Una casa di terra – Woody Guthrie #recensione #WoodyGuthrie

“La vita è dura …sei fortunato se ci arrivi in fondo”.

(W. G.)

Woody Guthrie non nasce scrittore, anche se ci aveva provato con questo libro, una sorta di versione folk di Furore di Steinbeck. Qui Guthrie porta avanti tutta la sua etica in favore dei deboli basata sull’amore per la terra attraverso il lavoro e la Casa, il posto dove stare, che ti appartiene e a cui appartieni, come fine ultimo degli sforzi umani.

«Procuratevi un pezzo di terra per voi e tenetevelo stretto. Così. E poi combattete. Combattete per tenervelo stretto così. Il legno marcisce. Il legno si rovina. Questo non è un paese dove conviene tenersi stretto qualcosa che è fatto di legno. Questa non è terra da alberi. Non è neanche un paese da arbusti. In questa striscia di terra qui ha poco senso combattere per tenersi stretto qualcosa che sia di legno, perché il vento e il sole e le intemperie qui sono un disastro per il legno. Non si può combattere come si deve se non si hanno i piedi ben piantati nella terra, se non si combatte per la terra».

Si percepisce nella storia l’elemento della polvere, il disfacimento degli oggetti, degli attrezzi, della terra, degli animali e degli animi delle persone durante la recessione tra le due guerre mondiali subita dagli Stati del Sud. Tutto si riduce in polvere (è chiara la matrice religiosa americana del libro), anche i sogni della giovane coppia, di cui Guthrie narra la storie, le speranze e i sogni. E il sogno è quello di partire dalla polvere, impastarla con l’acqua e dare origine ad una “casa di terra”, una casa che possa tener fuori le tempeste, gli assalti delle cavallette, i freddi inverni e le torride estati. Nella narrazione però Guthrie si perde nei meandri di un rapporto di coppia sondato fin troppo minuziosamente, con una prima parte che abbonda anche di particolari erotici, perdendo a volte il filo della narrazione. Dal punto di vista della storia, forse troppo lungo, come romanzo. Però ci sono anche le sue canzoni, e questo è un valore aggiunto in sè. Un libro aspro e a tratti davvero toccante, che non si dimentica.

Non ho mai aspirato a niente, se non ad avere un lavoro dignitoso da fare, e una casa dignitosa dove abitare e una vita dignitosa e onesta. Perché non possiamo avere abbastanza terra da tenerci occupati? Perché non possiamo avere abbastanza terra per campare, lavorare e vivere come esseri umani? Perché non possiamo?

– Non lo so, donna. La gente sta come i cani che si sbranano. Tutti che mentono, che imbrogliano, scappano e fanno i furbi e si nascondono e calcolano… è come cani contro cani. Non so altro”.

Nicola Gervasini

Il manoscritto originale di questo romanzo di Woody Guthrie, portato a termine nel 1947, era rimasto chiuso in un cassetto a Coney Island per anni e anni. Scoperto da pochissimo, è stato pubblicato negli USA da Johnny Depp, che ne ha scritto anche l’introduzione. “Una casa di terra”, l’unico romanzo completo del leggendario folksinger, è un ritratto profetico e potentissimo di due agricoltori cocciuti e disperati che combattono per sopravvivere alla furia cieca e distruttiva degli elementi (ma non solo) durante la Dust Bowl, la serie di tempeste di sabbia che colpirono gli Stati Uniti negli anni Trenta, mandando in rovina migliaia di contadini. Soffuso della elementare poeticità e della devastante autenticità che hanno reso leggendarie le ballate di Woody Guthrie, il libro è la storia del normalissimo sogno di una vita migliore da parte di una normalissima coppia e della sua ricerca di amore in un mondo sempre più corrotto. Tike e Ella May Hamlin si ammazzano di fatica per coltivare la terra arida del Texas, vivono precariamente in una catapecchia di legno e sognano un’abitazione solida in grado di difenderli dalla terribile violenza degli elementi. Grazie a un opuscolo pubblicato dal governo, Tike apprende le nozioni necessarie per costruirsi una semplice casetta fatta di mattoni di argilla, paglia e sabbia, a prova di fuoco e vento: una casa di terra.

