Felici i felici – Yasmina Reza #YasminaReza #Borges #recensione

Felici i felici -Yasmina Reza

Traduttore: M. Balmelli

Editore: Adelphi

Collana: Fabula

È un libro ben scritto, mai banale, che impone calma, riflessione e momenti in cui torni indietro di qualche riga per assorbire meglio i passaggi che usa l’autrice per arrivare alle frasi epifaniche sparse qua e là nel romanzo. È un romanzo e non un mosaico a racconti, perché a differenza dei racconti nessuna storia è in sé così conclusa da ritenersi un unico, e ognuna si inanella nelle altre. I personaggi che parlano a turno in ogni capitolo si alternano nella narrazione, ma nessun ripete la stessa storia da diversi punti di vista. È un romanzo atipico, che non cerca di assomigliare ad altri romanzi di successo, ma punta a essere semplicemente se stesso. È un romanzo sull’amore, sul sesso e sul matrimonio. La frase di Borges a cui fa riferimento il titolo è un po’ uno sfottò dell’autrice, e in fondo è proprio la matriarca della famiglia Blot, Jeannette, parlando con la figlia Odille, a concludere: “Cosa vuoi dire mamma? Eri felice con papà, no? – Non ero infelice, no. Ma sai, di buoni mariti non ne trovi mica a ogni angolo di strada”.

Malgrado i toni della narrazione non credo sia un romanzo pessimistico. La sensazione prevalente che lascia, secondo me, è la voglia di ricominciare tutto: di rivivere un’altra vita, di fare altre scelte, non perché si ritenga di aver fatto un errore a condurre la propria vita come la si è vissuta, ma solo perché: “Viviamo nel miraggio della ripetizione, come il sole che si alza e va a dormire. Ci alziamo e andiamo a dormire, convinti di ripetere gli stessi gesti, ma non è così”.

I personaggi della Reza comunicano questo: vivono la loro vita come se fosse una ripetizione, a volte codarda, a volta soffocante, a volte solo banale, in cui ogni giorno sembra assomigliare a quello precedente, ma in cui vengono chiamati a fare scelte, che per la maggior parte tengono segrete, e che vanno a definire chi sono veramente dietro gli strati che mostrano agli amici, ai figli e ai consorti. Mi è piaciuta in partciolar modo la storia di Robert e Odille e quella del dottor Chemla.

Stefano Lillium

I tempi non sono mai così cattivi – Andre Dubus #recensione #andredubus

“Il mistero si conclude, siamo due uomini che parlano, come due uomini qualsiasi una mattina in America, di baseball, incidenti aerei, presidenti, governatori, omicidi, del sole e delle nuvole. Poi raggiungo il cavallo e cavalco di nuovo verso la vita che la gente vede, quella in cui mi muovo e parlo, e che per la maggior parte dei giorni amo”.

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Nove racconti dalla potenza comunicativa straordinaria. Incontrarne i protagonisti è un’esperienza tenera e violenta insieme. Lascia senza pelle l’umanità di certa disperazione, la sfacciata saggezza che riaffiora dall’errore, dagli orrori. Dolore e amore convivono in corpi fragilissimi, ma che, inconsapevoli, covano la durezza del diamante. Sono polaroid di quotidianità quelle incorniciate da una scrittura perfetta e curatissima, che dilania ed accudisce; attimi fermati a fare da bandolo a amanti, ladri, figli e padri, gomitoli di ossigeno e carne che, colpevoli innocenti, assassinano il tempo sino a farne vita.
Incontrare Anna, Leslie, Luke, Jackie e suo padre, è catartico; è, come ottimamente scritto nella lettera a uno scrittore di Dubus (citata dal traduttore nel brano che chiude il libro), “aprire l’anima alla magnificenza a volte devastante della vita”.
Storia di un padre è uno dei racconti più belli che abbia mai letto. Lo infilo fra le stesse due costole che proteggono Cattedrale di Carver e Solomon Silverfish di Wallace.
Credo di aver appena iniziato una nuova, stupefacente storia d’amore.

Rob Pulce Molteni