Pieno giorno – J. R. Moehringer #JRMoehringer #Piemme

Baricco ha scritto che Moheringer è di una bravura mostruosa. Non so se è mostruosa, ma bravo lo è di certo. All’interno del libro c’è questa frase:”…scrive la storia come fosse un romanzo e il romanzo come fosse storia”. Esattamente così.

Non leggevo di rapinatori e rapine da non so quanto tempo, ma questa non è solo una storia di rapine. Sutton non è un rapinatore qualsiasi, è un rapinatore con le sue regole etiche, odia chi fa la spia, odia far del male alle persone che incrocia sulla sua strada. Sutton ama la letteratura, cita, mentre rapina, è l’Arsenio Lupin delle rapine in banca, si traveste, diverte, ammicca.

“Non può ricevere visite, niente lettere, niente radio. Niente libri. Sarebbe disposto a uccidere per un libro, anche se sarebbe inutile nell’oscurità. Ma anche solo tenerlo in mano, immaginare quello che potrebbe esserci scritto, gli sarebbe di conforto. Giura a se stesso che se mai dovesse uscire dalla Cella nera imparerà libri e poesie a memoria, per averli sempre in testa, metti mai.”

E soprattutto ama. L’amore è il motore delle sue azioni fuorilegge, per amore diventa quel che è e continua ad andare avanti.

“Soldi e amore, ragazzo. Solo questo conta. Perché sono le uniche due cose che ci fanno dimenticare che esiste la morte. Almeno per qualche minuto.”

Una storia che racconta una sola giornata della vita di Willie Sutton, quella in cui esce finalmente di prigione, quattrocento pagine per raccontare una sola giornata, ma in realtà, con il gioco di prestigio della doppia narrazione temporale, è descritta tutta la sua vita e la storia di una Nazione in un lungo e preciso periodo, una Nazione che innalza solo chi vince e relega sotto i ponti chi non ci riesce, e lo bastona pure, e dunque spesso le scelte di vita sono obbligate dal dover in qualche modo sopravvivere.

“Sai quando dicono che il carattere è destino? Sono stronzate. Il lavoro è destino. Un uomo che parla della donna che ama ti potrà sembrare eccitato, ma tu fallo parlare del suo lavoro e poi guardalo negli occhi – solo allora vedrai la sua vera natura. Un uomo è il suo lavoro, ragazzo, e io un lavoro non lo avevo, quindi ero una nullità. Un perdente. L’America è un gran posto se sei un vincente, ma è il fondo dell’inferno per un perdente.”

Una storia avventurosa, fatta di tutto, di liti, di tradimenti, di poesia, di amore, di fiducia, di sogni, la scrittura è coinvolgente, appassionante, ti costringe a restare attento perché realtà e fantasia, passato e presente si intersecano e puoi rimanere fregato, una storia che ti tiene lì fino alla fine, che tu sia in un bar o su una spiaggia affollata non smetti di leggere, e alla fine resti con molte più domande rispetto a quando è iniziata, ti chiedi se hai sognato o immaginato tutto e quale sia la verità, in ogni caso dispiaciuto quando arrivi a girare l’ultima pagina.

“La verità è importante. In un’aula di tribunale, per esempio. O nella sala di un consiglio d’amministrazione. Ma quando si tratta di una storia, chi può dirlo? Io non lo so. Io penso che la verità sia dentro chi ascolta. E’ l’ascoltatore che ha fiducia – oppure no – nel fatto che una storia dica la verità.”

Willie Sutton non è personaggio che si possa lasciare senza un velo di tristezza. Bel libro, davvero.

Musica: No one is to blame, Howard Joneshttps://youtu.be/0_uxHyD04n8

Carlo Mars

(E

di J. R. Moehringer (Autore) Gianfranco Zucca (Traduttore) Piemme, 2014

Una storia che comincia e finisce in un giorno. Una storia che dura una vita. Si può rivivere una vita in un giorno? Si può. Accade a New York, il giorno di Natale del 1969, a Willie Sutton, uscito da poche ore dal penitenziario di Attica dopo che il governatore Rockefeller gli ha concesso la grazia per motivi di salute. Questa storia è tante storie. Tutte vere. O forse no. È una storia che comincia agli albori del ventesimo secolo, quando Willie evade dal grembo della Madre. È una storia che comincia nel 1919, quando lo sguardo di Willie incontra l’oro negli occhi di Bess. È una storia che comincia nel 1969, l’anno dell’uomo sulla Luna. È una storia di astronauti e di sirene, di guardie e di ladri, di magnati e di giardinieri, di prostitute e di galeotti. È una storia in fuga, da Sing Sing e dalla solitudine, dalla povertà e dalla mancanza d’amore. È una storia di libri, perché i libri ti cambiano la vita. È una storia di soldi, maledetti soldi. È una storia di banche, maledette banche. Perché è nelle banche che ci sono i soldi, ed è per questo che Willie Sutton le rapina. Con una pistola che non ha mai sparato, e un travestimento ogni volta diverso. Perché lui è Willie l’Attore, e recita dal vivo sul palcoscenico del crimine. Un eroe – o un antieroe – sulle strade della Grande Mela, insieme a un Giornalista e un Fotografo. Guidati da Willie sulle tracce del suo passato, i due hanno solo un giorno per ottenere la storia da prima pagina che vuole il giornale. Ma anche Willie vuole una storia.