 

 

Blonde – Joyce Carol Oates #recensione #blonde

Blonde prende spunto dalla vita di Marilyn Monroe e racconta una sua versione della donna più bella del mondo. Molti dei fatti narrati, quindi, non sono reali e molti di quelli reali sono stati volutamente alterati e amplificati, perché colei che è considerata la DONNA per antonomasia diventi l’archetipo di tutte le donne: delle loro paure, manie, tormenti, illusioni e ambizioni. Norma Jeane Baker è, per molti versi, estremamente moderna per la sua epoca, così da poter ritrovare in lei e nel suo contesto sociale gli stereotipi e le situazioni con cui le donne devono confrontarsi ancora oggi.
È un libro estremamente doloroso, il più doloroso che io abbia mai letto sino ad ora.
Si viene letteralmente trascinati “dentro Marilyn”, all’interno della mente e delle emozioni di Norma Jean e non ci viene risparmiato nulla: le sue insicurezze che sono poi quelle in cui a tutte è capitato di incappare, le sue fragili illusioni, il suo desiderio di essere amata, il suo bisogno di conferme, il volersi riscattare dal ruolo di fragile bambolina/bionda senza cervello/razza di cagna patetica che le viene assegnato dall’universo maschile che la circonda.
Devasta leggere nero su bianco quanto Norma desiderasse essere Norma, una persona di sesso femminile, talentuosa e capace nel suo lavoro, intelligente, rispettata come ogni altra persona e quanto invece il mondo esterno non facesse che ricacciarla nei limiti che le avevano cucito addosso. Devasta perché a chi, in termini diversi e, se vogliamo, minori, certo, non è capitato?
Quante donne hanno vissuto anche solo (e per fortuna) episodi simili? Quanto costa, ogni volta, dover dimostrare il proprio valore, ALDILA’ dell’essere femmina?
Il peggio: il desiderio costante di essere perfetta, di essere brava, buona, compiacente, di essere come mi volete perché è solo così che mi amerete. Un tormento inenarrabile. Un tormento in cui chiunque, è passato almeno una volta.
Vivere per due settimane la mente e la personalità di Marilyn, travolti dalla scrittura sapiente e volutamente dolorosa di Joyce Carol Oates (che non risparmia nulla al lettore: sa come fare male con la narrazione e lo fa), non può non lasciare un segno indelebile di consapevolezza e tristezza, perché scoprire i tormenti interiori, i desideri più profondi e la fragilità umana di un mito come lei non può lasciare indifferenti. Arrivi a “sentirti” Marilyn, a seguire il filo dei suoi ragionamenti lucidamenti folli, ad immedesimarti nelle sue diverse personalità, a immaginare cosa voglia dire essere lacerati tra il bisogno di mostrare sé stessa e le proprie capacità e la fame disperata di amore e approvazione. Vivi la sua inimmaginabile solitudine, le umiliazioni, i trionfi.
Pur alterando il corso degli eventi e inventandone una parte, l’autrice è una profonda conoscitrice della reale biografia dell’attrice, e deve averne amato moltissimo la figura tragica, la donna al di là del mito (titolo anche di una bellissima mostra che ha da poco chiuso i battenti in quel di Torino).
Tutto questo amore e questo dolore arrivano dalle pagine al lettore con bellezza e violenza inaudite, siate preparati: è un’esperienza meravigliosa e terribile, un tormento di incomparabile valore letterario e umano, anche se sarà difficile, per un po’, scrollarsi Mailyn di dosso.
Grazie Joyce Carol Oates e addio, Norma Jeane, che almeno la terra ti sia davvero lieve.

Loretta Briscione