Storia di Asta – Jon Kalman Stefansson #Stefansson #Islanda #Iperborea

[…] perché tutti nasciamo senza nome e immediatamente, o poco dopo, ce ne assegnano uno perché la morte faccia più fatica a trovarci. Dammi un nome, e la morte mi troverà meno facilmente. Ma come è possibile raccontare la storia di una persona senza toccare anche le vite che la circondano, l’atmosfera che sostiene il cielo- e soprattutto, è legittimo farlo?

Un grande romanzo di amore, poesia, sensualità e sesso, una grande storia sulla campagna islandese e sul desiderio di conoscere il mondo che va dagli anni Cinquanta fino ai nostri giorni, e si snoda tra la Norvegia e l’Islanda.

Storia di Ásta – Jón Kalman Stefánsson

Traduttore: Silvia Cosimini
Editore: Iperborea

In questo interrogativo è racchiuso il senso dell’ultimo libro dell’islandese Kalman Stefansson, autore che ho scoperto qualche mese fa attraverso “Luce d’estate ed è subito notte” e che mi ha subito conquistato.
Narrare la vista di Asta (da ast, che in islandese significa amore) significa ricostruire la trama dei rapporti stretti dalla protagonista con le persone che hanno attraversato la sua vita, i luoghi cari al suo cuore (come la fattoria nei Fiordi Occidentali in cui trascorre un’estate cruciale della sua giovinezza) e quelli che le ricorderanno per sempre alcune tappe dolorose della sua esistenza (Vienna su tutti).
La storia di Asta si compenetra in quella di Sigvaldi, suo padre, ed Helga, sua madre, si annoda per la vita e oltre con quella di Josef, l’amore che la terrorizza, si salda con la desolazione della campagna islandese ed i suoi riti e con l’atmosfera opprimente dello studio di un docente dell’università di Vienna.
Difficile dire se raccontare la storia di una persona sia un’operazione legittima, se sia possibile farlo in modo completo, se il racconto sia un atto di presunzione o un gesto di amore sublime.
In ogni caso, Stefansson consegna ai lettori un romanzo-mondo simile ad un caleidoscopio, mutevole ed affascinante, frammentario e malinconico.

“Chi non è mai uscito in una notte d’agosto di luna piena, quando le montagne non hanno più niente di terreno, il mare si è trasformato in uno specchio d’argento e le zolle d’erba in cani addormentati – non ha mai vissuto davvero, e bisogna porvi rimedio”.

Saturnine Puissant

DESCRIZIONE

Reykjavík, primi anni Cinquanta. In un piccolo appartamento seminterrato Sigvaldi e Helga toccano il cielo con un dito abbandonandosi alla loro giovane e travolgente passione e decidono di chiamare la figlia Ásta. Ásta come una grande eroina della letteratura nordica, Ásta perché ást in islandese vuol dire amore. Sedici anni dopo Ásta scopre il sentimento di cui porta il nome in una fattoria negli aspri Fiordi Occidentali dove trascorre l’estate. Lo impara a conoscere dalla storia tormentata tra un uomo e una donna uniti dalla solitudine e divisi dalla dura vita contadina; lo impara a capire dalla vecchia Kristín che ogni tanto, al mattino, si sveglia in un’altra epoca del suo passato e può così rimediare ai rimpianti che le ha lasciato la vita; lo vive sulla propria pelle insieme a Jósef, il ragazzo che le cambierà l’esistenza. Eppure sono tutte promesse di felicità non mantenute ad avvicendarsi in questa impetuosa storia famigliare, segnata per sempre dal giorno in cui Helga si rivela uno spirito troppo libero e assetato di emozioni per non ribellarsi alla soffocante routine domestica e abbandonare marito e figlie, lasciando Ásta con un’inquietudine, un’ansia di fuga, una paura di seguire fino in fondo i propri sogni. In un romanzo lirico, sensuale e corale, che si compone a puzzle seguendo i ricordi dei personaggi e le associazioni poetiche dei loro sentimenti, Stefánsson racconta l’urgenza e l’incapacità di amare, la ricerca di se stessi nell’eterna e insidiosa corsa alla felicità, e quel fiume di desideri e nostalgia che accompagna il destino di ognuno, sempre pronto a rompere gli argini e a scompaginare un’esistenza.

Cara Napoli – Lorenzo Marone #LorenzoMarone #Napoli

Editore: Feltrinelli
Collana: Varia 
“Ai media piace il nero di Napoli, perché il nero fa audience. Perciò risposi che no, non ho paura, dissi quello che dico sempre in giro per l’Italia, che esiste una Napoli “normale” che non è raccontata perché non interessa raccontarla, una città fatta di gente “normale” che conduce “una vita normale”.

Un libro d’amore, eccome se lo è. Non un romanzo rosa, ma una guida “turistica” sui generis scritta da chi la città che deve narrare la ama profondamente, di un amore onesto, viscerale, sincero. Non prendiamoci in giro: amiamo qualcosa e qualcuno e proprio perché lo amiamo spesso finiamo per ridisegnarne i contorni, come a permettere alla nostra geografia di incastrarci alla sua, di cosa o persona che sia. Spesso, ma non sempre. Talvolta riusciamo a sentire ed esprimere l’amore con e in tutte le sue contraddizioni. E qui si compie il miracolo: la bellezza non perde un grammo della sua potenza ammaliatrice nemmeno quando la luce latita; la poesia non perde i colpi a ridosso dei difetti; la fatica ha un suo senso, un senso profondo, quello di quando in fondo ai passi messi uno dopo l’altro puoi dirti consapevole.
Amo Napoli e leggerla scritta così, capita così, strapazzata così, guardata dritta in faccia così, amata così da uno scrittore che stimo, che ogni volta riesce a prendermi per mano e a farmi sentire meno bestia, meno sola, meno molte altre cose, è stato davvero un bel leggere.
Amo Napoli grazie ad amici straordinari che me l’hanno insegnata proprio come la scrive Lorenzo: con i suoi odori, i vicoli, i colori (ah, quel grigio lì), le tartarughe, i dossi dell’orizzonte, le isole appoggiate lì, il pontile, le canzoni, i sapori, le enormi contraddizioni, il cuore, l’ironia, i disegni sui muri, la monnezza e dietro alla monnezza le ceramiche, quel Cristo indimenticabile, il Madre, le foto fatte a rovescio nelle pozzanghere, le macchine che si sfiorano, s’ammucchiano, ma non si prendono, anzi all’improvviso scompaiono e allora parcheggi anche te, ti metti lì e la guardi da Castel Sant’Elmo e tremi, un po’ per la frittura all’italiana che ti sorride dal cartoccio, un po’ perché ti viene da piangere di meraviglia, giuro.
E allora sì, è un libro d’amore questo. E non serve avere Napoli nel cuore. Serve avere voglia di meravigliarsi, di fare un passo avanti rispetto ai tanti (sempre troppi) luoghi comuni, di vedere un pezzettino più in là di tutto ciò che urlando copre la musica. Evviva la musica, gente. Evviva.
P.S. menzione speciale per “Le piccole grandi cose che amo di Napoli” in cui Cesare Annunziata (La tentazione di essere felici) presta il gioco dei MI PIACE all’autore.

Rob Pulce Molteni