So big – Una storia americana – Edna Ferber #sognoamericano #recensione

So big . Una storia americana – Edna Ferber

Traduttore: F. Cosi, A. Repossi
Editore: BUR Biblioteca Univ. Rizzoli
Collana: Scrittori contemporanei
“Il suo bagaglio era fatto di gioventù, curiosità, una tempra forte come l’acciaio, un abito di stoffa marrone, uno di cachemire vinaccia, quattrocentonovantasette dollari e uno spirito allegro e avventuroso che non l’avrebbe mai abbandonata, anche se l’avrebbe condotta in posti strani e spesso, alla fine, l’avrebbe lasciata a un punto morto da cui dover poi tornare faticosamente sui propri passi. Per lei, però, i cavoli verdi e rossi sarebbero stati sempre giada e borgogna, calcedonio e porfido. La vita non ha armi contro una donna così”.

Scegli di leggere un vincitore di Pulitzer e ti aspetti sia un capolavoro o per lo meno un libro veramente bello.
Non sempre è così, almeno per il mio gusto o per quanto ne possa capire. Mi era successo col libro della Egan, mi è successo ora con So Big-una storia americana scritto da Edna Ferber nel 1924. Edna – nota, tra le altre cose, come autrice de Il Gigante, da cui fu tratto l’omonimo film con James Dean – ripercorre tre decenni di storia americana, reinterpretando attraverso la figura della sua protagonista il leggendario spirito dei pionieri e quei princìpi immortali che hanno fatto grande il suo Paese. E’ stata uno dei membri della Tavola rotonda dell’Algonquin,  sofisticato club letterario newyorkese composto da scrittori, giornalisti, critici, sceneggiatori, tra i quali spicca oggi il nome di Dorothy Parker.
Questo suo So big, intendiamoci, non è di certo un brutto libro, grandi caratterizzazioni, prosa fluida, stile impeccabile. Ma è troppo pieno di moralismi, con divisioni fra personaggi positivi e non, colpi di fortuna quasi inverosimili che arrivano sempre al momento opportuno, e si chiude nella seconda parte con una serie di capitoli difficoltosi e giri di trama che mi sono sembrati proprio tirati per i capelli.
Il personaggio principale è una ragazza, Selina, figlia di un giocatore d’azzardo, ben costruita, splendidamente descritta, viva, ironica, vitale, appassionata. I due conducono una vita agiata, finché il padre muore accidentalmente.
La giovane Selina si trova a dover provvedere a se stessa e dagli agi della città va a fare la maestra in campagna presso una comunità di contadini di origine olandese dove la mancanza di cultura impera.
Selina invece è colta, ha letto tanto, col padre andava a teatro, si immedesima nelle eroine della letteratura e vede la bellezza nella terra e nei suoi frutti.
Accolta nella comunità, viene conquistata da un contadino un po’ rozzo, privo di cultura, ma bello come può esserlo un giovane olandese.
Hanno un figlio, ma il marito muore prematuramente lasciando a Selina una casa malridotta e la terra da cui si ricava poco perché mal coltivata. La donna, con duro lavoro, fatica e abnegazione cresce un figlio, bonifica la terra e apporta migliorie alla casa. Il suo è un bel personaggio, una donna tutto sommato emancipata che conta sempre sulle proprie forze, e che invece di partire dal basso e raggiungere la vetta intraprende, suo malgrado, il cammino inverso. Ma come le ricorda un vecchio nel libro, non è possibile vivere la vita al posto di un altro, e per quanti sforzi Selina faccia, per quanta passione ella ci metta, non riesce a trasmettere a suo figlio l’amore per le cose semplici  e per la terra, e Dirk, fattosi uomo, col procedere delle pagine conquista il centro della scena, con la sua perenne indecisione, le ambigue relazioni sociali, e tutta la pochezza d’animo e la supponenza tipiche di chi non ha mai dovuto faticare per raggiungere alcun obiettivo. Cerc
herà la bellezza non nel colore dorato dei campi inondati dal sole, ma nella luce fredda e opaca del denaro, nel volto impersonale della finanza. 

“Sto in ufficio tutto il giorno e la sera vado sempre da qualche parte”
“E quando leggi, Dirk?”

Il libro contiene tutti i principi morali che hanno reso grande l’America, la solida concretezza delle donne, l’amore per la terra e il duro lavoro come autoaffermazione, l’esaltazione dell’ottimismo e della forza di volontà individuale, il riscatto di riuscire credendo solo in sè stessi, e la celebrazione di tutte quelle opportunità che il Grande Paese da sempre è capace di offrire a chi possiede uno spirito indomito, coraggioso e volitivo. La seconda parte ha come protagonista il figlio di Selina, ragazzo con pochi principi, sempre incerto e smaccatamente opportunista, che si lascia corrompere dal mito della ricchezza, e proprio in questa parte per me il libro si affloscia per chiudersi in maniera tronca, con il giovane che forse si rende conto di non aver fatto sacrifici e non aver apprezzato la bellezza delle cose semplici e i veri valori che invano sua madre ha provato a trasmettergli.

“Si sedette guardandosi le mani, quelle mani forti e senza un graffio. Di colpo e d’istinto pensò a un altro paio di mani, quelle di sua madre, con le nocche ingrossate, la pelle screpolata… espressive… con tutta la sua vita scritta sopra. Le cicatrici. Lei ne aveva.”

Raffaella Giatti