime armi, sia quando lo definiscono un classico.

‘Nessuno è classico, se non lo vuole. Io sono sempre lo stesso sconcertato cronopio che dopo aver fatto 20000 km scopre di non aver tolto il freno a mano’.

E così ci racconta di quando ha creato in strada e nei caffè i CRONOPIOS, bestiole inventate, deliziose, tenere che gli appaiono ovunque, nella zuppa e nei sogni che gli hanno stropicciato la pagina, in alto, a sinistra. Tante sono le lettere che ho segnato: le più toccanti, quelle su Il gioco del mondo (Rayuela) – Einaudi, 2004 – dove l’autore difende il libro strenuamente, e si compiace quando qualcuno ne coglie il senso di rottura, di controromanzo, di libertà.

Cortazar si definisce più uno scrittore di racconti che un romanziere. Strepitosa la sua ironia sferzante sulla mediocrità dei critici e lettori americani, sull’incapibilità degli italiani, sull’iperintellettualismo, sui giornalisti (“dal buon giornalismo viene fuori cattiva letteratura”), sulle promozioni dei libri e i firmacopie (vere pagliacciate). Non ama gli altri scrittori – tranne Garcia Marquez e O. Paz – e dice di non averli mai voluto incontrare per timidezza e disinteresse. Contenuto e impaginazione per lui hanno lo stesso valore e come ogni grande autore è meticoloso, pignolo fino all’ossessione per la virgola, gli spazi tra le righe, la copertina (con tanto di disegnini), il dorso del libro (quello che rimane all’occhio quando lo metti in libreria).

Nell’ultima lettera, il 20 gennaio 1984, dice di stare molto male, ci saluta con affetto, il malandato Julio, e tu pensi: ” che assurdità non esserci conosciuti tanti anni fa, passare insieme in rassegna il mondo, lavargli la faccia, renderlo più tollerabile…”

addio Julio, barlume geniale e nascosto in un mare di foglie secche…

Alessandra Gianardi

Storia di Roque Rey – Ricardo Romero #RoqueRey #RicardoRomero #recensione #Fazi

“Bisogna fare il giro del mondo per vedere se stessi di spalle mentre si cammina.”

Storia di Roque Rey – Ricardo Romero

Editore: Fazi

Roque Rey ha dodici anni quando suo zio Pedro muore. La zia gli chiede di infilarsi le scarpe di Pedro: lei le ha comprate apposta per farle indossare al cadavere dentro la bara. Essendo nuove sono ancora rigide, poco confortevoli. Roque Rey dovrà camminarci per un po’ , ammorbidirle. Non si può seppellire un cadavere con delle scarpe strette: renderebbero faticoso il suo cammino verso l’altro mondo.
Roque Rey indossa le scarpe, inizia a camminare e non si ferma più.

È una storia insolita ed originale quella di Roque Rey, una vita che è mille vite in una sola. Roque Rey camminerà moltissimo, per piacere, per necessità, molto spesso perché in fuga, come si fugge per cercare qualcosa che non si sa bene cosa sia. Per la maggior parte del tempo saranno le scarpe dello zio Pedro a condurre i suoi passi, una sorta di magico feticcio che lo accompagnerà per tutto il corso della sua vita. Ma camminerà anche indossando le scarpe dei morti, delle centinaia di cadaveri che incontrerà nel suo lavoro all’Obitorio Giudiziario. Nelle lunghe notti buie di Buenos Aires, Roque Rey percorre chilometri su chilometri, con scarpe che non sono le sue, percorrendo strade che non conosce, sempre con uno scopo che scoprirà solo arrivato a destinazione. Perché è come se quelle scarpe conservassero ancora un loro istinto, un preciso desiderio, un impulso a tornare su passi già percorsi quando ad indossarle erano altri piedi.
È una storia in bilico costante tra il reale e il magico, una storia che a tratti sembra fuori dal tempo malgrado l’autore l’abbia costellata di mille riferimenti temporali, storici e musicali: nel pieno di atmosfere calde e sensuali dei tangheri argentini ecco apparire i Pink Floyd, nella caotica confusione che accoglie l’arrivo del protagonista a Buenos Aires ecco sfilare il corteo funebre di Allende.

Roque Rey cambierà vita molte volte, in maniera sempre molto drastica. Quando pensi che la storia sia arrivata ad una certa stabilità ecco che la direzione cambia in modo brusco e Roque diventa… qualcos’altro.
Allo stesso modo Roque Rey incontrerà tante persone. C’è un corollario di personaggi in questa storia che potrebbero costituire da soli un libro a sé. Appaiono e molto spesso, semplicemente, se ne vanno. Vanno via, partono alla ricerca di qualcosa, abbandonano la loro vita e ne cercano un’altra. La sera c’erano e il mattino dopo non ci sono più. Spariscono. La fuga, l’allontanarsi e sparire: uno dei temi centrali di questo libro a partire dalla sue prime pagine dove, prima il padre e poi la madre di Roque Rey, se ne vanno. Semplicemente.

I personaggi sono bizzarri, malinconici, a volte commoventi altre volte sconcertanti. Come Natalia, la figura più ambigua e inquietante del libro. Una bambina di undici anni geniale e subdola, manipolatrice e lasciva. Con lei Roque vivrà anni estenuanti e confusi, raccontati in particolari a volte scabrosi.

La morte è sempre presente nel libro, in svariate forme. Le atmosfere sono spesso lugubri e cupe, barocche e surreali.

Ho finito questo libro due giorni fa e devo dire che mi ha mandata un po’ in crisi. Non sono ancora sicura se quello che ho letto sia un libro memorabile o meno. È un libro potenzialmente noioso, una storia introspettiva dove per lunghe pagine spesso mancano i dialoghi. Eppure una volta iniziato a leggere mi sono ritrovata in un’Argentina polverosa e un po’ stregata, alle prese con un personaggio singolare: forse troppo buono o forse molto matto, difficile da definire. Senza alcun dubbio singolare, malgrado mi abbiano lasciata perplessa i ragionamenti di Roque bambino e ragazzino: la sua mente sembra essere sempre quella di un adulto, dall’inizio alla fine. A volte ho trovato quella scrittura un po’ ruffiana che ti fa esclamare “Perbacco! Come scrive bene”… per poi obbligarti a rileggere la frase due volte per capire cosa l’autore intendesse dire. Quelle circonvoluzioni di termini messi insieme un po’ a caso in frasi di grande effetto.

Ogni tanto ho trovato espressioni che mi hanno sconcertata: tra il lusco e il brusco… calma e gesso… Mi sono immaginata il traduttore italiano strizzare l’occhio e dire “Ehi, lettore! Ci sei? Sei sveglio? Sei attento??” e questo mi ha fatta sorridere.

Malgrado le perplessità non sono riuscita a staccarmi dal libro, l’ho divorato. Ma detto questo non sono ancora in grado di sapere se consigliarlo o no. Se qualcuno lo ha letto mi piacerebbe molto sapere cosa ne pensa.

«Gradirei che mi dicesse qualcosa, signor Rey. Capirà che le cose non sono così chiare e io devo prendere delle decisioni».
«Non ho niente da dire»

Anna Massimino