Donne che comprano fiori – Vanessa Montfort #VanessaMontfort #recensione

“Ci sono donne che comprano fiori, e altre che non li comprano. Questo è quanto.”

Autore: Vanessa Montfort
Titolo: Donne che comprano fiori
Editore: Feltrinelli
Pubblicazione: 2017

L’idea di raccontare di donne diversissime tra loro che si incontrano in un posto speciale, si raccontano, si confrontano e diventano reciproco sostegno, non è particolarmente originale. È anche un’idea pericolosa perché rischia di scivolare in toni melensi da bigliettino dei Baci Perugina e in luoghi comuni tagliati con l’accetta.
In Donne che comprano fiori ci sono entrambi questi aspetti. C’è l’incontro di cinque donne molto diverse l’una dall’altra, un ventaglio di stereotipi che va dalla fatalona sexy alla donna in carriera senza vita privata e ci sono le sparate didascaliche d’effetto da filosofia spicciola (“Solo un cuore che ha sofferto può comprendere il dolore… Ehm Ehm!). A vegliare su queste cinque donne una specie di fata madrina, una Katharine Hepburn un po’ magica e un po’ filosofa, con i suoi capelli arancioni e i suoi personalissimi aforismi che non lasciano scampo.

Eppure. ..

Eppure questo libro mi è piaciuto. Non da gridare al miracolo, non da voti altissimi, no. Ma nel suo genere direi che si difende e fa una dignitosa figura. I personaggi acquistano spessore man mano che la storia procede, ognuna di queste donne ha qualcosa di importante da raccontare e da svelare, in alcuni di questi frammenti è possibile ritrovare una parte di sé. Alla fine, più delle singole storie, il fulcro di tutto diventa quella capacità prettamente femminile di creare alleanza, complicità, sostegno e trasformare tutto questo in forza, la forza necessaria per riscattarsi, per fuggire se serve, per rompere catene interne o esterne. E di vivere, di provare a vivere come si vorrebbe ora, adesso, subito. E, cosa molto importante, di colmare di allegria la sofferenza che tutto questo comporta.
Perché “la vita è un compito urgente”.

Queste, secondo me, le parti migliori del libro: le chiacchiere serali accompagnate da un bicchiere di vino, da lacrime e da tante risate. Sono le parti più vere, quelle dove è facile riconoscersi se si ha la fortuna di avere intorno qualche buona amica.
Letto in lingua originale (a saperla!) questo libro deve avere una musicalità e un brio particolari che nella traduzione un po’ si perdono. Il taglio è molto cinematografico e l’autrice si crea anche un cameo dentro la storia mentre – ma guarda un po’! – fa un sopralluogo nel negozio di fiori insieme ad un amico regista… Lungimirante e ambiziosa, la giovane autrice.

Infine, l’aspetto che più mi ha incantata, è naturalmente la Madrid di Plaza del Angel, del quartiere bohemien del Las Letras con i fantasmi di Cervantes e Lope de Vega, le passeggiate sul Paseo del Prado, le stradine con i mille locali dai banconi rivestiti di ceramiche. E, al centro di tutto, il negozio di fiori. Da predere e partire subito, adesso.
Perché la vita è un compito urgente.

Anna Massimino

“Alcuni comprano fiori per una nascita e altri per una morte. Alcuni li ordinano per smorzare la sobrietà dei loro uffici e altri per dare vita alle loro case. Alcuni li vogliono vivi, ancora attaccati alla terra, altri morti o secchi. In alcuni casi li preferiscono sul punto di aprirsi, perché durino di più. E ad altri invece piacciono sul viale del tramonto, come le margherite che iniziano a perdere i petali”.

Shotgun lovesongs – Nickolas Butler #recensione #NickolasButler

Ero, e così era lui, in quello spazio a metà dei vent’anni, quando un numero sufficiente di amici o compagni di classe aveva già trovato qualche forma di successo, abbastanza da incombere su tutti noi che non c’eravamo riusciti.

Un romanzo piacevole. Che scorre via veloce, fresco come un ruscello del Wisconsin ( ci sarà un ruscello fresco, lì, spero, altrimenti la metafora va a farsi un barbecue).
L’ho letto, ma non ho scritto niente, subito. E col passare dei giorni ci ho ripensato su molto, pensato e ripensato. E ho perso un bel po’ della “magia” che credevo di averci trovato.
Ripeto, lettura piacevole, e comunque questo non è poco.
Una storia piena di testosterone, in linea di massima, dato che abbiamo in primo piano una storia di amicizia maschile.
Abbiamo birre, abbiamo bar, abbiamo alcol, abbiamo pacche sulle spalle, mucche da mungere, pick up sgommanti, abbiamo camicie di flanella a quadrettoni, abbiamo barbecue, abbiamo coyote e abbiamo neve, tanta, quando occorre.
Poi ci sono le parti romantiche, abbiamo i tramonti, le albe, le rocce e le erbe con tutto il campionario di colori possibili e oltre i possibili.
Abbiamo sentimenti veri, forti, indistruttibili.
C’è gente messa alla prova dalla vita, gente che resta in paese e gente che invece sente di soffocare e parte. Ma non si spezza il filo dell’amicizia, mai. Ci sono scossoni forti, ma non si crolla.
Persone che vivono, lottano, cercano la felicità, provano, riescono e sbagliano, come tutti.
Il tutto in quest’atmosfera che sa di magico incantesimo.
Mi piace l’espediente narrativo che fa parlare tutti i personaggi, uno alla volta.
Ti affezioni a queste persone, le senti vicine.
Ma ecco che questo espediente segna il suo limite quando tutte queste voci finiscono con avere una sola tonalità. Non c’è stacco vero tra nessuno dei personaggi. Tutti questi amici parlano con la stessa voce, con lo stesso timbro. Nemmeno il personaggio che dovrebbe avere una voce diversa, per questioni di salute mentale, alla fine si distingue dagli altri.
E questo è un limite grosso, per una storia che si definisce autentica.
C’è un confine sottilissimo tra il reale/genuino/romantico e il melenso.
E questo romanzo lo oltrepassa più volte, per me.
Sì, ti fa venir voglia, probabilmente, di amici così, di avere un posto sicuro dove stare o dove tornare, di silenzi che contano e di notti piene di stelle, e di musica buona, avvolgente come una sciarpa calda. E penso che qualche lettore le abbia, queste cose, queste amicizie.
Ma mi sa che è troppo, tutto troppo.
E’ troppo pacifico. Non esiste un torto possibile che porti alla rottura di un rapporto, qui.
Qui c’è gente che predica bene e razzola diversamente, non dico male eh, ma diversamente. Ma nulla cambia. Non c’è lo strappo che ti aspetti. Troppi matrimoni, troppo amore, troppi tradimenti, troppi cuori spezzati, troppe riconciliazioni, troppa birra, per potere rendere credibile uno status quo che si rinnova.
C’è pure troppo Bob Dylan, nominato una volta, ma è troppo lo stesso, in questo contesto sembra un nome buttato lì facendo l’occhiolino…
Questo romanzo “scalda”, han detto tutti. Ma a furia di star troppo vicino a un camino, si va a bruciarsi, dopo essersi scaldati per bene.
Dove sono andati a finire, i perdenti? Qualcuno dirà: ma perché, non può andare tutto bene, finire bene, che male c’è? Nessuno, ovviamente. Ma a volte non è che basti prendere un gettone e far risuonare una canzone in un vecchio juke box, per mettere a posto tutto quello che di storto si è andato accumulando negli anni, o per farti sentire vicino qualcuno che hai sempre detestato o l’amico che ti ha tradito.
C’è grosso rischio di atmosfera da soap opera, per me.
Sembra scritto per finire in una sala cinematografica.
Ecco perché appare più furbo che autenticamente genuino (e in fondo nemmeno la storia in sè, è originale, dato che lo spunto lo fornisce una storia vera).
Fino a metà, il libro si regge e si legge bene, o discretamente bene.
Poi diventa prevedibile, fino ad un finale per me quantomeno affrettato, se non ampiamente deludente.
Sì, lo so, sputatemi pure. Ma questo è.

Musica: My My, Hey Hey (Out Of The Blue), Neil Young
https://www.youtube.com/watch?v=cawk2cMTnGo

Carlo Mars